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Tanto Edgar, poco Hoover

Creato il 21 gennaio 2012 da Alesan
Tanto Edgar, poco HooverE' successo che una settimana fa sono andato al cinema a vedere J. Edgar, ultima impresa del buon ispettore 44 magnum in versione regista e, no, non ve ne avevo parlato. Film ambizioso che va a trattare le tematiche di uno dei personaggi più controversi (ed influenti, e potenti...) del secolo scorso. Non solo per gli Stati Uniti visto che il buon Edgar ha tenuto in mano l'FBI (che deve questo nome proprio a lui) per 48 anni e, con esso, i segreti e le possibilità per tenere in scacco più di una amministrazione presidenziale. C'erano due modi per raccontare la storia di Hoover e temo che Clint Eastwood, pur rappresentando un'opera degna di cronaca, abbia scelto la peggiore, ossia quella autobiografica, inserendo solo alcuni passaggi di "sospetto" su quanto calpestato nel mondo dei vivi da parte di Edgar. Non basta un grande Leonardo Di Caprio (giuro) a tenere in piedi un'opera che, se ridisegnata come il celebre JFK di Oliver Stone, con quel suo tono da documentario, avrebbe sì dato fiato alle trombe del complottismo mondiale ma, al tempo stesso, permesso allo spettatore di porsi domande ed interessarsi alle vicende narrate nel film. Di fatto chi non sapeva nulla di Hoover prima, dei suoi metodi, dei sospetti che su di lui piovono da decenni legati a "strani" casi di americanità, dopo il film ne sa ancora meno.
Incentrando la pellicola sulla sola, ambigua figura del gran capo del buerau, il film ci dà una vaga idea del carattere e della sottile follia, nonché delle tremende e conservatrici condizioni mentali e culturali dell'uomo Hoover, raccontandoci così la storia, appunto, di un uomo. Un storia viva, accattivante, che colpisce per intimità e pregiudizio ma che non tocca gli aspetti per cui Hoover ha rappresentato una figura davvero autoritaria e controversa nel 900 americano e non solo. Duro ai limiti dell'illegalità, fascista, omofobo (benché, forse, omosessuale lui stesso), comandante per natura. Amante della disciplina estrema e nemico di chiunque potesse anche solo modificare il suo modo di vedere l'America, senza però comprenderne davvero i radicali cambiamenti e le evoluzioni generazionali, Hoover è quantomeno sospettato di aver saputo molto di più, ad esempio, degli omicidi politici di John Kennedy e Martin Luther King.
Il che non significa che ne sapesse davvero di più, ma il modo in cui ha controllato le chiappe che si sono poggiate, una dopo l'altra, sullo scranno della Sala ovale del 1600 di Pennsylvania Avenue, stagiste sotto il tavolo o meno non importa, ha sempre lasciato intendere che il buon Edgar, non troppo amico di minoranze e progressisti, avesse davvero qualche segreto di troppo. Sarebbe stato certamnete più fantasioso ma estremamente più interessante raccontare la sua storia non solo scavando nelle supposizioni del suo intimo e delle pressioni materne, ma anche contestualizzando la sua figura nei quasi cinque decenni di politica americana. Il film rimane certamente buono, realizzato in grande stile come Eastwood è solito fare, e recitato in modo egregio con trucchi e montaggio di livello. Manca però un colpo di reni che lo mandi oltre l'asticella, che lo renda, se non indimenticabile, quanto meno davvero interessante e che spinga chi poco sa di quegli eventi ad andare oltre la pellicola per capire. O informarsi. Quasi come se il vecchio Clint, ormai disarmato della propria Smith&Wesson non abbia voluto esagerare su un personaggio che, nel bene o nel male, ha rappresentato l'avanguardia della supremazia americana nel suo volto peggiore. Reazionario, conservativo e isterico. Un tocco di omosessualità presunta non sconvolge nessuno di quelli che giudicano il merito oltre le futili storielle di goddip.

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