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Tesina di archeologia delle province romane- le città gallo-romane della Provincia: profilo storico-urbanistico delle strutture edilizie monumentali e abitative.

Creato il 16 luglio 2012 da Leucosia

 Le città gallo-romane della Provincia: profilo storico-urbanistico delle strutture edilizie monumentali ed abitative.

 GLANUM: cenni geografici e storici.

Il sito di Glanum, in prossimità di Saint-Remy de Provence, è situato allo sbocco della gola che permette il passaggio della catena delle Alpilles. Si trattava, per gli antichi, del punto di unione di due strade importanti: la principale da est a ovest, lungo il lato nord delle Alpilles, conduce  verso i basso-piani paludosi ( asse viario che metteva in comunicazione l’Italia con la Narbonense), mentre la seconda consentiva l’attraversamento del massiccio. Proprio per questa posizione privilegiata, Glanum si trovò ad essere un punto molto importante per il commercio terrestre. A ciò si aggiunsero le sorgenti d’acqua e le cave di pietra in abbondanza.

Le fonti letterarie antiche tacciono, ma non i documenti topografici antichi.

La prima occupazione del sito risale almeno all’inizio del primo millennio a.C. (età protostorica), ma gli scavi condotti fino ad oggi hanno portato alla luce solo vestigia del VI – IV a.C. Infatti è a partire dal VII -VI a.C. che risalgono le principali testimonianze archeologiche sebbene molto sporadiche. Questa prima occupazione è un esempio dell’influenza greca su degli agglomerati e santuari del sud della Gallia. Probabilmente qui si venerava con un culto assidua il dio Glan e le Matres Glanicae in templi situati nei pressi di una fonte.

Le prime tracce dell’occupazione del sito risalgono all’inizio del primo millennio a.C., ma è dopo il VI a.C. che viene edificato presso la sorgente un santuario consacrato alle Madri e a Glanum, divinità indigena, attorno al quale si costituisce un piccolo agglomerato, capitale dei Glanii. Questo popolo appare come un ramo della stirpe celto – ligure, i Salii ( Tolomeo nel II a.C. cita Glanum tra le città dei Salii). L’abitato, le installazioni pubbliche, civili o culturali, si

sono sviluppate soprattutto nei due ultimi secoli a.C. , quando gli abitanti di Glanum, per conservare la loro indipendenza, coniavano monete, simbolo di una comunità sovrana. I Glanii aderirono allora alla confederazione dei Salii, il cui centro è Entremont, ma vissero sotto l’influsso di Marsiglia (greca) fino al II a.C. Vi fu dunque una ellenizzazione al contatto con Marsiglia: furono costruite le mura, edifici pubblici con pietre da taglio, dimore lussuose di tipo mediterraneo. Quando Entremont fu definitivamente battuta dai Romani nel 123 a.C. , Glanum continua a prosperare. Alla fine del II e agli inizi del I a.C. Successivamente la città fu parzialmente distrutta ma vi fu una ricostruzione della città gallo – greca (intorno ad abitazioni riccamente decorate e a luoghi pubblici). Quando dalla seconda metà del I a.C. viene posta sotto il dominio romano, c’è l’accordo con i romani della Narbonense e una nuova costruzione.

Dopo il 49 a.C. con la presa di Marsiglia da parte di Cesare, le fertili terre dei Glanii sono sequestrate per diritto di conquista, misurate dai geometri e attribuite alla nuova colonia di legionari veterani. Tutto ciò è dedotto dal “catasto” di Orange, riportato su marmo al tempo di Vespasiano, in cui la centuriazione raffigurata è più antica. Glanum diventa allora un piccolo agglomerato gallo – romano, con lo statuto di “oppidum latinum”: i Glanii si governano da soli e hanno il “diritto latino” (alcuni di loro possono accedere alla cittadinanza romana) e sono chiamati “glanici”. Non vi è alcun apporto italico all’interno della popolazione. È nella seconda metà del I a.C. che Glanum sarà all’apogeo della sua prosperità e manifesterà con la costruzione del Mausoleo la ricchezza e l’integrazione delle elites.

Il potere imperiale (Augusto, Agrippa) dota Glanum di un impianto urbano di prestigio: templi, terme, foro. Dal I al II d.C. una certa prosperità sussiste ma senza alcun progresso: Glanum resta un centro secondario. La città sarà distrutta e abbandonata durante il III d.C.  con le invasioni germaniche. Ma la strada verso sud resta aperta: la presenza sul piano stradale innalzato nella valletta di una pietra miliare col nome di Costantino lo conferma. la città sarà progressivamente smantellata durante la tarda antichità. Con le rovine che servivano da cave di pietre. Si può dedurre con certezza da questa breve storia la presenza dei greci e , successivamente, dei celto – liguri, dei romani, e grazie a scavi recenti, è stata confermata la presenza di altre culture antecedenti a quella greco – romana. Glanum ha almeno cinque secoli di esistenza.

LA RELIGIONE.

