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Teoria delle stringhe? La prova dallo spazio

Creato il 07 gennaio 2014 da Media Inaf

Un gruppo di ricerca della Towson University ha ipotizzato che la teoria delle stringhe potrebbe essere dimostrata dall'osservazione del moto dei pianeti del Sistema solare. I primi risultati presentati a Washington al congresso dell'American Astronomical Society.

di Giulia Bonelli Deformazione dello spazio-tempo. Crediti: NASA

Deformazione dello spazio-tempo. Crediti: NASA

Stanisław Lem, scrittore polacco di fantascienza, negli anni ’60 diede vita al personaggio di un fisico che lavorava a una “Teoria Generale del Tutto”. Da allora l’espressione è stata utilizzata, con vena piuttosto ironica, per definire le teorie super-generalizzate che puntavano a unificare tutti i fenomeni fisici conosciuti. Fino al 1986, quando il fisico britannico John Ellis pubblicò su Nature un articolo in cui parlava della teoria delle stringhe come possibile “teoria del tutto”. In grado di fare ciò che nessuna ipotesi fisica era riuscita a fare fino a quel momento: conciliare la relatività generale classica con la fisica quantistica.

Un grande traguardo, se non fosse che la teoria delle stringhe non era a sua volta verificabile in alcun modo. Infatti l’ipotesi principale, stando alla quale tutta la materia e l’energia dell’universo sono composte da stringhe a una dimensione, non poteva essere provata, perché l’ordine di grandezza era talmente piccolo da non poter essere rilevato dagli strumenti conosciuti. Ancora oggi, nonostante i fisici delle stringhe ne abbiano affinato sempre di più l’impianto teorico, la teoria delle stringhe non ha evidenze certe. Né l’obiettivo sembra vicino: trovare traccia delle stringhe utilizzando gli attuali acceleratori di particelle richiederebbe una quantità di energia milioni di volte superiore a quella che è stata utilizzata per individuare il famoso bosone di Higgs.

Per questo era necessario un cambio di prospettiva, un approccio diverso per provare a risolvere il problema. Esattamente quello che ha fatto un gruppo di ricerca della statunitense Towson University: studiare la teoria delle stringhe passando dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Ovvero, dal moto delle particelle al moto dei pianeti. Durante il 223simo convegno dell’American Astronomical Society tenuto a Washington, il gruppo di ricerca, guidato dal fisico James Overduin, ha presentato ieri la sua ipotesi di lavoro: la misurazione precisa della posizione di alcuni oggetti del Sistema solare potrebbe rivelare leggere discrepanze con ciò che è predetto dalla teoria della relatività generale, in linea con quanto affermato dalla teoria delle stringhe.

Per capire la portata di questa ipotesi, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. La nostra storia inizia oltre quattrocento anni fa con una leggenda che ha per protagonista il padre della scienza moderna, Galileo Galilei. Si narra che il fisico toscano salì sulla cima della torre di Pisa, e da lì lasciò cadere contemporaneamente una palla da cannone e una palla da moschetto. Dopo ripetute osservazioni, stabilì che i due oggetti toccavano terra quasi nello stesso momento. In questo modo confutò uno dei capisaldi della fisica aristotelica, secondo cui la velocità di un oggetto in caduta libera è direttamente proporzionale alla sua massa. Che Galileo abbia scalato o meno la torre pendente, i suoi esperimenti sulla caduta dei gravi furono fondamentali per quella che sarebbe stata la teoria dell’interazione gravitazionale.

E qui arriviamo al secondo protagonista della storia: il matematico inglese Isaac Newton, a cui è legata un’altra leggenda, ancora più famosa. Si racconta che nel 1666 Newton fosse seduto sotto un albero nella sua tenuta a Woolsthorpe quando una mela gli cadde sulla testa: questo lo fece interrogare sul motivo per cui la Luna non cadesse sulla Terra come la mela, e lo portò a ipotizzare la presenza di una forza che diminuisse con l’inverso del quadrato delle distanza tra due oggetti. Era la prima formulazione della teoria della gravitazione universale, che fu poi sistematizzata nell’opera Principia Mathematicae, pubblicata da Newton nel 1687. Qui veniva affermato che la forza di gravità è la stessa che può spiegare il moto dei pianeti del sistema solare, il moto della Luna attorno alla Terra e la caduta degli oggetti. Confermando la teoria galileiana sulla caduta dei gravi, Newton comprese che lo stesso avviene nel sistema solare, dove i pianeti “cadono” l’uno verso l’altro mentre orbitano attorno al loro comune centro di massa. In particolare, con le osservazioni al telescopio concluse che Giove e le sue lune si muovono verso il Sole con la stessa accelerazione.

Il passaggio successivo fu comprendere che il campo gravitazionale agisce con la stessa forza su tutte le forme non solo di materia, ma anche di energia: questa tesi, le cui basi furono poste da Galileo e Newton, sfociò nella teoria di Einstein sulla relatività generale e nel principio di equivalenza (che postula l’uguaglianza di effetti prodotti da cause apparentemente diverse).

Fin qui tutto bene. Ma quando, a inizio ’900, entrò in gioco la fisica quantistica, i conti cominciarono a non tornare. Ciò che viene introdotto dalla meccanica quantistica, infatti, è l’elemento di casualità: più piccola è la scala attraverso cui si osserva il mondo, più le cose diventano casuali. Lampante è l’esempio del principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo cui non è possibile misurare simultaneamente con esattezza la posizione e la quantità di moto di una particella in movimento, per esempio un elettrone che orbita attorno a un nucleo di un atomo. E questo non perché gli strumenti siano imprecisi: semplicemente, quando consideriamo una scala sufficientemente piccola, subentra una casualità di valori. Un fatto alquanto inconciliabile con la teoria della relatività, perché implicherebbe che anche lo spazio e il tempo, oltre a una certa soglia, siano casuali.

È qui che arriviamo alle stringhe. Affermando che la struttura fondamentale della natura è fatta di stringhe e non di punti, la teoria delle stringhe stabilisce la scala minima con cui possiamo considerare il mondo (la lunghezza delle stringhe, appunto). Ma questa soglia minima non è verificabile, e così torniamo al problema di partenza.

Per provare a risolvere questa dicotomia, il gruppo della Towson University ha deciso di ripartire da Galileo e Newton. Calcolando le posizioni dei pianeti del Sistema solare, i ricercatori pensano di poter trovare nuovi limiti oltre i quali è possibile misurare gli effetti della teoria delle stringhe. Trovando allo stesso tempo prove della violazione del principio di equivalenza einsteiniano. Queste prove al momento sono state solo ipotizzate, ma dovrebbero comprendere la leggera violazione di tre capisaldi della fisica astronomica: la terza legge del moto planetario di Keplero, il principio dei punti di oscillazione di Lagrange e la polarizzazione orbitale, anche conosciuta come effetto Nordtvedt.

Se queste ipotesi fossero verificate, si avrebbe la prima, reale dimostrazione della validità della teoria delle stringhe. Ed è affascinante pensare che una simile conferma potrebbe provenire dal cielo e non dalla Terra.

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Fonte: Media INAF | Scritto da Giulia Bonelli



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