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Svegliatitalia

Creato il 24 gennaio 2016 da Acrossthechannel

Ore 15 del 23 gennaio del 2016: le sveglie hanno risuonato in tutta Italia. Non solo, ma anche a Londra, a Francoforte, a Dublino, a Copenaghen e in parecchie altre città europee le sveglie hanno suonato alla stessa ora (o quasi). Tutte per lo stesso motivo: svegliare l’Italia e gli italiani e dir loro di aprire gli occhi e che È ORA di assicurare gli stessi diritti a tutti, non solo per chi quei diritti ancora non ce li ha ma anche per la dignità di tutti i cittadini italiani stessi. Per rendere l’Italia un paese più CIVILE.

E fuori dall’Europa, chi ha fatto suonare la sveglia? La mappa di Google Map, che mostrava i luoghi e le pizze dove si sarebbero svolti i vari flashmob, questa mattina appariva così:

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La mappa dei flasmob nel mondo

Io sono la sveglietta sulla città di Boston. Io e altri tre connazionali (uno aveva doppia cittadinanza italiana e americana, quindi facciamo che vale per due). Purtroppo i tempi ristretti di organizzazione, la neve e i -6 gradi hanno sicuramente reso l’affluenza difficile. Sono sicuro che se anche noi ci fossimo mossi prima, avremmo sicuramente attirato l’attenzione di più italiani anche su questo lato dell’oceano che, come quelli scesi in piazza oggi in Italia, hanno a cuore i diritti civili di tutti. Mentre prendevo accordi con Flavio Romani, presidente dell’Arcigay in Italia, gli spiegavo che visti i tempi ristretti probabilmente non avremmo trovato una grande partecipazione, e la sua risposta è stata “Comunque sia, anche se siete in 10 conta il pensiero :-)”. Caro Flavio, non siamo arrivati neanche a 5 ma ti assicuro che il pensiero c’era tutto. E soprattutto il desiderio forte di veder le cose cambiare in Italia.

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Matteo, Ricky, Fabrizio e Paolo hanno fatto suonare la loro sveglia da Boston

Da anni vivo all’estero, in Inghilterra prima e ora in America, e spesso mi sono sentito dire che sono fortunato perché vivo in un paese che ha approvato da tempo il matrimonio tra persone dello stesso sesso e quindi non devo preoccuparmi di nulla, non ci sono lotte da fare. In realtà, non è proprio così. Come le recenti storie di tutti quegli italiani sposati all’estero ci insegnano, quel matrimonio contratto in America, in Inghilterra o in Irlanda perde qualsiasi valore agli occhi dell’Italia non appena si attraversano i confini. E spesso, perchè ciò accada, quei confini non bisogna neanche attraversarli.

Come nel caso di Fabrizio, che oggi era con me e mi ha raccontato la sua storia. Fabrizio ha attraversato l’oceano nel lontano 1999. Nel 2004 ha conosciuto e si è innamorato dell’uomo che nel 2008 è diventato suo marito. Fin qui sembra vada tutto liscio, esattamente come dovrebbe essere per tutti quelli che trovano una persona da amare per la vita. “Eppure non è così” mi ha raccontato Fabrizio. “Se un giorno dovessimo decidere di trasferirci in Italia, Jeffrey, che pure è mio marito, non avrebbe nessun diritto ad avere un permesso di soggiorno, men che meno la cittadinanza.”

“Se dovesse succedergli qualcosa mentre siamo in Italia, io non verrei riconosciuto come parente prossimo. Verrebbero interpellati i suoi familiari in America. O ancora: anche se dovesse passare la legge Cirinnà, io e Jeffrey non saremmo sposati per l’Italia. Saremmo forse ‘uniti civilmente’ o qualsiasi altra formula si inventeranno. La parola ‘marito’ o lo stato civile di ‘sposati’ non risulterebbe su nessun documento italiano. Io la trovo una forma di declassamento.”

Questa è una cosa alla quale ho pensato diverse volte, pur non essendo sposato all’estero ma vivendo comunque all’estero. Quando avevo un ragazzo inglese, sapevo che con il suo passaporto europeo egli avrebbe avuto diritto di vivere e lavorare in Italia, quindi da quel punto di vista un matrimonio non avrebbe cambiato molto. Eppure cercavo di capire come mi sarei sentito in italia, con mio marito che non era più un marito ma che era soltanto un coinquilino o un compagno di viaggio. Mi sarei sentito come si sentono oggi migliaia di uomini e donne nel nostro paese, che si scontrano con una burocrazia già pesante di per se e che lo diventa ancora di più quando le regole non permettono loro di mettere la crocetta su “Sposato”, o su “Marito”. o su “Moglie”. Hanno un anello al dito e un cuore pieno d’amore che ha giurato di stare accanto alla persona che amano per tutta una vita e oltre, eppure sono celibi, sono nubili o sono single.

Oggi le sveglie hanno suonato in tutta Italia. Quattro hanno suonato anche da Boston. Ho visto le foto scattate nelle piazze della penisola, ho visto l’affluenza della gente, ho visto il desiderio che c’è di cambiare le cose. Ho visto mia madre al Pantheon a Roma e mai come oggi mi sono sentito così fortunato. Ho visto i miei migliori amici e i loro genitori reggere un foglio che diceva “Svegliatitalia”. No, non lo facevano per me. Non lo facevano neanche per il resto delle coppie gay in Italia, né per quei circa 530 mila bambini italiani che hanno genitori dello stesso sesso ma che, per la legge italiana, uno dei due non lo è. Prima di tutto lo hanno fatto per loro stessi, per poter essere fieri di vivere in un paese che non discrimina, che non declassa, che assicura pari diritti a tutti, che non permette ad altri “stati” di mettere il naso nelle cose italiane, che riconosce le persone e le coppie per quello che sono e che non ha paura di utilizzare la parola “matrimonio”.

Insomma, un paese civile.

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Mia madre ha fatto suonare la sua sveglia al Pantheon, Roma.


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