A Glanum vi è quindi un ambiente indigeno, aperto nel corso del II a.C. agli influssi ellenistici, poi romanizzato a partire dall’età augustea. La religione gallica è  alla base e ciò  permane anche quando sono introdotte le divinità del pantheon mediterraneo. È soprattutto da sottolineare la devozione legata alle sorgenti: una nella valletta, l’altra più in basso (sotto il foro), probabilmente disposte con una discesa all’area sacra, dalle virtù curative. Una dedica alle Matres Glanicae in alto, un tempio, in basso, ne attestano l’importanza. (Quando qua vicino delle immagini prese dall’iconografia greco – romana appaiono sui capitelli delle colonne della corte lastricata.). quanto ai costumi, l’esposizione delle teste tagliate è attestata a Glanum. Il costume celtico di conservare, imbalsamare e affiggere le teste dei nemici sconfitti è narrato sia da Stradone che da Diodoro Siculo, la cui fonte era Posidonio di Rodi (filosofo e storico). Questa pratica scioccò i greci ma continuò e si spiega nella tradizione celtica. A Glanum sono stati trovati dei crani perforati per l’inchiodatura, frammenti di pali smussati, scavati con alveoli di mandorle, e soprattutto un architrave nel quale, alle estremità, sono stati scavati degli alveoli destinati ad accogliere le teste. Dei perni in ferro che le trattenevano sussistono ancora: un’estremità era fissata nella pietra, con al centro un uncino in rilievo, che doveva perforare l’osso occipitale.  I culti ufficiali di Roma furono introdotti poco tempo dopo lo stabilirsi del dominio romano: vennero edificati due templi nei pressi del foro, con le statue di un gruppo dinastico. I miti cosmici greco- romani sono rappresentati nel quadrifronte del mausoleo. Ma i culti locali gallici persistono: le Madri sono ancora onorate con il dio Glan. Si venera Epona, dea dei cavalli e dei cavalieri. Valetudo, dea romana della salute, coesiste con le Madri (anche chiamate Giunoni) ma a dispetto delle nuove figurazioni, i glanii conservano le loro vecchie credenze: Sucellus che diviene Silvano, resta il dio originale col martello. Ercole, nei pressi della fonte in alto, vede fiorire il suo culto poiché evoca un antico eroe, Mercurio deve il suo successo all’interpretazione romana di un grande dio gallico. Solo il culto di Cibale, la Grande Madre, di Attis e la processione primaverile del pino concorrono veramente questa religione popolare che è quella dell’antica cultura dei glanii.

UNA LUNGA SUCCESSIONE DI POPOLAZIONI.

È questa la prospettiva che lascia intravedere la campagna di scavo che ha avuto luogo dal 1989. Queste indagini riguardano la zona meridionale e in particolare, il passaggio a zig zag davanti alla fonte e al tempio di Agrippa. Questi scavi, ancora in corso, sono orientati verso la zona delle mura. In un primo tempo i lavori miravano ad una sistemazione turistica di queste mura, ma avvenne una scoperta archeologica molto importante. Venne alla luce  una stele a cupola risalente all’epoca protostorica. Ciononostante la sua presenza giusto al di sotto del lastricato della strada poneva un problema, poiché queste stele si trovano in genere nelle mura  più antiche, inserite in una zona di protezione. Erano infatti protezioni contro i nemici ma anche contro gli spiriti malvagi, delimitando uno spazio sacro, anche se il loro significato religioso non è ancora del tutto chiaro. In seguito furono scoperte tre stele con cavalieri del tipo Mondego. Sono delle stele di tipo celtico, ma di epoca pre-celtica, con cavalieri appena stilizzati, intagliati con ciottoli: si datano al 1000 a.C. circa. In seguito gli scavi hanno mostrato che le mura greche non erano le uniche ma che esisteva una successione di mura di epoche differenti. Partivano dalla sorgente, cioè da sud, dirigendosi verso nord, dove si individuò: il muro indigeno, che non è stato datato; costituito da pietre che formano una sorta di tumulo poco accurato, una sorta di promontorio che delimita uno spazio. La seconda fortificazione, alta 2,20 metri, è interessante poiché si inserisce nella precedente. Qui troviamo un inizio di architettura: le pietre sono disposte logicamente, quelle ad angolo ben tagliate e posizionate con l’aiuto di piccole pietre. La terza fortificazione si può collocare in epoca pre-celtica. Al di sotto è stata scoperto lo scheletro di una donna disposto su un fianco, i cui arti inferiori erano stati sezionati dal muro. Questa donna portava dei braccialetti e una collana in bronzo,con una patera d’argilla. È da sottolineare che al di fuori della fortificazione, in età pre-celtica, vi era una popolazione sedentaria. La quarta fortificazione è formata da due torri: una a levante, di forma quadrata, e un’altra a occidente. Dovevano essere molto alte e spaziose. La quinta fortificazione è al centro di grandi interrogativi. Alcuni studiosi credono che sia cartaginese, come a Saint Blaise. Ma non ci sono testimonianze della presenza di Cartaginesi tra Celti e Greci: si tratta di pietre con iscrizioni cartaginesi. Il legame tra Glanum e Saint Blaise era molto stretto e si può avanzare l’ipotesi di un’occupazione punica, ma non la si può confermare. Inoltre a Glanum le fortificazioni si sono aggiunte una sull’altra, mentre a Saint Blaise ci fu una pratica diversa: ogni volta ci fu una colmata.si possono dunque vedere gli strati dal basso verso l’alto a differenza di Glanum , dove sono visibili da sud verso nord. La sesta fortificazione è greca e non si tratta più di una fortificazione a scopo di difesa ma piuttosto di una cinta che separa il quotidiano dal divino, il sacro dal profano. I greci però non hanno utilizzato le fondazioni precedenti. Quanto al periodo romano, ci fu l’aggiunta di una arco con una sorta di contrafforte, poiché il tempio di Valetudo era stato troppo affossato e bisognava evitare una deformazione del muro. Per questo motivo si spiega la presenza di dadi in pietra alla base del tempio di Valetudo. L’insieme di queste fortificazioni definisce una piattaforma mano a mano sempre più grande, facendo intravede l’esistenza, in differenti epoche, di macchine da guerra sempre più potenti. Ognuna di queste fortificazioni corrisponde a uno spazio e a un’occupazione e ad una gestione differente di questo spazio. Se in un primo momento si credeva che la parte meridionale di Glanum era solo un luogo di culto, ora esistono prove che capovolgono la situazione. Glanum ha conosciuto nel corso dei tempi, influssi e dominazioni di ogni sorta e una espansione urbana considerevole.

