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Terre Rare e Profitti Abbondanti – parte 6. Lo spazio, ultima frontiera

Creato il 16 gennaio 2013 da Davide

Il 20 luglio 1969 Neil Armstrong posava il piede sulla superficie lunare del Mare Tranquillitatis. Al suo ritorno sulla Terra l’Apollo 11 riportava 22 kg di materiale, incluse 50 rocce, campioni della fine polvere lunare e due “tubi di carotaggio” contenenti materiale preso a 13 centimetri sotto la superficie lunare. I due principali tipi di rocce, basalti e brecce, furono presi dal sito di atterraggio dell’Apollo 11.

Terre Rare e Profitti Abbondanti – parte 6. Lo spazio, ultima frontiera

I basalti (rocce ignee di colore grigio scuro che formano quelle che noi dalla Terra vediamo come le aree scure sulla superficie lunare ovvero i “mari” lunari, in realtà pianure basaltiche) raccolti sulla Luna dall’Apollo 11 avevano un’età compresa tra i 3,6 e i 3,9 miliardi di anni ed erano formati da almeno due magmi di differente composizione chimica. Rispetto a quelli terrestri essi erano caratterizzati da un’elevata concentrazione di Titanio.

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Apollo 11 basalto 10049. Questo campione ha la massa di 193 grammi e una dimensione trasversale di circa 10 centimetri. NASA/Johnson Space Center photograph S76-25456.)

Le brecce (che formano le aree chiare che vediamo sulla Luna dalla Terra, aree che sembrano più chiare per effetto della regolite che riflette più luce del basalto) sono rocce composte da frammenti di rocce più antiche. Nella sua storia la Luna è stata bombardata da un numero infinito di meteoriti e questi impatti hanno fratturato le rocce in frammenti che si sono conglomerati per il calore dell’impatto e la conseguente fusione delle rocce dando origine alle brecce.

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Apollo 11 breccia 10018. Questo campione ha una massa di 213 grammi ed ha una dimensione trasversale di circa 8 centimetri. NASA/Johnson Space Center photograph S75-30226.

Le brecce possono includere sia frammenti di basalti dei mari lunari che materiali delle alture lunari. Le alture lunari sono costituite da rocce leggermente colorate come la anortosite, che è soprattutto composta di minerale di plagioclasio. Sulla Terra è molto raro trovare rocce costituite da plagioclasio quasi puro. Si pensa che lo strato di anortosite delle alture lunari si sia formato in una fase iniziale della storia della Luna, quando la maggior parte degli strati esterni della Luna erano ancora fusi. Questo stadio della storia lunare è chiamato oceano di magma. L’anortosite ricca di plagioclasio galleggiava sugli oceani di magma come iceberg sugli oceani della terra. Le anortositi lunari sono le più antiche rocce analizzate dato che risalgono a circa 4,29 miliardi di anni fa.
Oltre al prelievo di campioni gli astronauti effettuarono esperimenti scientifici e sistemarono dei sensori sismici.
Tra il 1969 e il 1972 gli astronauti delle missioni Apollo 12, 14, 15 e 16 continuarono a piazzare sismografi e a collezionare campioni di rocce e polvere lunari. I sismografi continuarono a trasmettere dati fino al 1977, quando furono spenti da Terra. Nel 1987 ci fu un tentativo di rimetterli in funzione per ottenere nuovi dati, ma le batterie erano ormai scariche.
Una delle missioni più importanti fu sicuramente quella dell’Apollo 12 che atterrò nell’Oceanus Procellarum il 19 novembre 1969. Il punto di atterraggio fu l’orlo nordoccidentale del Cratere Surveyor, a soli 180 metri dal punto previsto, il modulo spaziale Surveyor III che era allunato il 20 aprile del 1967. Il sito scelto per l’allunaggio era piuttosto differente da quello che era stato scelto per la missione Apollo 11. Visto al telescopio il sito prescelto per l’allunaggio presentava pochi crateri e un colore leggermente rossastro, si pensava che queste caratteristiche indicassero che le rocce del sito di allunaggio previsto per l’Apollo 12 fossero più “giovani” e di differente composizione chimica di quelle del sito dell’Apollo 11. L’Apollo 12 ritornò sulla Terra con 34 kg di campioni, incluse 45 rocce, esempio di suolo lunare e diversi tubi di carotaggio con materiali presi fino a 40 cm sotto la superficie lunare.
Mentre le rocce dell’Apollo 11 erano una miscela di basalti e brecce, quelle dell’Apollo 12 erano soprattutto basalti, con solo due brecce. I basalti dell’Apollo 12 erano di colore scuro tipici di lave solidificate: essi si erano formati tra i 3,1 e i 3,3 miliardi di anni fa, circa 500 milioni di anni dopo quelli prelevati dall’Apollo 11. In genere i basalti sono costituiti da pirosseni e plagioclasi, ma in quelli dell’Apollo 12 si notò anche la presenza di minerali come l’olivina. In particolare i basalti Apollo 12 contenevano meno titanio di quelli Apollo 11 e questo spiegava il colore rossastro del terreno. Le differenze nella composizione chimica e nell’età dei basalti indicavano che il vulcanismo nei “mari” lunari era avvenuto in più periodi e non in un unico evento. Il materiale dell’Apollo 12 infatti era formato da rocce che fondono a profondità di almeno 150 – 250 km sotto la superficie e che era risalito alla superficie prima di solidificare. Il più strano tipo di rocce raccolte nel sito di allunaggio dell’Apollo 12 (durante le due EVA fu esaminato un settore di circa 0,5 km attorno al modulo) fu chiamato KREEP. Questo acronimo sta per K = Potassio REE = Terre Rare e P = Fosforo. Le missioni Apollo 14 e 15 collezionarono altri minerali di tipo KREEP.

