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Taxi Drivers ricorda il regista Alberto De Martino

Creato il 03 giugno 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Lo stavamo aspettando come tutti gli anni al Circeo il regista Alberto De Martino. Come tutti gli anni sarebbe arrivato dopo la prima quindicina di giugno e non si sarebbe allontanato se non a settembre inoltrato. Solo l’anno scorso lo avevamo a lungo intervistato nel corso della sua serata al cinema Trevi di Roma dove, con  Marco Giusti, si era soffermato, contento e divertito, a raccontare la sua lunga carriera nel cinema italiano. A casa sua qualche anno fa, nel corso di un’altra nostra intervista, proprio ricevendoci sulla porta, si lasciava andare ad una nota di rammarico, frequente tra i registri del cinema italiano della sua generazione: “è triste constatare che l’industria del cinema italiano non è più quella di una volta…”. Nel suo studio poi, interamente tappezzato dei gloriosi manifesti pubblicitari dei suoi film, ci siamo abbandonati a quella che era stata la gloriosa e magnifica stagione del cinema di genere italiano, quella degli anni 60 e 70.  Bastava dare un’occhiata in giro, i manifesti scorrevano di anno in anno quella che era stata la sua carriera. Ed insieme non abbiamo trascurato l’esemplarità dei manifesti pubblicitari, anzi quella è stata un’arte pittorica di un nutrito gruppo di artisti, decisamente sottostimati, tanto da fare convenire il regista con il cronista e riconoscere che molte volte il successo del film era determinato proprio dalla beltà, dalla luminosità del manifesto pubblicitario. Anzi Alberto De Martino onestamente aggiungeva che molte volte la estrema beltà dei manifesti sopperiva in pieno proprio alle mancanze totali di alcuni film, magari girati troppo in fretta o con costi molto ridotti. Ad uno ad uno dunque avevamo passato insieme, in rassegna, quelli che sono stati i titoli della sua filmografia, da quello che era stato il suo esordio, Il gladiatore invincibile del 1962, a quello che sarà l’ultimo della sua carriera 7 Hyden Park – La casa maledetta, girato nel1985.

La carriera di Alberto De Martino aveva letteralmente attraversato la grammatica del miglior cinema di genere: gli horror, il western all’italiana, le spy-story, il poliziesco, il cinema fumetto. In una parola abbiamo visionato in excursus la parte maggiore di quello che era stato il cinema popolare italiano. Diceva Alberto De Martino: “ho sempre lavorato per il pubblico, e mai per portare un film ad un festival, quello non c’era mai nei miei preventivi. Ho sempre amato storie e finali melodrammatici, i miei personaggi vivevano e morivano spesso tra la profonda commozione del pubblico”. Alberto De Martino, così come Mario Bava, Riccardo Freda, Antonio Margheriti, Umberto Lenzi, ed altri della medesima generazione, così come quelli immediatamente più giovani come Enzo G. Castellari, Sergio Martino, Ruggero Deodato, era un regista che rispondeva semplicemente e principalmente ad una logica assoluta e quasi totale di mercato. E non era vissuta, da parte loro, nessuna frustrazione in merito a questo destino. Diceva De Martino di essere addirittura fiero, motivato e felicissimo di realizzare un prodotto che doveva piacere tanto al grosso pubblico.  I prodotti in realtà erano davvero film piacevoli, realizzati soprattutto con un certo criterio tecnico e con una onestà intellettuale ed artistica di fondo, dettata finanche dalla grande umiltà e sincerità di carattere dell’intera produzione. Difficilmente si era tentati di rimpiangere il prezzo del biglietto per questi film, anzi, molte volte il divertimento era così tale e così semplice che si ritornava, sempre con gioia e pieni di entusiasmo, a rivederli. Non so quante volte ci siamo riseduti in platea a vedere le mitiche gesta del gladiatore di turno, del tiranno di Siracusa, di Babilonia, di Zorro, di Simon Bolivar, di Ercole e Maciste, di Ursus e Sansone, di Ringo, Gringo, di Piluk il timido, di Trinità e Bambino, di Sinbad e di Assur; di 077, di Oss 117, di Semiramide, Jerry Land, Goldsnake, James Tont, del superagente Flit.