LO SVILUPPO URBANO DI GLANUM.

Il sito si divide in tre zone principali, ognuna delle quali si sviluppa con un ritmo differente nel corso dei secoli.

Pianta del sito di Glanum.

LA VALLATA DELLE ALPILLES.

Qui c’è un passaggio fortificato, cioè una strada unica, che assicura la vallata delle Alpilles. Questa gola è stata difesa al suo sbocco da un muro di sbarramento ( una fortificazione in grandi blocchi squadrati), posto sull’assise di una fondazione che affiora al livello del suolo ellenistico e si appoggia ad est e ad ovest aui contrafforti rocciosi della montagna. Era sormontato da una merlatura ( sono stati ritrovati ai piedi della muraglia dei merli dalla sommità arrotondata) e dei gocciolatoi per lo scorrimento delle acque dal camminamento di ronda. Questo muro sbarra l’accesso della gola là dove erano le terrazze di un santuario indigeno primitivo, datato al VI – V a.C. Il tratto est della fortificazione era più ritirato rispetto a quello occidentale, come anche al punto di penetrazione della strada, dove era posta una porta a doppio battente, una torretta laterale dominava una posterla che dava accesso a un corridoio a zig zag. Questa porta era doppiata da un passaggio per i pedoni.

Più a sud una seconda porta ostruiva il passaggio incassato della strada: la sua destinazione era quella di sbarrare il cammino alle persone che provenivano da nord. Nello stesso modo bloccava, per i carri, la strada normale a sud.

Nello stesso punto , sottoterra, passava lo sbocco principale ( che parte dal quartiere delle terme, attraversa il nur ovest della Cour à Portique, davanti ai templi gemelli, e va a finire lungo la fortificazione). A lungo ci si è interrogati sull’origine greca o romana di questo allestimento. Ai piedi della fortificazione è stat scoperta una apertura datata precedentemente l’età romana.

Al di là della seconda porta in direzione sud si giunge alla “via sacra”, così detta a causa degli edifici religiosi che la costeggiano. Dirimpetto alla fortificazione sono stati trovati frammenti di ceramica campana, una fibula in bronzo, e nel passaggio centrale una stele celtica, sicuramente appartenente al santuario vicino.

Tra le due porte lo scavo ha messo in luce numerosi blocchi frantumati o ancora integri, datati all’ultima fase romana; ma 30 cm più avanti una lastra in situ indica un periodo più antico. Il muro ovest non è omogeneo e presenta uno scarto cronologico.  A destra della strada, accanto alla seconda porta, è una scala. All’inizio dei gradini, nel muro di sostenimento che limita la strada, è allestita una nicchia cultuale, contenente statue femminili (una frammentaria ritrovata in situ è conservata al museo de Sade), appartenenti al culto locale. Al di sopra della nicchia si trovano:

una dedica in caratteri greci ( alle matres glanicae, testimonianza della venerazione di cui saranno ancora oggetto nella metà del I d.C. le divinità celtiche di Glanum), di datazione più recente rispetto alle statue; una formula di consacrazione in celtico, trascritta in caratteri greci (conservata al museo); in situ, ai piedi della nicchia, su un altare, è un’iscrizione latina, dedicata agli abitanti di Glanum, alle loro divinità madri e protettrici e al dio Glan o Glanis. A queste divinità sarà associato il culto di Fortuna Redux (culto associato nella metà del I d.C. da parte di un veterano dell’esercito romano, M. Licinius Verecundus, probabilmente originario di Glanum).

