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TARSE: non chiamiamolo canone

Creato il 07 gennaio 2013 da Kisciotte @Kisciotte_Dixit
"Qualunque cosa tu faccia con il tuo televisore, il canone è un’imposta obbligatoria legata al suo possesso."
Inizia con questa frase lo spot televisivo per ricordare ai telespettatori, pardon, ai possessori di apparecchio tv, che è giunto il momento di pagare il canone Rai 2013La frase non ha alcun vizio di sostanza, rispecchiando quanto contempla la legge: la semplice detenzione di una tv è sufficiente a giustificare la dovuta imposta. Qualche osservazione si può piuttosto fare sulla sfacciataggine con la quale questa pubblicità viene sbattuta in faccia ai detentori di televisione.
Una collaudata tecnica comunicativa – che rientra nell’ambito della propaganda oppiacea per la quale alcune agenzie pubblicitarie sono particolarmente avvezze – consiste nel propinare con voce flemmatica, calda e bonaria, come fosse la cosa più naturale del mondo, un messaggio palesemente offensivo per il pubblico buon senso.
Ammettiamo pure che si debba pagare un’imposta per un servizio di pubblica informazione. Dico “ammettiamolo” perché si potrebbe anche avere da obiettare che il “diritto a informarsi” possa essere trasformato in “dovere di essere informato” (con relativo obbligo di imposta). Comunque, ammettiamo che pure nell’era di internet, dello streaming, delle pay per view, si sia tenuti a pagare qualora si volesse vedere i programmi Rai di pubblica utilità. Basterebbero a quel punto le normali tasse, con le quali lo Stato gestisce Sanità, Istruzione, ecc.: si aggiunga la voce "Rai servizio pubblico" (???), senza bisogno del canone.

Ma comunque, ammettiamo che il canone abbia motivo di esistere. Anche volendo essere concilianti, il dato di fatto è evidente, basta accendere il televisore sui canali Rai: il canone costituisce una imposizione di pagamento atta a stipendiare individui che sfornano concorsi a premi, varietà da gratta e vinci, svariati spettacoli d’intrattenimento. Tutti prodotti che hanno ragione d’esistere nella logica di mercato dei canali commerciali, degli sponsor e soprattutto della libera scelta del consumatore. Ma che nulla hanno per poter essere definiti “servizi di pubblica utilità”.

Se qualcuno reputa Carlo Conti che dispensa soldi a L’eredità, o Antonella Clerici che fa mostrare (da un’altra, che lei non è buona) come si cucinano le pappardelle al ragù di fenicottero durante La prova del cuoco, “servizio di pubblica utilità”, di grazia, illumini anche me. Fino ad allora, io vedo soltanto individui col faccino sorridente, programmi, e maestranze, tutti accomunati dall’essere virtuosi sovvenzionati statali, gente che campa su stipendi composti anche da denaro del pubblico, sottratto arrogantemente con forza di legge.

TARSE: non chiamiamolo canone

Senza la paghetta del canone, sarebbe bello vederli guadagnarsi da vivere
(fonte: pagina sito Rai)

A questo serve il canone Rai: a foraggiare una delle tante forme di parassitismo socialeche infesta il tessuto della società. Fa purtroppo parte della nostra mentalità, trasformare in folclore nazionale tutto ciò che non funziona, e accettare come sensata una palese presa per il culo del buon senso del pubblico, ovvero del pubblico buonsenso.

Visto che la Rai propone una gamma di prodotti del tutto estranei al pubblico servizio, e visto che il canone va pagato per il semplice fatto di possedere un televisore, e visto altresì che il canone non è altro che un’imposta per sovvenzionare l’assistenzialismo di Stato nel settore dell’intrattenimento televisivo, avrei una proposta equa e intelligente.Perché non usciamo dalle ristrettezze del canone Rai e chiediamo l’istituzione di una imposta permanente a prescindere? Propongo la TARSE: Tassa A Rotazione Sugli Elettrodomestici.Un anno tassiamo i detentori di forno a microonde, l’anno dopo mettiamo l’imposta su chi possiede una lavastoviglie, l’anno successivo facciamo pagare un canone a chi ha in casa una lampada liberty. In questo modo, senza svantaggiare nessuno, a rotazione siamo tutti chiamati (obbligati) a finanziare i posti di lavoro dei vari settori degli elettrodomestici, non soltanto quello degli apparecchi televisivi. Se la regola è che gli stipendi dobbiamo pagarglieli noi, non vedo perché un lavoratore di Mediaworld (non di Mediaset) o di Indesit debba essere penalizzato rispetto a uno della Rai.
Ovviamente non dovrà mancare l’anno del canone per dare impulso al mercato del vibratore elettrico. Potremo liberamente scegliere se usarlo per ravvivare la maionese o per rassodare le guanciotte di un bimbo nella culla con massaggio vibrante.Intanto, funziona come per il televisore: non importa l’uso che ne facciamo, importa solo che cacciamo il grano. Nel culo, del resto, sarà difficile impiegarlo. Il canale è già occupato dal canone Rai e dal maxischermo di traverso. E da tutti i parassiti che vi campano. A nostre spese.
K.

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