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(Apollo 12 KREEP sample 12013. Questo campione ha una massa di 82 gr e una dimensione trasversale di circa 5. NASA/Johnson Space Center photograph S70-43176).

La scoperta delle REE nei basalti dei mari lunari ha aperto nuovi orizzonti nella descrizione e comprensione della storia geologica della Luna, dal momento che le REE sono più antiche del sistema solare stesso. Le REE furono generate in esplosioni di rari tipi di supernova avvenute almeno 12 miliardi di anni fa (come ci indica la scoperta di Tellurio in tre antiche stelle), successivamente questi elementi si dispersero nello spazio e, interlacciati con altri elementi stella-formanti, contribuirono a creare delle protostelle che diedero origine a stelle più giovani come il Sole (formato circa 5 miliardi di anni fa).

La concentrazione delle REE in depositi o minerali permette inoltre di consolidare delle ipotesi sulla geologia dei pianeti e della Luna nel nostro caso. Infatti Le REE sono elementi di peso molecolare rilevante che si concentrano e formano depositi e giacimenti soprattutto per esclusione e non per inclusione, ovvero essi non si legano bene con nessuno dei silicati (la parte dominante) né con gli altri minerali che formano il magma che si raffredda e cristallizza.

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Come risultato esse, le REE vengono “scartate” nelle successive cristallizzazioni finché l’ultimo materiale fuso rimasto si trova a contenere tutti questi elementi, le REE; quando questo materiale si raffredda e solidifica le REE vi restano intrappolate. Non è nostro interesse divulgarci qui sull’argomento della cristallizzazione successiva dell’oceano di magma lunare (per chi fosse interessato: Robert E. Beauford, Rare Earth Elements: A Key to Understanding the Structure and History of Planets. Rare Earth Elements: A key to understanding geological sorting processes in the solar system., in http://rareearthelements.us/ree_in_space, April 2011), quello che ci interessa è che nelle rocce lunari portate sulla Terra dall’Apollo 12, 14, 15 fu scoperta una considerevole quantità di REE.

La nuova corsa allo spazio


L’importanza assunta dalle REE nelle nuove tecnologie ha riportato sotto i riflettori quei vecchi “sassi lunari”, in particolare le KREEP Terrane dell’Oceanus Procellarum. La Cina ha già dato numerosi segnali di temere che le sue riserve possano esaurirsi in un lasso di tempo molto più veloce di quello previsto sia per la smodata crescita economica del paese sia per le smodate richieste di beni utilizzanti REE da parte del mondo globalizzato. A questo proposito non solo ha mostrato un certo interesse nei giacimenti fuori dai suoi confini, come ad esempio i ricchi depositi dell’Afganistan presenti soprattutto nella regione dell’Helmand ai confini col Pakistan attualmente in mano talebana (stima dell’USGS 1 milione di tonnellate di REE nelle carbonatiti Khanneshin), ma anche nelle KREEP lunari.
Il 24 ottobre del 2007 venne lanciato in orbita il satellite cinese Chang’e 1. La missione del Cheng’e 1 aveva quattro importanti scopi: (http://en.wikipedia.org/wiki/Chang%27e_1)