Dall’altro lato della strada un corridoio lastricato e una scala a tre rampe, dai gradini molto consumati, conducono a un profondo bacino appartenente a una sorgente ( la cui presenza spiega l’esistenza dei culti antichi): il “Ninfeo”. Si tratta di un bacino di forma trapezoidale, con acqua in ogni stagione. Racchiuso da muri in blocchi di calcare, di età preromana, resta un arco in pietra da taglio sostenuto da pilastri che sopportano la copertura e mantengono le pareti. È una galleria di captazione che drenava l’acqua fino a questo profondo serbatoio scavato nella roccia, dal quale attingevano i fedeli.

Questa è una delle più importanti scoperte fatte dall’inizio delle ricerche, che fa capire l’origine stessa della città; inizialmente un semplice agglomerato protostorico raggruppato intorno ad una fonte che presto, dotata di tutte le qualità soprannaturali che la superstizione attribuisce alle sorgenti, diventa una fontana sacra, reputata guaritrice, attorno alla quale la venerazione popolare crea un santuario. All’inizio il santuario si presenta come un temenos indigeno, poi è delimitato dai muri della fortificazione ellenistica, fino a che non si estende oltre la fortificazione per annettere al suo perimetro di età pre-romana numerosi edifici.

Il Ninfeo, molto sobrio nel suo stato primitivo, in seguito verrà restaurato e dominato da un edificio riccamente decorato: il tempio di Valetudo (divinità della salute), costruito per volere di Agrippa nel 20 a.C. Dei capitelli corinzi,fusti e basi di colonne, elementi dei pilastri furono ritrovati insieme ad una dedica incisa su grandi blocchi, visibile a sinistra della strada: ne restano due elementi, ma ciò non impedisce la sua restituzione, confermata da un’altra dedica proveniente dallo stesso tempio. La prima iscrizione daterebbe il tempio al 20-19 a.C. , ma è difficile stabilire la posizione esatta della fondazione del tempio di Agrippa (sulla fonte o in prossimità della fonte?). due pietre ritrovate nelle rovine della cella provengono dall’interno del tempio: la prima è un altare con un coronamento che porta una dedica con la menzione del nome di Valetudo, la seconda è la parte inferiore di una statua femminile (forse Valetudo). La posizione del tempio di Agrippa è elevata, le sue dimensioni ridotte e  il suo impianto è lungo la via sacra. La pianta è quella dei templi prostili e la facciata principale guarda a sud verso la fonte. L’edificio è posto su un podium, costituito da un antico muro appartenente all’allestimento ellenistico del Ninfeo.

A destra del corridoio che conduce alla fonte: una sala è stata allestita come santuario di Ercole in età romana. Costruito in opera mista, blocchi e pietre, dove s’incontrano anche elementi di reimpiego, è datato alla metà del I a.C. Formato da due sale unite e comunicanti tra loro; il primo ambiente presenta nel mezzo una stanza il cui centro è occupato da un disco che sostiene una colonna. Nel muro sud dell’ambiente una porta dava accesso ad un altro vano. Lo scavo ha fornito vari oggetti, ma soprattutto la statua di una divinità maschile, con base inscritta e sei altari votivi dedicati ad Ercole con sette iscrizioni dedicatorie. Il più importante è il testo inciso sulla base della statua che ricorda che è stata offerta ad Hercule Victor da Cneus Pompeius Licinius Macer e dagli ufficiali e soldati originari di Glanum. Il raggruppamento di altari intorno alla statua di Ercole vittorioso potrebbe far pensare ad una rappresentazione guerriera, ma è contraddetta dall’iscrizione sullo zoccolo che esprime l’augurio del loro ritorno e la preghiera per la conservazione della loro salute: Ercole è dunque un guaritore e protettore delle sorgenti.

Di fronte alla sorgente e al santuario di Ercole, dall’altro lato della strada: una scala conduce verso dei successivi terrazzamenti (VI a.C.). A destra e a sinistra della strada si trovano altri ambienti senza alcuna destinazione particolare. Se la densità dei monumenti è importante, il luogo troppo esiguo non si presta a realizzazioni di maggiore ampiezza; perciò il centro monumentale della città viene costruito più a nord, dov’era lo spazio necessario.

LA ZONA CENTRALE DEL SITO: IL CENTRO MONUMENTALE GALLO-GRECO.

