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Sulla gaffe all’Expo. Quando il buonismo politically correct è davvero fuori luogo: giù le mani dall’inno di Goffredo Mameli!

Creato il 01 maggio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Sulla gaffe all’Expo. Quando il buonismo politically correct è davvero fuori luogo: giù le mani dall’inno di Goffredo Mameli!Si legge oggidì - sperando che di fuffa si tratti e non di amara verità - che ieri sera il coro di bambini che ha cantato l'inno d'Italia durante l'opening di Expo 2015 avrebbe "modificato" le parole dell'inno di Goffredo Mameli... Il passaggio "siam pronti alla morte" sarebbe diventato "siam pronti alla vita".... Si legge - sicuri che di fuffa non si tratti ma di amara verità - che le personalità radical-chic colà presenti siano state "deliziate" dalla cosa dimenticando che nel "discorso" di Mameli quel passaggio non era retorica, mentre retorica lo è senz'altro il buonismo politically correct.
Giù le mani dall'inno di Goffredo Mameli! Meglio sarebbe far conoscere a quegli stessi bambini la vita di questo nostro grande padre della patria e portargli il rispetto che merita. Il rispetto che si deve ad uno spirito che è stato solo ragazzo tanto tempo fa ma i cui "discorsi" restano molto più attuali, invariati, e pregnanti delle roboanti parole al vento che siamo costretti ad ascoltare in questi giorni...
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Goffredo Mameli dei Mannelli, meglio noto semplicemente come Goffredo Mameli (Genova, 5 settembre 1827 - Roma, 6 luglio 1849), è stato un poeta, patriota e scrittore italiano nato nel Regno di Sardegna.

Annoverato tra le figure più famose del Risorgimento italiano, morì a seguito di una ferita infetta che si procurò durante la difesa della seconda Repubblica Romana. È l'autore delle parole dell'attuale inno nazionale italiano.

Nobile discendenza

Era di famiglia aristocratica sarda, dei "Mameli" o "Mameli dei Mannelli", originaria della Sardegna, precisamente di Lanusei, in Provincia dell'Ogliastra. Suo trisnonno Giommaria Mameli, nato a Gairo il 25 maggio 1675 divenne notaio presso Tortolì, poi l'Imperatore Carlo VI d'Asburgo lo elevò al rango di nobile, lo fece suo console alla Corte Sabauda di Torino, poi Ufficiale della Segreteria di Stato e di Guerra del Regno di Sicilia a Palermo e poi suo segretario particolare onorario. Morì a Cagliari nel 1751 dopo che, sposato con una nobile spagnola, divenne padre di sette figli. Di questi Antonio Vincenzo fu Archivista del Viceré a Cagliari, Avvocato Fiscale Patrimoniale Regio dell'Insinuazione del capo di Cagliari e Intendente economo delle miniere, ebbe a sua volta undici figli, tra i quali Raimondo fu capitano di Vascello della Marina Regia.

Il figlio di Raimondo era Giorgio Giovanni, nato a Lanusei nel 1798 e morto a Genova nel 1871, il padre di Goffredo; anch'egli Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, contrammiraglio della Regia Marina Sarda, per via della passione del padre aveva percorso tutta la carriera nella marina, distinguendosi in spedizioni contro i pirati barbareschi e durante la prima guerra di indipendenza, venendo poi messo a terra a causa del proprio carattere indipendente e dell'impegno repubblicano del figlio, per essere poi eletto parlamentare a Torino. La madre era Adelaide (Adele) Zoagli, della famiglia aristocratica genovese degli Zoagli figlia a sua volta del Marchese Nicolò Zoagli e di Angela dei Marchesi Lomellini. Del suo parentado furono anche Cristoforo Mameli e Eva Mameli Calvino.

Biografia

Mameli, istruito nelle Scuole Pie di Genova, docente nel collegio di Carcare in provincia di Savona, fu autore, all'età di quasi 20 anni, delle parole del Canto degl'Italiani (1847), più noto in seguito come Inno di Mameli, adottato un secolo dopo come inno nazionale provvisorio della Repubblica Italiana nel 1946, musicato da Michele Novaro. Ma già ai tempi della scuola dimostrò il suo talento letterario componendo versi d'ispirazione romantica, intitolati Il giovane crociato, L'ultimo canto, Le vergine e l'amante di cui però non si conoscono recensioni come opere d'arte.

Mameli venne presto conquistato dallo spirito patriottico e, durante i pochi anni della sua giovinezza, riuscì a far parte attiva in alcune memorabili gesta che ancor oggi vengono ricordate, come ad esempio l'esposizione del tricolore per festeggiare la cacciata degli Austriaci nel 1847. Nel marzo 1848 organizzò una spedizione di trecento volontari per andare in aiuto a Nino Bixio durante l'insurrezione di Milano e, in virtù di questa impresa coronata da successo, venne arruolato nell'esercito di Giuseppe Garibaldi con il grado di capitano.

