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Tennis: Intervista esclusiva con Dustin Brown, giamaicano di Germania

Creato il 19 agosto 2014 da Sportduepuntozero

Dustin Brown TENNIS  playing for Germany at Wimbledon 2013Non passa inosservato, Dustin Brown, dall’alto dei suoi 196 cm, della carnagione scura che ricorda più la Giamaica, terra d’origine del padre, che la Germania, Patria di passaporto e nascita. Capigliatura “dread” o “rasta” che dir si voglia, a superare metà schiena e andatura dinoccolata, anche quando si sposta da un campo all’altro per effettuare il riscaldamento pre-match o una semplice seduta defaticante. Il tedesco che non ti aspetti ha compiuto 29 anni e centrato il 16 giugno di quest’anno il best ranking di numero 78 Atp (ora è numero 94). L’abbiamo incontrato a Vercelli, in occasione del Challenger ospitato presso l’AT Pro Vercelli e risentito prima della partenza per gli ormai prossimi US Open.

Dove e come nasce la scalata?: “Ho iniziato a giocare a tennis a 5 anni, in Germania, quasi per scherzo. Non ricordo il primo maestro, quindi non doveva essere un fenomeno. L’attuale e anche il primo vero risponde al nome di Kim Michael Wittemberg. Da piccolo mi piacevano anche il “soccer” e la pallacanestro – ricorda – ma con la racchetta potevo fare più cose, dar libero sfogo alla creatività”. La stessa che oggi sfoggia, nei fatti, con stringhe di colore diverso alle scarpe.

Perché?: “Perché no – risponde con un sorriso a largo raggio – ho iniziato a farlo alcune stagioni fa e la cosa è piaciuta. Il pubblico mi riconosce anche per questo. Fare spettacolo non mi dispiace e questi momenti coreografici ne sono parte”.Per molte stagioni Dustin ha gravitato nelle retrovie del tennis che conta, muovendosi nel circuito minore (Futures) nella veste di autentico giramondo. E con un camper.

Quanti chilometri hai fatto e che sorte ha avuto il mezzo?: “Migliaia e migliaia, difficile quantificarli. Oggi ce l’ho ancora ed è parcheggiato a casa. Quando torno lo guardo e mi tornano in mente mille ricordi”.

Belli o brutti?: “E’ stato un periodo della mia vita difficile ma fortificante senza il quale non sarei arrivato dove sono ora”. Nel 2013 il terzo turno a Wimbledon, battendo anche l’ex numero 1 del mondo Leytton Hewitt.

Il match più bello di carriera?: “Certo tra i migliori, con quelli più recenti che mi hanno visto sconfiggere Isner a Houston e soprattutto Nadal ad Halle, prima di cedere nei quarti in un confronto tesissimo a Kohlshreiber. Bello anche il successo ad Amburgo colto con Verdasco. Contro Hewitt, in ogni caso, quattro set da ricordare anche per lo scenario nel quale eravamo. Wimbledon era e rimane il torneo dei miei sogni. Voglio ancora provare quelle emozioni in futuro. Nel 2014 purtroppo è andata male”.

Un gioco, il tuo, che definiresti come?: “Atipico. Mi piace sorprendere e divertirmi. Quindi attacchi in back, palle corte, servizi piatti alternati ad altri in kick. Un rovescio, ancora da mettere a punto soprattutto quando vengo attaccato, che nelle giornate sì è l’arma in più, in quelle negative mi condiziona”.

Ti arrabbi molto in campo. Fa parte del tuo carattere?: “Sì, non lo faccio apposta. Cerco in ogni caso di accanirmi contro me stesso….risparmiando gli altri”.

A proposito di altri, quali idoli avevi da ragazzo?: “Noah, per la sua storia e il suo tennis. Tanto istinto e gioia di vivere interpretando una parte”. E oggi?: “Tsonga e Monfils. Del secondo conservo gelosamente un autografo”. Parliamo dei big, gli attuali “fab four e affini”. Quale la loro arma segreta?: “Siamo in tanti ormai a giocare bene a tennis ma l’intensità ad alto livello con la quale si esprimono i migliori è la nota distintiva. Figlia di tecnica, grande preparazione fisica, voglia di non mollare mai un quindici, neppure quando sembra perduto”.

Il giocatore che ti ha più impressionato nell’ultimo periodo?: “Wawrinka, ha fatto un salto di qualità assoluto e ad un’età non più verdissima”. Simile alla tua, quindi?: “Un esempio in questo senso per continuare a pensare di poter salire ancora”. Per arrivare dove?: “In stagione vorrei centrare i top 50 e fare bene nei grandi tornei”.

Quando vinci a cosa pensì? “Che il tennis è lo sport più bello del mondo”. E quando perdi?: “Trattasi di gioco infernale, diabolico. Ma io mi trovo bene in bilico e nelle difficoltà. Come quando in Giamaica, a soli 12 anni, aspettavo fuori da un campo che arrivasse qualcuno per giocare”.

Parliamo di regole. Ti definiscono guascone e amante del “buon vizio”, inclusi i players party. Cosa dici in merito?: “Se sei professionista non puoi non rispettare le regole ed io lo faccio pur non negando di amare la vita e le sue proposte allettanti. Bisogna mixare le cose e

farle coesistere”. Come consideri il tennis femminile?: “Non lo vedo spesso, salvo che nei “combined” e non esprimo giudizi assoluti anche se negli ultimi 5 anni ha fatto passi da gigante”. I posti nei quali vai più volentieri a giocare i tornei?: “Il Sudafrica, la Giamaica e…l’Italia. Nel vostro Paese ho sempre giocato bene, soprattutto a livello Challenger. Lo scorso anno ho vinto il 100.000 $ di Genova in finale su Volandri ed ho conquistato anche quello di Andria. Come non amare anche il vostro cibo e le vostre girls”.

Terra o hard? “Il duro, sempre e comunque perché esalta le mie qualità”. A quale ritmo di musica ti piacerebbe giocare?: “Cambio spesso genere, quindi direi a quello che in quel momento maggiormente mi ispira”. Ora via verso un altro torneo senza dimenticare che tra i suoi idoli c’era anche un certo Safin, nobile interprete della bella vita mixata a palline e racchette. 


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