Inizialmente si trattava di un tempio, del II a.C., rivolto verso il santuario e la vallata. La sua pianta, anche se mal conservata, può essere restituita senza problemi; ma sono soprattutto gli elementi dell’elevato, ritrovati da H. Rolland, che permettono di dare un’immagine più precisa. Non si conoscono bene invece gli edifici che separavano questo piccolo tempio dal santuario della sorgente; tracce molto in rovina rivelano ciò nonostante la presenza ad una trentina di metri dal tempio di un edificio organizzato intorno ad un cortile rettangolare attorniato da portici, con un pozzo. È questo che cattura la nostra attenzione, a causa della sua straordinaria longevità ( dall’inizio del II a.C. fino al I d.C.) e della posizione centrale che occupa all’interno dei programmi monumentali che si sono succeduti in questo settore. Questi sono gli edifici più antichi noti nella zona nord del centro monumentale di Glanum. Più a sud si trova l’agorà, la piazza pubblica, fino alla fortificazione che proteggeva il solo santuario della gola, lasciando scoperto il resto della città. Quando le legioni romano marciarono in Provenza nel 125/124 a.C. , fu proprio il santuario indigeno, con le sue stele, le sue statue scolpite e i pilastri con le teste decapitate, la principale vittima di quest’incursione, le cui vestigia si ritrovano come pezzi di reimpiego nella maggior parte degli edifici costruiti successivamente. Infatti Glanum si risolleva rapidamente dalle sue rovine; pare che abia raccolto dopo la sconfitta l’energia e le ricchezze delle popolazioni indigene, particolarmente dinamiche nel corso del II a.C. La notorietà del santuario, la sua tradizione monumentale già provata, sembrano siano state un simbolo doppio per il popolo salio: quello della resistenza all’assoggettamento e quello della capacità nell’assimilazione autonoma degli apporti della civilizzazione grecoromana. Infatti, l’ultimo quarto del II a.C. e i primi anni del I a.C. vedono Glanum in uno straordinario fervore edilizio.

Costruiti sulle rovine degli edifici precedenti, dei quali si riutilizzano nelle fondazioni numerosi elementi, i monumenti (scavati da H. Rolland) si presentano attorno all’agorà, ai piedi della fortificazione coronata da merli arrotondati. Nell’uscire dalla vallata della sorgente, attraverso la porta della cinta, si contempla un paesaggio urbano improvvisamente esteso, con piacevoli prospettive monumentali. Queste sono, principalmente, a sinistra, due piccole cappelle gemelle, ognuna delle quali custodisce un eroe scolpito su uno zoccolo elevato, attorniato da stele dipinte.Queste cappelle inquadrano una scala che sale verso il santuario rupestre, di cui non vi sono che deboli tracce. A destra, un portico a due navate raccoglie l’acqua corrente davanti all’entrata del santuario in un bacino in pietra: secondo H. Rolland, qui i pellegrini facevano delle abluzioni purificatrici, prima di entrare nel santuario. Subito dopo segue un’esedra. Di fronte era il bouleterion e, a lato, un edificio con vestibolo e due ambienti, che pare essere legato funzionalmente al bouleterion.

La zona settentrionale del centro monumentale di Glanum, che poi sarà sostituita dal foro romano, è meglio conosciuta.

Ai piedi del tempio è scavata una scala tortuosa, che presenta almeno tre rampe e due gomiti (?), la quale  conduce otto metri più in basso verso l’acqua di un pozzo sacro, di tre metri di diametro. Il corridoio (dromos) era coperto da lastre e il pozzo probabilmente era sormontato da un’edicola, poiché su di questo si orientava e apriva le sue porte il nuovo edificio che aveva sostituito la vecchia costruzione con peristilio rettangolare, di cui sono stati riutilizzati numerosi elementi. Il pozzo era circondato da un bacino lastricato poco profondo, è situato al centro del portico meridionale dove si trova anche in legame ottico con il pozzo a dromos, grazie alla larga porta del portico settentrionale. Negli ambienti meridionali vi erano un altro piccolo bacino e delle aree lastricate; nell’angolo sud-ovest, una fontana circolare si apriva sulla strada che affiancava l’edificio.

Questa era la situazione al limite nord dell’agorà, nell’immediata prossimità del bouleterion e dell’edificio limitrofo, la cui funzione era probabilmente amministrativa. La sua pianta è quella di un’abitazione , ma molto più vasta e lussuosa rispetto a quella scavata durante i primi scavi nell’isolato nord-ovest. La suppellettile rivela delle preoccupazioni sacre,come anche i materiali. Un tale edificio a Glanum, associato al bouleterion, mostra l’ampiezza e la profondità dell’ellenizzazione del santuario alla fine del II a.C. anche se è difficile valutare la realtà politica indigena (aristocratica) che aveva voluto dotarsi di questi monumenti, specifici della polis.

Questo periodo di fortuna e di brillante civilizzazione termina nel 90 a.C. , all’epoca della spedizione punitiva romana che mette a termine l’ultimo tentativo di resistenza salio. Relativamente risparmiata nel 125/124, Glanum questa volta fu saccheggiata. Massacri e deportazioni la privarono di forze; alcuni edifici non furono più ricostruiti, altri maldestramente restaurati. A nord dell’agorà scavi recenti danno un’analisi più precisa della trasformazione del settore. Il cambiamento più radicale riguarda la destinazione del settore. Non si tratta più di uno spazio pubblico e sacro. Sulle rovine del tempio e dei monumenti vicini sono costruite delle modeste abitazioni. Il pozzo a dromos sembra essere il punto d’acqua comune a queste abitazioni e non è certo se conservasse o meno il suo carattere sacro. La sua parte circolare, smantellata, fu rimontata con pietre disposte in fretta. L’edificio (LVII) perde una parte del suo peristilio e riceve diversi allestimenti, ma il pozzo centrale rimane. Il quartiere vive molto male nel corso del I a.C.