A.De Martino

Quentin Tarantino, il geniaccio di Hollywood aveva realizzato nel 2003, proprio riassumendo i criteri di lavoro di questi umili e grandi artigiani – registi del cinema italiano, il suo capolavoro Kill Bill e il regista genialoide di Hollywood non tralascia ancora occasione per ricordarlo sempre con assoluta, affettuosa e malinconica dedizione. E’ sempre sinceramente onorato Quentin Tarantino quando parla di questi film italiani, per anni ammassati in patria da un dispregiativo, quanto inutile, giudizio: cinema di serie B. Grande amico di Sergio Leone, Alberto De Martino ha  partecipato, come regista della seconda unità, al kolossal di Leone Giù la testa, 1971. Diceva Alberto De Martino che tutta l’esperienza con Sergio Leone era stata un’esperienza vissuta proprio come un premio, “ l’autentico premio alla carriera che ci riconoscono di solito solo alla fine della vita, se siamo fortunati…”.  Alberto De Martino non si era mai dichiarato completamente soddisfatto della sua intera produzione, molti erano i titoli che riteneva poco rilevanti. Ma non se ne faceva un cruccio, anzi, erano in qualche modo i limiti dell’industria e del mercato, la loro strategia. Tra i film che Alberto De Martino riteneva piuttosto riusciti per la sua carriera annoverava sempre il western 100.00 dollari per Ringo, 1965, (il film che ha aperto la rassegna dei western all’italiana alla sessantaquattresima mostra del cinema di Venezia, film selezionati accuratamente da Quentin Tarantino, padrino appassionato della rassegna), poi elencava L’assassino è… al telefono, 1972, Il consigliori, 1973, Ci risiamo vero Provvidenza, 1973, L’ Anticristo, 1974, Holocaust 2000, 1977, ma conservava sempre  un occhio di grosso rispetto anche per L’uomo dagli occhi di ghiaccio, 1971, e per L’uomo puma, 1980.  Raccontava Albero De Martino che L’uomo puma era stato il film che gli aveva fatto constatare la morte del cinema in Italia.  Nelle sale italiane infatti L’uomo puma non aveva incassato praticamente nulla, mentre nei mercati esteri il film era andato come un treno. “Ormai è definita una pellicola cult”  teneva a precisare a ragione e con un sincero e genuino orgoglio il regista. Cosi come con un certo orgoglio raccontava che L’uomo dagli occhi di ghiaccio invece l’aveva girato in pochi giorni e con una troupe di quattro persone al massimo,  con in dotazione nemmeno un carrello  ma solo la macchina da presa e il cavalletto. Una pochezza di mezzi che assolutamente non si era mai notata, e trattandosi poi di un film altamente spettacolare nella resa, questo era un grandissimo riconoscimento per l’arte del  regista. A noi infatti L’uomo dagli occhi di ghiaccio, visto recentemente sullo schermo appunto del cinema Trevi, ci aveva ancora una volta esaltato.

Diceva Alberto De Martino: “noi registi di un’altra generazione stavamo sempre molto attenti alle spese dei produttori, io almeno non avevo mai infierito con richieste di spese esagerate, i budget messi in preventivo li ho sempre rispettati”. Questa in fondo era una caratteristica abituale e nota di Alberto De Martino,  infatti  produttori come Emo Bistolfi ed Edmondo Amati, molto attivi e preparati in quegli anni, con lui hanno lavorato sempre con grande serenità e produttività. La carriera di regista Alberto De Martino diceva di doverla proprio a Federico Fellini. Alberto De Martino da giovane si occupava anche di doppiaggio (così come era stato anche attore) ed era diventato l’aiuto di Franco Rossi, che all’epoca lavorava come direttore del doppiaggio del film La dolce vita, il capolavoro di  Federico Fellini. Ma solo dopo una settimana di lavoro al doppiaggio a Rossi venne proposta la regia di un film, Odissea nuda. Naturalmente Franco Rossi non ci pensò su nemmeno un minuto e accettò la regia del film e lasciò la carica di direttore di doppiaggio al suo aiuto, Alberto De Martino. Così De Martino fu promosso immediatamente e proprio sul campo a direttore del doppiaggio de La dolce vita, un merito assoluto ed estremamente guadagnato. Ma verso la fine di quel lavoro al doppiaggio venne anche per De Martino una offerta di regia, per lui che già aveva all’attivo varie aiuto regie e di essere già stato più volte anche regista delle seconde unità per vari kolossal che si giravano in quei tempi, quindi nell’ambiente era risaputa l’aspirazione di De Martino regista. Il film proposto era Il gladiatore invincibile. Lavorando in quel periodo per Fellini era sembrato naturale per il giovane De Martino chiedere un consiglio al venerato regista, anche perché De Martino in verità aveva in gioventù ambizioni di regia più personali e più intimiste. E Fellini invece gli rispose con una frase che è rimasta intagliata nei ricordi di De Martino: “se hai delle frecce al tuo arco queste si vedranno anche se fai Il gladiatore invincibile”. E così, forte di questa premessa, Alberto De Martino si è dedicato esclusivamente al cinema di puro genere, quello in definitiva molto richiesto dal pubblico, e non si è mai assolutamente pentito. Ed  i successi sono arrivati, De Martino gira, uno dopo l’altro, nel glorioso decennio degli anni sessanta, Perseo l’invincibileHorror, Il trionfo di Ercole, Gli invincibili sette, La rivolta dei sette, Gli eredi di Fort Warth100.000 dollari per Ringo, Django spara per primo, Upperseven: l’uomo da uccidere, Missione speciale Lady Chaplin, O.K Connery, Dalle Ardenne all’inferno, L’oro di Roma.  E nel glorioso decennio degli anni settanta, sempre uno dietro l’altro,  L’uomo dagli occhi di ghiaccio, L’assassino… è al telefono, I familiari delle vittime non saranno avvertiti, Ci risiamo vero Provvidenza, Il consigliori, L’Anticristo, Una magnum special per Tony Saitta, Holocaust 2000.  Non c’è verso, avevamo concluso in sede di intervista a casa De Martino, con il cinema puro Federico Fellini c’entra sempre.

Ciao, grande Alberto De Martino.

Giovanni Berardi



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