  • ottenere delle immagini tridimensionali delle formazioni lunari e delle strutture geologiche per futuri allunaggi (l’orbita del Chang’e fu stabilita per avere la massima copertura del satellite comprese le aree dei poli non coperte dalle precedenti missioni);
  • analizzare e mappare l’abbondanza e la distribuzione dei vari elementi chimici sulla superficie lunare per poterne valutare le potenzialità e il futuro eventuale sfruttamento. In particolare gli elementi di sottolineato interesse erano 14 (potassio, torio, uranio, ossigeno, silicio, magnesio, alluminio, calcio, tellurio, titanio, sodio, manganese, cromo, e lantanio),quattro in più rispetto ai 10 elementi (K, U, Th, Fe, Ti, O, Si, Al, Mg, and Ca) precedentemente studiati dal NASA’s Lunar Prospector.
  • analizzare le caratteristiche del suolo lunare e assegnarne la profondità come pure la quantità di Elio 3 (3He) presente.
  • Analizzare lo spazio tra i 40.000 kilometri e i 400.000 kilometri dalla Terra registrando dati sui venti solari e l’impatto dell’attività solare sulla Terra e la Luna.

Vale la pena di sottolineare che assieme alle REE la Cina si sta mostrando molto interessata ad un altro elemento dal possibile promettente futuro, l’Elio 3, che sembrerebbe la porta per la fusione nucleare ad uso civile. La produzione di Elio3 è attualmente in mano americana, ma Ouyang Ziyuan, capo scientifico del programma lunare cinese, ha affermato “Noi forniremo il più affidabile rapporto sull’Elio 3 all’umanità, ma chiunque conquisterà la Luna per primo, ne godrà i benefici per primo.” (Nick Azer, China’s Lead Lunar Scientist Speaks On China’s—and the Moon’s—Status., October 28, 2010, http://luna-ci.com/2010/chinas-lead-lunar-scientist-speaks-on-chinas-and-the-moons-status/).
Ancora Ouyang Ziyuan afferma: “C’è una inimmaginabile abbondanza di risorse sulla Luna, per esempio in REE, uranio e titanio. I giacimenti di titanio sulla Luna sono della stessa grandezza dell’intera Cina.” (ibid).
Ovviamente il dr. Ouyang Ziyuan specifica che al momento uno sfruttamento minerario della Luna non è pensabile visti i costi stratosferici che avrebbe, ma è interessante che l’ipotesi non sia esclusa né in termini di sfruttamento futuro, né in termini di politica di potenza, anche se le autorità cinesi si affannano a sottolineare che la loro “corsa allo spazio” non ha assolutamente i caratteri di sfida della famosa corsa USA -URSS degli anni Sessanta. Il problema si fa ancora più intrigante se teniamo conto che la Cina non ha mai pertecipato ai negoziati sponsorizzati dalla UE per un Codice di condotta delle Spazio (Space Code of Conduct) che era programmato per l’ottobre 2012, anzi la Cina (e la Russia) stanno cercando sostenitori per il loro Treaty on the Prevention of the Placement of Weapons in Outer Space (PPWT), che differisce da quello di ispirazione occidentale (cfr: Daryl Morini, “The Coming U.S.-China Space Race” in The Diplomat, Aug 15, 2012, http://thediplomat.com/china-power/a-u-s-china-space-race-in-the-offing/). La sensazione di una nuova sfida spaziale è talmente forte negli USA che un presidente notoriamente molle come Obama ha elogiato lo sbarco di Curiosity su Marte come un “punto di orgoglio nazionale [e un simbolo] della nostra preminenza non solo nello spazio, ma qui sulla Terra.” (Morini, ibid.). In realtà le speranze spaziali cinesi sono soprattutto dovute al un “buco” nel Outer Space Treaty del 1967 che definiva lo spazio, Luna compresa, una risorsa e un bene comune dell’Umanità. Sembra dunque che questa nuova corsa allo spazio sia una versione rivisitata del detto del Marchese di Vauban: “Chi controlla le alture, controlla anche il fondovalle.”
Ma è vero che ci sono così tanti minerali REE sulla Luna? Dai dati sembra che la concentrazione di base delle REE nei KREEP lunari sia solo di poche volte superiore ai livelli di fondo della crosta terrestre e che i suoi depositi con più dense concentrazioni siano solo una frazione delle concentrazioni di REE della Terra. (Comparazione dell’abbondanza terrestre e lunare delle REE, fig .1 e 2). Ma non c’è solo questo: quello che rende veramente profittevole lo sfruttamento dei giacimenti di RRE sulla Terra sono anche i sottoprodotti ovvero gli elementi che vengono estratti con le REE e che sono elementi quali oro, ferro, torio, tanto per citarne alcuni.