L’abitazione aux deux Alcoves è ancora ridotta nella parte orientale. La vallata poco a poco è rimpiazzata da una canalizzazione che permette alle due abitazioni di estendersi e a una terza (XII) di essere costruita. Queste abitazioni furono distrutte dalla guerra civile (caduta di Marsiglia nel 49 a.C.); i restauri e gli ampliamenti daterebbero allora alla rioccupazione del quartiere all’inizio del periodo più stabile successivo alla concessione dello statuto di oppidum latinum nel 45 a.C. Questo cambiamento di statuto  marca il punto d’inizio della reale romanizzazione del santuario salio. Quanto alle modeste abitazioni del quartiere centrale, scompariranno poco a poco mediante espropriazioni per la costruzione di edifici pubblici.

IL CENTRO MONUMENTALE GALLO-ROMANO.

Tra il 45 e il 27 a.C.i miglioramenti riguardano l’abitato, le tombe delle famiglie agiate e il santuario dove è dedicata verso il 39 a.C. una cappella corinzia alla divinità romana della salute Valetudo (XXXVIb). A partire dal 27 a.C.(anno in cui Augusto visita la Provincia, riorganizzandola con il nome Narbonense, e va a stimolare le città della regione), Glanum è dotata di un centro monumentale rinnovato ma sensibile all’eredità del suo passato architettonico.

Inizialmente la casa aux deux Alcoves il pozzo con dromos scomparirono sotto il foro augusteo del 20 a.C. , poi le abitazioni XVI, XIX e XII. Gli elementi essenziali del foro romano di età imperiale sono riuniti attorno a una piazza lastricata contornata da portici (XXIIa), la basilica (XXIa e il santuario del culto imperiale. Grazie ai lavori gli edifici così seppelliti sotto grandi rinterri sono pervenuti fino a noi in uno stato di conservazione eccezionale.

Gli  edili concepirono un primo centro monumentale in modo modesto e originale. La disposizione è insolita: per conservare il pozzo sacro e lasciare la prospettiva verso il santuario della fonte, i templi gemelli sono posti sul lato ovest del complesso. Un altro monumento chiude la piazza a est (H. Rolland vi ha riconosciuto un teatro).

La piazza del Forum è ancora un’area lastricata quasi quadrata, aperta a sud e chiusa a nord da un portico a due piani al quale si accedeva mediante una scalinata monumentale. Da ogni lato si articola un portico. Rispetto al precedente forum sprigiona una impressione di omogeneità e di una lieve differenza tra il corpo principale e le ali dell’edificio. Ma si assicura una transizione progressiva tra il centro monumentale gallo greco e quello dell’oppidum latino. Più a sud del portico a due piani è restaurato, le rovine delle cappelle sono ricoperte da una pavimentazione che sostiene un piccolo monumento.

La decorazione architettonica degli edifici testimonia la progressiva messa a punto di un paesaggio monumentale che mano a mano è segnato dall’esaltazione della conquista. Negli anni 20-10 a.C. fu costruito un peribolo a tre ali, una fontana in un’edicola semicircolare, con trofei e galli prigionieri. Infine verso la metà o la fine del regno di Augusto, il pozzo scompare al di sotto di una piattaforma lastricata. Avviene nello stesso periodo in cui un arco è eretto all’ingresso dell’agglomerato.

Alla fine del 20 a.C. il centro di Glanum è modesto: il forum pressoché quadrato ha solo a nord un portico a due livelli in luogo della basilica.

Il terzo decennio a.C. dunque ha coinciso con un rimodellamento delle aree pubbliche della città. Ma è solo alla fine del regno di Augusto che l’ingrandimento del forum verso nord permette di dotare la piazza di un annesso coperto, una basilica con deambulatorio periferico. Quest’ultima si caratterizza per il suo volume e la sua autonomia.

La lezione urbanistica fornita dalla città di Glanum è in sostanza questa: la romanizzazione di insediamenti preesistenti non comporta necessariamente la realizzazione di un tessuto ortogonale. L’interesse per la geometria nel campo urbanistico è limitato alla possibilità di poter definire delle gerarchie spaziali evidenti e di assicurare un’efficace distribuzione degli organismi della nuova amministrazione. Nel resto della città, cioè nei quartieri in cui si era sviluppato l’abitato privato, se il livello di razionalità appare sufficiente, non è necessario ricorrere ad una distruzione o ad una sistematica ristrutturazione.

Glanum: fotografia aerea del sito.

2.2 Aspetti decorativi nelle abitazioni di Glanum.

L’architettura e la decorazione delle abitazioni.

L’interesse per le abitazioni di Glanum risale all’epoca dei primi scavi; purtroppo le ricerche, non essendo state condotte con il rigore metodologico degli scavi odierni, hanno causato la dispersione delle informazioni stratigrafiche, indispensabili per individuare la cronologia e comprendere i rapporti tra i muri. Inoltre le varie strutture riportate alla luce sono state più volte oggetto di restauri. Soltanto grazie ai lavori  effettuati da H. Rolland è stato possibile intraprendere uno studio attento delle antiche abitazioni di Glanum: alle distinzioni cronologiche stabilite dal Rolland corrispondono infatti differenti tecniche di costruzione e di concezione dell’abitato. Sono state dunque individuate le seguenti fasi:

-   Glanum I: fino al II a.C.;

-   Glanum II: dal II a.C. alla metà del I a.C.;

-   Glanum III: dalla metà del I a.C. alla fine del II d.C.