In questo periodo compose un secondo canto patriottico, intitolato l' Inno militare musicato da Giuseppe Verdi. Dopo l'armistizio, tornato a Genova riuscì a dedicarsi alla composizione musicale diventando contemporaneamente direttore del giornale Diario del Popolo e senza dimenticare di pubblicizzare le sue idee irredentiste nei confronti dell'Austria.

La sua opera di patriota venne anche svolta: a Roma, nell'aiuto a Pellegrino Rossi e per la proclamazione del 9 febbraio 1849 della Repubblica romana di Mazzini, Armellini e Saffi; e in una campagna, svolta a Firenze, per la fondazione di uno stato unitario tra Lazio e Toscana.

Nel suo continuo vagabondaggio si trovò nuovamente a Genova, sempre al fianco di Nino Bixio nel movimento irredentista fronteggiato dal generale Alberto La Marmora, quindi nuovamente a Roma nella lotta contro le truppe francesi venute in soccorso di Papa Pio IX (che nel frattempo aveva lasciato la città).

La morte

La sua morte avvenne durante l'assedio di Roma, l'ultimo atto della breve Repubblica romana del 1849: tornato nuovamente capitano nell'esercito di Garibaldi, combatté al suo fianco nella difesa della Villa del Vascello sul colle del Gianicolo. Fu ferito alla gamba sinistra durante l'ultimo assalto del 3 giugno a Villa Corsini, occupata dai francesi.

Di questo episodio sono note due versioni, una secondo la quale sia stato ferito per sbaglio dalla baionetta di un commilitone, l'altra, più diffusa e accreditata, sostiene invece che sia stato raggiunto da una fucilata francese. In ogni caso, fu trasportato dai compagni all'ospizio di Trinità dei Pellegrini, dove venne visitato e curato dal medico Pietro Maestri. Le condizioni apparvero immediatamente molto gravi, come si capisce dalle parole di Maestri ad Agostino Bertani, che visitò Mameli alcuni giorni dopo:

" Io lo vidi dopo 3 ore circa in uno stato quasi di stupefazione. Non era bene in sé stesso e cadeva in gravi e frequenti deliqui. Pallido e sparuto nel volto, quasi avesse sofferto più mesi di malattia: nei pochi momenti in cui non gli mancava la coscienza di sé accusava dolori spasmodici in conseguenza della ferita "

(Sergio Sabbatani, La morte di Goffredo Mameli a Roma nel 1948, "Le Infezioni in Medicina", 2013, 1, 76-84)

Il vero problema fu però la gangrena, che Maestri osservò dopo quattro giorni. Quando Bertani vide per la prima volta la gamba di Goffredo Mameli era il 19 giugno e la gangrena era arrivata fino a quattro dita sotto al ginocchio, dopo un consulto con Maestri e altri Medici si decise di amputare l'arto. L'intervento venne eseguito dal chirurgo Paolo Maria Raffaello Baroni e giudicato positivamente da Bertani data la modesta perdita di sangue del paziente e la corretta chiusura del moncone.
Nulla si poté fare comunque contro la sopravvenuta infezione, che peggiorò gradualmente fino a causare la morte, per setticemia, di Goffredo Mameli, il 6 luglio 1849, alle 7.30 del mattino, a soli 21 anni, nello stesso ospizio di Trinità dei Pellegrini.

Così Bertani descrive gli ultimi momenti di Goffredo Mameli:

" [...] cantando, quasi conscio di sé, attendendo che gli passasse quell'accesso nervoso, come Io chiamava, ebbe pochi momenti di agonia "

(Sergio Sabbatani, La morte di Goffredo Mameli a Roma nel 1948, "Le Infezioni in Medicina", 2013, 1, 76-84)

Il padre, il contrammiraglio Giorgio, accorse da Genova al capezzale del figlio ma giunse troppo tardi trovandolo già spirato. Nino Bixio in un suo diario scrive:

" Alle sette e mezzo antimeridiane del 6 luglio 1849, spirava in Roma all'Ospedale della Trinità dei Pellegrini la grande anima di Goffredo Mameli "

(Giorgio van Straten, Breve la vita felice di Goffredo Mameli, "Nuovi Argomenti", Arnoldo Mondadori Editore, 2011, 54. ISBN 9788852034688)

Fu sepolto al Verano, dove è ancor oggi visibile il suo monumento. Tuttavia le sue spoglie vennero traslate nel 1941 al Gianicolo, dove il fascismo belligerante aveva spostato e ricostruito il Mausoleo Ossario Garibaldino eretto inizialmente (nel 1879) lì presso, nel piazzale di San Pietro in Montorio. Le sue spoglie riposano nel Gianicolo.

Tratto dalla pagina wikipedica di Goffredo Mameli, grazie a Wikipedia e al redattore del pezzo.
Featured image, Goffredo Mameli.

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