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Syrian rules

Creato il 14 gennaio 2013 da Tabulerase

syrian rules60000 è la cifra da cui dobbiamo intimamente partire, per misurare la malvagità ed il cinismo di un uomo e della sua diabolica perseveranza nel non lasciare il proprio popolo libero di scegliere il proprio destino. La cifra reale è senz’altro maggiore, ma questo è dato ufficiale dei morti in Syria dall’inizio della rivolta.

Quest’uomo, Bashar al Assad, ha trasformato i suoi connazionali; da cittadini vogliosi di libertà e democrazia, li ha portati ad essere spietati combattenti che hanno imparato a dedicare la propria vita alle armi, da utilizzare contro i propri fratelli.

In qualsiasi paese del mondo ogni uomo politico forte divide drasticamente l’opinione pubblica del proprio paese, ma solo un dittatore la stermina per farla tacere ed il discorso del trucidatore siriano, del 7 gennaio, ci ha mostrato la sua vera natura.

Come tutti i moderni dittatori, pienamente consapevoli di ciò che stanno facendo al loro popolo, ha voluto dimostrarsi forte pubblicamente in un auditorium di Damasco, che nulla aveva da invidiare alle più grandi capitali mondiali, stracolmo di una folla estasiata dalla sua figura; che come sempre si ergeva a unica e suprema fonte di verità.

Ciò che sta accadendo in Syria dal 2011 non è però, solamente il frutto delle azioni di quest’uomo. Dietro il perdurare di questa sanguinosa guerra civile ci sono altri paesi che condividono questa disonorevole responsabilità, ma uno su tutti ha alimentato lo sterminio sin dai suoi albori: la Russia dello zar Putin.

Con il passare del tempo, infatti, è emerso, sempre più chiaramente, come il vero motore, economico e bellico, della resistenza alawita alla democrazia, non sia da ricercare a Teheran, troppo indebolita dal perdurare delle sanzioni internazionali, o nel vicino Libano, ma a Mosca, dietro i solidi muri del Cremlino.

La Russia sta sanguinosamente dimostrando di essere tornata la superpotenza sovietica della guerra fredda. Il paradosso, è che proprio il libero mercato ha posto le basi per la sua rinascita, grazie al sempre maggior peso specifico che le materie prime ricoprono nell’economia globale.

Il gigante neosovietico sta mostrando al mondo intero come l’ottocentesco sogno russo dello sbocco sul Mediterraneo, sia per lei di fondamentale importanza. Questo sogno, realizzato grazie all’eterna fedeltà del dittatore alawita, esiste ed ha un nome ben preciso, che non si trova nelle guide Lonely Planet: Tartous, porto, con annesse basi militari, che ne fanno un approdo blindato per la flotta e l’aviazione sovietica.

Per difendere il proprio avamposto sul Mare Nostrum, Putin non ha esitato a porre veti, decisamente imbarazzanti per una democrazia, presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, a sovvenzionare, con armi e valuta, il dittatore siriano ed a suggerire la strategia pubblica da perseguire.

Il nuovo zar di quasi tutte le russie ha, infatti, riproposto il vecchio teorema dalle guerra al terrorismo, che tanta gloria e consenso portò in Russia dal 1999, quando così giustificò la seconda guerra cecena. Il problema è che durante questi dodici anni dall’11 settembre 2001 molto è cambiato: l’opinione pubblica internazionale ha imparato a distinguere il terrorismo dall’interesse, motivo reale della carneficina siriana e nuove potenze si sono formate al di fuori delle sfere americana, russa e cinese.

In Syria, come negli altri paesi coinvolti dalla Primavera araba, si è contrapposta alla Russia, mostrando al mondo la propria forza, la nuova sfera di influenza mondiale: quella formata da Quatar, Saudi Arabia e UAE. Questi paesi, al pari della Russia, sostengono e sovvenzionano la guerra, ma sul versante opposto, che altrimenti sarebbe stato annientato dall’esercito regolare. Il paradosso di queste nazioni, che hanno sostenuto e sostengono i popoli arabi affamati di democrazia, è quello di non essere delle democrazie al loro interno; apparendo così come degli imperialisti nel mondo arabo, al pari degli americani durante la guerra fredda. Ma qualcosa ancora non quadra in questa guerra per la democrazia.

Dov’è l’Occidente?

Dove sono gli USA alfieri della libertà, della democrazia e dell’autodeterminazione dei popoli?

Personalmente sono cresciuto collegando in modo indissolubile le parole USA, democrazia e libertà. Sono stato testimone di come questo grande paese si sia speso, militarmente ed economicamente, per i suoi valori cardine, in parti del mondo dove la vita di una persona non va oltre il proprio villaggio.

In un’altra epoca il paese alfiere dell’idealismo democratico, si sarebbe imposto come mediatore, per trovare una via alla democrazia, ma evidentemente il gigante a stelle e strisce è ancora troppo provato dalla crisi economica che ha autopartorito nel 2008 e che non gli permette più di imporre i suoi ideali a livello planetario.

La prova sono quei 60000 morti da cui sono partito … ma come percepiamo nella nostra vita quotidiana questo numero?

A casa, comodamente seduti nei nostri divani, attraverso i trenta secondi di distruzione e sangue, accompagnati da fredde cifre, pronunciate da una voce più simile ad un citofono, che ad un essere umano che dovrebbe far riflettere su ciò che realmente stia accadendo.

Quando vediamo quelle brevi immagini dobbiamo sempre pensare che dietro quella telecamera o quel cellulare ci sono madri, padri, mogli, mariti, figli e fratelli; che attendono con ansia e terrore la fine di un infinito bombardamento o il silenzio, dopo il sordo boato di un attentato, per soccorrere i feriti o recuperare i corpi dei loro cari.

Come tutti anche io assisto inerme ai quei trenta secondi di televisione, ma purtroppo non riesco mai a ricordare la notizia che gli fa seguito.

Syria hurra, Allah u akbar


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