Glanum I: l’eredità della tradizione ellenistica.

In quest’epoca l’abitato si estende al di là del tempio XVII e delle strutture ad esso connesse, nella parte settentrionale del sito. Si divide in due isolati: quello nord-ovest ed il settore destinato alle terme. Le abitazioni sono edificate con la tecnica tipica del periodo: blocchi di pietre a paramento assemblati con giunti vivi. L’isolato nord-ovest è formato da almeno tre abitazioni e da un edificio, probabilmente un mercato; quest’ultimo edificio si apre a nord e a sud su due abitazioni.

La  “Maison des Antes”, situata a nord, è un esempio tipico dell’architettura domestica di questo periodo. Una corte rettangolare, provvista di impluvium, occupa più o meno il centro della casa; dei portici circondavano la corte, mentre gli ambienti sono raggruppati in tre ali: l’ala orientale, formata da tre ambienti dalle funzioni sconosciute, l’ala settentrionale con gli ambienti di rappresentanza e l’ala occidentale, formata da altri tre ambienti. Nell’angolo meridionale dell’ala settentrionale, l’unica conservatasi fino ad oggi, è una scala che conduceva al piano superiore.

La “Maison d’Atys”, situata a sud e comunicante con il mercato, ha una planimetria trasformata da successive parcellizzazioni dell’abitato. Per questo motivo la corte, abbastanza ristretta, assomiglia più ad un atrio che ad un peristilio. La disposizione degli ambienti attorno alla corte è simile alla “Maison des Antes”, anche se in questo caso gli ambienti di rappresentanza sono situati a sud. L’entrata  invece è postanella parte meridionale dell’abitazione e non sembra che sia stata modificata successivamente.

Altre abitazioni della fase Glanum I hanno un impianto simile come la “Maison inique”, la “Maison du Capricorne”, la “Maison Hellenistique”.

Glanum II : l’importanza dell’influsso italico.

Sembra che siano sopravvissuti pochi edifici intatti dopo la distruzione del sito avvenuta alla fine della fase Glanum I , in seguito ricostruiti rapidamente.  Gli elevati in semplice muratura sono sostituiti da blocchi regolari legati tra loro e consolidati da lastre che formano degli ortostati, mentre la parte superiore dei muri è costituita da mattoni crudi. Il settore nord conserva le sue funzioni di abitato e si estende verso sud, sul tempio XVII: infatti sulle rovine di quest’ultimo saranno edificate quattro abitazioni con un’organizzazione degli spazi interni completamente diversa dalle precedenti dimore; inoltre le case non sono più raggruppate in isolati, ma sono separate da strade, munite di un sistema di scorrimento delle acque.

La “Maison de Sulla”, costruita in modo omogeneo e abbastanza ben conservata, consente di comprendere meglio la disposizione dell’abitato. Dotata di una pianta pressoché quadrata, il lato nord si fonda sui resti dell’antico tempio; gli ambienti sono distribuiti in due ali ad angolo retto, che inquadrano una corte più o meno quadrata. L’ala nord comprende tre ambienti, di cui quello centrale presenta una ricca decorazione: sul pavimento un mosaico con decorazione geometrica ha sopra iscritto anche il nome del proprietario dell’abitazione – CO(RNELII) SULLAE. Le pareti presentano una decorazione dipinta. Ai lati di quest’ambiente sono presenti due piccoli vani (cubicola): i pavimenti sono decorati da mosaici mentre le pareti da pitture. Gli ambienti dell’ala occidentale invece sono meno ricchi.

La “Maison XVI” situata ad est rispetto alla “Maison de Sulla” presenta un’organizzazione degli spazi simili a quella della “Maison aux Deux Alcoves”, cioè due ali disposte ad L intorno ad una corte.

All’epoca di Glanum II le abitazioni del settore nord subiscono una serie di trasformazioni: ad esempio la “Maison d’Atys” è ricostruita, mentre la “Maison des Antes” solo parzialmente.

Glanum III: le ultime trasformazioni dell’abitato.

Quest’ultima fase inizia con delle profonde modifiche del paesaggio urbano. Nella zona nord-est del sito viene edificato un impianto termale che va a cancellare una parte dell’antico abitato; durante l’età imperiale l’estensione di queste terme provocherà nuove distruzioni. Ad esempio la “Maison du Capricorne” situata accanto alla piscina delle terme, è trasformata in spogliatoio, con inoltre un rifacimento dei mosaici. Nel settore centrale invece con la costruzione del nuovo foro avviene la distruzione della “Maison aux Deux Alcoves”; qualche decennio dopo, con l’ingrandimento del foro, altre tre abitazioni vengono distrutte e dopo la realizzazione della Curia e dell’Aedes Augusti, la “Maison Hellenistique” è ridotta ad una semplice corte.

Glanum, pianta della Maison des Antes

Glanum, le vestigia della Maison des Antes.

