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Summit della Celac: polemica con Ortega e chiusura anticipata del vertice

Creato il 30 gennaio 2015 da Eldorado

Alla spicciolata, uno per uno, presidenti e delegati se ne sono andati. Il terzo summit della Celac si è spento nel pomeriggio di ieri con tante parole, una gran polemica e pochi fatti concreti. Un documento congiunto contro l’embargo a Cuba, l’appoggio al processo di pace in Colombia, varie dichiarazioni di intenti per debellare la povertà, tante foto e poco altro. Al chiudere le sessioni, il vertice ha dimostrato che la Celac ha ancora molta strada da percorrere e che poggia su basi poco concrete. Organo di dialogo e confronto, la Comunidad non dispone però di mezzi istituzionali per rendere effettive le decisioni che si prendono nel suo contesto. È come una macchina con poca benzina che, se non riempie il serbatoio, non può andare lontano. Qualche osservatore è andato anche oltre nella critica, definendo la Celac un club per presidenti: ci si trova, ci si parla, si va a bere e mangiare qualcosa insieme e poi di nuovo tutti a casa.
Non necessaria ed assolutamente superflua, visto il contesto ed il clima di collaborazione, è giunta la polemica. Ad innescarla è stato Daniel Ortega, che non contento di aver ceduto ieri il tempo del proprio intervento al leader del Partido Independentista Puertorriqueño, Rubén Berríos, oggi ha insignito lo stesso Berríos come suo rappresentante per l’incontro privato tra presidenti (Ortega era già tornato a Managua). L’incidente ha provocato le proteste di diverse delegazioni ed alla fine il presidente costaricano, Solís, si è visto obbligato a sospendere la riunione. Conoscendo il tenore delle relazioni bilaterali Nicaragua-Costa Rica viene da pensare male e che quello di Ortega non sia stato altro che un dispetto verso i mai tollerati vicini. Peccato, perché l’ex rivoluzionario è riuscito ad attirarsi le critiche anche di leader a lui vicini, come Rafael Correa, che al ricevere la presidenza della Celac per l’anno in corso ha definito il gesto di Ortega una violazione al protocollo, oltre che un pericoloso precedente. L’esempio citato da Correa è lampante: -pensate, è come se al prossimo Summit delle Americhe, sul tema delle isole Malvinas, gli Stati Uniti potessero lasciare il loro posto all’Inghilterra- ha detto ai giornalisti.
La Celac deve ancora dimostrare come l’America Latina e caraibica abbia intrapreso un proprio definito cammino. L’incidente provocato da Ortega, ma anche il veto all’ultimo minuto posto da Barbados all’approvazione del documento finale, indicano che ci sono ancora diversi nodi da sciogliere. Il messaggio che lascia il summit è che non basta che i paesi latinoamericani siano giunti alla determinazione di poter definire il proprio futuro, ma che bisogna trasformare le intenzioni in fatti tangibili.
A dispetto dell’alta affluenza di capi di Stato, c’è stato ben poco movimento al di fuori del programma ufficiale. L’unico che ha accettato di partecipare ad un incontro –organizzato dall’Universidad de Costa Rica- è stato il boliviano Evo Morales. La sua è stata una lezione specifica, sull’avvento al potere della sinistra in Bolivia, davanti a cinquecento selezionate persone. Un pubblico tutto a favore, che ha scandito slogan e che ha trasformato la serata in un evento politico che ha inzaccherato il valore storico e, perché no, didattico delle parole di Morales. Valori indiscussi, perché Morales non solo è stato testimone di un’epoca di grandi cambiamenti, ma anche un protagonista di primo piano. Il tutto mentre all’esterno alcuni manifestanti chiedevano la libertà per l’oppositore venezuelano Leopoldo López e gli esclusi all’incontro inscenavano una protesta, appunto, per la loro esclusione. Una macedonia, come spesso accade quando non si riescono a scorgere le sfumature ed i contesti.
Chiuso il sipario in Costa Rica l’appuntamento per il 2016 sarà in Ecuador. Poi, l’anno seguente, toccherà alla Repubblica Dominicana.


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