Un altro problema di un eventuale sfruttamento minerario della Luna (oltre ai costi del trasporto da e per la Terra) sono le costruzioni che dovrebbero essere elevate per proteggere gli operatori (anche se robot) da polvere spaziale, radiazioni, temperature vicine allo zero assoluto, vuoto, tempeste magnetiche e terremoti.
Eh sì, perché la Luna è soggetta a terremoti.
Quando l’Apollo 12 si alzò dalla superficie lunare, uno degli esperimenti consisteva nel far precipitare il modulo lunare (LM) sulla superficie in modo da rilevare le onde sismiche e avere una migliore “descrizione” della struttura interna della Luna. Il LM colpì la superficie della Luna con una forza pari a 1 tonnellata di tritolo. L’onda sismica d’urto raggiunse un picco in otto minuti e durò per circa un’ora.
Nell’aprile del 1970, l’equipaggio dell’Apollo 13, malgrado le difficoltose condizioni in cui si trovava, eseguì un esperimento mandando il terzo stadio del razzo Saturno a schiantarsi sulla Luna. L’impatto avvenne il 14 aprile 1970 a circa 120 km dal punto di allunaggio dell’Apollo 12 e dai sensori sismici che erano stati posati. La velocità di impatto era di 9000 km/h pari a una potenza di 10 tonnellate di tritolo. Quello che avvenne lasciò di stucco i tecnici della NASA a terra che controllavano i sensori sismici e i misuratori di ionosfera, montati nella missione precedente. Dopo circa 30 secondi dallo schianto il sismografo nel sito dell’Apollo 12 registrò l’impatto e il terremoto che ne seguì durò circa oltre tre ore. “La luna ha suonato come una campana!” esclamò uno degli scienziati sulla Terra. Houston comunicò all’equipaggio: “Sembra che il vostro vettore abbia appena colpito la Luna e questa sta oscillando (rocking) in pochino.” (“Houston, we’ve got a problem” in http://er.jsc.nasa.gov/seh/pg15.htm). Nel frattempo i misuratori della ionosfera misurarono la fuga di una nube gassosa visibile per oltre un minuto. L’impatto del vettore Saturno aveva scagliato particelle delle superficie lunare a un’altezza di 60 km dove furono ionizzate dai raggi solari.
La insospettata risposta lunare fece rivedere tutte le teorie circa la struttura interna della Luna e impose un certo senso di cautela negli esperimenti successivi.
Con la nuova corsa allo spazio i dati dei vecchi sismografi del Apollo Passive Seismic Experiment (PSE) che avevano cessato di funzionare nel 1977, vennero ripresi in considerazione e con sommo interesse si scoprì che la Luna non era un mondo geologicamente morto da milioni di anni come si pensava, ma era sismicamente attiva. I sismografi delle missioni Apollo definirono quattro tipi di sismi: i sismi superficiali (Shallow Moonquacke), i sismi profondi (Deep Moonquakes), i sismi da impatto meteoritico e i sismi termali. I terremoti profondi sono scatenati dalle maree dovute all’attrazione terrestre sulla Luna e si verificano con ciclo mensile, essi si originano in una distinta regione del mantello lunare posta a circa 700 km sotto la superficie. I sismi termici derivano dall’espansione della crosta gelata quando viene illuminata dai raggi del sole dopo due settimane di rigidissima notte lunare.
I terremoti superficiali (Shallow Moonquakes) hanno origine a circa 20 – 30 km dalla superficie. Gli Shallow Moonquakes sono bizzarri e a differenza degli altri tre tipi, che sono leggeri e di poco danno, gli SM registrano magnitudo da 5,5 in su della scala Richter (il terremoto dell’Emilia aveva magnitudo 5,9) e durano per parecchio tempo, anche per 10 minuti (sulla Terra anche i più potenti terremoti non durano più di 2 minuti). Al momento non si sa cosa dia origine a questo tipo di terremoti ed è allo studio di inviare sulla Luna un nuovo sistema di sismografi, ma quel che è certo è che i terremoti superficiali sono una caratteristica fondamentale e un fattore cruciale nella esplorazione ed eventuale sfruttamento lunare.
Marte
Al momento almeno tre grandi riserve geochimiche di REE sono state identificate nel sistema della crust-mantle (crosta-mantello), compreso il mantello primitivo, un mantello antichissimo altamente impoverito, soprattutto campioni di shergottiti con REE leggere e una crosta antica arricchita. Ovviamente gli studi sono in corso, ma dal momento che lo studio dei rapporti nella crosta mantello sono importanti sia per scoprire l’evoluzione del pianeta sia come futuristica fonte materie prime, i test vanno avanti alla grande.
FINE?

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