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Swansea AFC, il brutto l’anatroccolo salvato dai tifosi

Creato il 21 settembre 2014 da Stefano Pagnozzi @StefPag82
Swansea AFC, il brutto l’anatroccolo salvato dai tifosi
Quello dello Swansea non è solo l’esempio di come bisogna cadere e ricadere prima di iniziare veramente a volare, ma dimostra come ci si può ritagliare un proprio angolo di paradiso pur non possedendo i petroldollari degli sceicchi, ma semplicemente il sostegno dei propri tifosi.
E’ il 23 Maggio del 2001, il Man United di Sir Alex Ferguson è Campione d’Inghilterra, Jimmy Hasselbaink, centravanti del Chelsea, sale sul trono dei marcatori, il City retrocede insieme al Coventry e mentre l’errore dal dischetto di Mauricio Pellegrino condanna il Valencia alla sconfitta in finale di Champions a scapito del Bayern Monaco, il piccolo Swansea, club gallese dell’omonima cittadina che si affaccia sulle Three Cliffs Bay, retrocede in Third Division tra l’indifferenza dei media e il silenzio generale. Il vecchio terreno del Vetch Field è ancora macchiato dal sangue versato dai giocatori, gli spalti grondano di lacrime e il clima generale è intriso di delusione per l’ennesimo scherzo del destino. Tuttavia, il fallimento è alla base di ogni successo, e da queste parti nel Sud del Galles, nazione di castelli medievali e patria del Rugby, ne sanno qualcosa. Quella dello Swansea è una favola allegorica, non è solo l’esempio applicato di come bisogna cadere e ricadere prima di iniziare veramente a volare, ma dimostra come ci si può ritagliare un proprio angolo di paradiso pur non possedendo i petroldollari degli sceicchi, ma semplicemente il sostegno dei propri tifosi.
Nell’estate del 2001 il club venne salvato dal manager Tony Petty (uomo d’affari alla guida di un consorzio australiano proprietario anche dei Brisbane Lions, squadra di football dell’isola), il quale rilevò la società sull’orlo del fallimento per 1£. A questo, nonostante una timida protesta da parte dell’owner, venne affiancata un’associazione di tifosi, lo Swansea City Supporters Trust, che entrò nella società con il 20% delle quote dopo una spesa di 200.000 sterline. E’ l’inizio di una favola che dura ancora oggi, una film esplicativo, un thriller dai mille risvolti che fa vedere come i tifosi possano agire in maniera efficace insieme alla dirigenza, senza essere soggetti ai dogmi, ai deliri e alle asserzioni dei cosiddetti paperoni-presidenti, uomini d’affari che acquistano i club soltanto per incrementare i propri guadagni e il proprio prestigio, esattamente come è successo con il Cardiff City, squadra della capitale. Nel 2012, infatti, il nuovo proprietario dei Bluebirds, il malese Vincent Tan, impose un cambiamento sia del colore sociale del team (che passò dal blu al rosso) che del simbolo, trasformato in un dragone, per richiamare la bandiera e i colori del Paese. In realtà, queste modifiche (decisamente osteggiate dai sostenitori gallesi, sia del Cardiff che dello Swansea, nonostante la forte rivalità esistente tra la Jacks Army e la Soul Crew), vennero intelligentemente apportate per incrementare le vendite in Asia, dove, appunto, il drago e il colore rosso sono considerati simboli propizi.
Lo Swansea, quindi, è diventato il primo club di Premier ad avere un tifoso come amministratore della società, ovvero il graphic designer Cooze Huw, il quale sostiene che: ‘Il governo e le autorità calcistiche dovrebbero assolutamente sostenere la Fan/ownership. Vediamo i grandi club di proprietà di Roman Abramovich o lo sceicco Mansour, e noi non vogliamo che accada. Ci sentiamo di poter avere successo, possiamo andare oltre, e possiamo farlo noi, con il duro lavoro’. Inoltre, tutti coloro che sottoscrivono l’abbonamento annuale (circa 16000 membri che partecipano al Trust) hanno diritto di voto durante le elezioni interne finalizzate ad eleggere un direttore che agisce all’interno del CDA della società. Per essere considerati tali, i Supporters Trust devono ovviamente rispettare determinate regole, come aiutare la gestione del club, essere associazioni senza scopo di lucro, essere focalizzati sulla comunità ed avere connotati democratici. Nel 2013 il club ha ottenuto un utile netto di 15,3 milioni di sterline, incrementando i ricavi del 2012 (14,5) anche grazie agli incassi dell’impianto, il suggestivo Liberty Stadium costruito nel 2005 anche e soprattutto in virtù dell’appoggio del Trust. La saggia gestione del club gallese (soprannominato Swansellona in onore al club catalano) riesce a sintetizzare good governance, investimenti nel lungo periodo e ottimi rapporti con i tifosi e prosegue nel migliore dei modi. Il fallimento è soltanto un lontano ed amaro ricordo, l’azionariato popolare è il presente, ma soprattutto il futuro. Società spagnole (Barca e Real), tedesche (Bayern), ed inglesi (Wimbledon, Portsmouth e United of Manchester, sorto da un supporters’ trust di tifosi dei Red Devils delusi dalla gestione del magnate Malcom Glazer,) adottano questo tipo di gestione, e l’Italia? Tutto ciò viene adottato lontano dai riflettori della Serie A, ed è sperimentato da Piacenza, Lucchese, Ancona, Cavese e soprattutto dal Taranto, all’insegna del seguente motto: il calcio senza tifosi perde la propria anima.
Questo metodo può funzionare? Parlano i fatti. Nel Febbraio 2013 lo Swansea di Laudrup ha rifilato 5 reti al malcapitato Bradford ed ha alzato al cielo la Coppa di Lega, mettendo in bacheca il primo trofeo della sua lunga storia e qualificandosi alla fase a gironi di Europa League. Il brutto anatroccolo non esiste più, ora c’è un bellissimo cigno. Lieto fine, stacco, titoli di coda.
Fonte: lintellettualedissidente.it

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