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Super Persone e figli migliori

Da Littleelo
Mi è capitato all'inizio della settimana di leggere questo articolo di Maria Laura Rodotà (la seguo spesso, sul Corriere e su Io Donna). In poche parole: la giornalista italiana, che ha figli adolescenti di cui spesso ci parla, legge il giorno prima sul New York Times un articolo di James Atlas, scrittore, giornalista, editore e genitore. E' colpita dalla definizione di Super Person, da lui utilizzata per descrive i figli dell'alta borghesia americana (e non solo) che, avendone i mezzi, si formano e studiano come pazzi, raggiungono risultati eccellenti in molte e diversissime discipline (dalla musica allo sport) e che, seppur molto giovani, hanno curricula da paura che consentiranno loro di entrare nelle università più blasonate del Paese. E di base si fa la stessa domanda che si pone il giornalista americano: "La nostra società competitiva in modo isterico, ossessionata dalle lauree, ha davvero superato se stessa nel suo instancabile sforzo di produrre dei vincitori con abilità fuori misura?"
Ovviamente, a tutta questa follia contribuiscono "madri ossessionate da risultati scolastici e test di ammissione fin dalle medie", che producono piccoli mostri preadolescenti, poi adolescenti.
Come madre preoccupata o quantomeno interessata al futuro dei propri figli, non ho potuto non riflettere su quanto letto. Per prima sento l'impulso di formare i miei figli, anche attraverso delle esperienze strutturate. Credo infatti che senso del dovere, disciplina e perseveranza siano dei valori positivi e che si possano insegnare ai figli attraverso lo sport, la scuola, la passione per un hobby che li coinvolge particolarmente. Coltivare in modo approfondito una o più discipline mi fa ben sperare che li aiuterà a non essere superficiali, a non sfiorare le cose e basta,  ma a soffermarsi su di esse.
Forse sono ingenua a crederlo (ma del resto sono o non sono un po' vintage?), ma credo che i valori sopracitati possano in futuro guidarli nello studio, nel lavoro, nella vita sentimentale... E lo ammetto, spero che i miei figli un domani abbiano un curriculum rispettabile.
Dall'altra parte però non disdegno i suggerimenti dei "genitori slow", che incitano a non stressare i i figli con mille attività quotidiane, a non dettare loro un'agenda che neanche un manager della Procter&Gamble, a non soffocarli con aspettative sproporzionate alla loro età e alle loro effettive potenzialità. Che significa poi, banalmente, rispettare la loro esigenza di riposo e le loro vere attitudini, oltre che lasciare spazio al famoso ozio creativo, passaggio quasi-obbligato per stimolare la fantasia, lo spirito critico e la riflessione.
Mi dibatto tra i due estremi. Mi ripeto che l'esempio quotidiano dei genitori può più di ogni corso, che su alcune cose non mollo ma che su altre sì, che per certe esperienze serve la giusta età, che gli stimoli vanno dati comunque ma senza esagerare, che bisogna ascoltarli e poi incitarli... E intanto mi cruccio per aver ceduto sul corso di nuoto e ancora mi chiedo: ho fatto bene o no a darla vinta a Luigi, permettendogli di decidere di non frequentarlo?

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