Glanum, pianta della Maison d’Atys.

Glanum, mosaico proveniente dalla Maison d’Atys.

Glanum, mosaico proveniente dalla Maison du Capricorne.

La maison des deux alcoves a Glanum 

L’abitazione.

I resti della dimora riportati alla luce sono incompleti: la pianta presenta una corte angusta e quattro ambienti. L’abitazione, costruita in opera incerta e datata alla fine del II a.C., doveva essere abbastanza spaziosa; l’entrata si affacciava su una stradina. Il secondo ambiente è un cubicolo con due alcove. Soltanto due ambienti conservano la decorazione parietale ma solo nella zona inferiore; questi ambienti sono disposti in infilata e comunicano tra loro mediante una piccola porta.

Le pitture.

Lo studio accurato dei frammenti ricomposti, insieme a quello delle pitture in situ, ha consentito una ricostruzione abbastanza certa delle decorazioni parietali dell’abitazione. Innanzitutto risulta evidente che la decorazione si adatta alla funzione dell’ambiente: nell’anticamera è presente una semplice decorazione lineare, con steli a volute e con dei pannelli con rettangoli o losanghe, sormontati da una falsa cornice a dentelli. Al di sopra della decorazione propriamente detta vi sono le finestre. Si tratta di una decorazione piuttosto tarda e a buon mercato di un motivo decorativo più ambizioso, come lo si può vedere nell’ambiente di fondo.

Due alcove ad angolo retto, separate da una muratura in pisè che permette di separare i due letti; probabilmente tutte e due le alcove dovevano terminare con una volta inquadrata da stucchi,anche se non esiste alcuna testimonianza che avvalli quest’ipotesi. Sulle pareti sono stati accuratamente sottolineati gli spigoli importanti con delle colonne modellate con giochi di luce, mediante un sapiente chiaroscuro sulle scanalature. Lo zoccolo sottostante è picchiettato o venato con uso di colori vivi ad imitazione del marmo.  Su una parete lunga sono invece dipinte filari di lastre a false bugne in rosso ed ornati da un motivo a perle. Tra le colonne invece vi sono ortostati dipinti ad imitazione dell’alabastro, dell’agata e di altri marmi preziosi. Le linee d’incisione sono rese in bianco dove cade la luce, con toni scuri dove sono in ombra, creando in questo modo un effetto di rilievo e di animazione che rafforza le bende di alloro che dividono i vari ortostati. Al di sopra invece sono raffigurate altre bugne disposte di testa e di taglio, dipinte sempre ad imitazione di marmi e rivestimenti preziosi. La decorazione dell’ambiente termina con un falso soffitto a cassettoni e una cornice a dentelli

I colori sono vivi e saturi

La cronologia.

Questo tipo di decorazione parietale è una delle più antiche testimonianze della pittura parietale in Gallia ed è datata al 60/50 a.C.

Glanum, Maison aux deux Alcoves: restituzione grafica del cubicolo.

. Glanum, Maison aux deux Alcoves: restituzione grafica del cubicolo.

Glanum, Maison aux deux Alcoves: particolare della restituzione grafica, con decorazione parietale in II stile ad imitazione di marmi preziosi e colonna con capitello ionico a sottolineare lo spigolo dell’alcova.

 

 NIMES: cenni geografici e storici.

La città di Nimes, in epoca celtica fu capitale dei Volsci Areconici; nei pressi dell’insediamento era una fonte sacra, dedicata al dio gallico Nemausus (Nemoz), da cui il nome della città odierna .

Situata nella bassa Linguadoca, ai piedi delle colline calcaree delle Garrigues, lungo un antico percorso che dall’Italia portava alla Spagna, fu teatro di numerosi eventi storici: nel 218 a.C. sopraggiunge Annibale, alla volta dell’assalto di Roma, insieme al suo esercito cartaginese, senza incontrare opposizioni da parte della popolazione celtica; nel secolo successivo,tra il 125 e il 120 a.C. , il console romano Cneus Domitius Aenobarbus riprende lo stesso percorso compiuto dal comandante punico, per conquistare la Spagna e successivamente la Gallia Narbonense, migliorando la via di collegamento e denominandola Via Domitia. I Volsci Areconici divennero, tra tutte le tribù celtiche, i principali alleati dei romani.

Nel 25 a.C. divenne una colonia, col titolo di Colonia Augusta Nemausus[1]: in particolare Augusto si mostrò molto sollecito nei confronti della città[2], dotandola di una sistemazione monumentale.
Raggiunse il massimo splendore nel II d.C. sotto gli imperatori Adriano e Antonino Pio per poi decadere durante le invasioni visigote.

L’impianto urbanistico della città.

Grazie allo studio di ciò che resta dei catasti urbani rimanenti e all’analisi della centuriazione delle regioni circostanti alla via Domitia, siamo oggi in grado di capire meglio quali fossero le intenzioni nei confronti di questa città negli ultimi due decenni del I a.C.

Da un lato sono crollate radicali certezze – come l’esistenza di un decumanus maximus rettilineo – dall’altro è emerso che gli assi sui quali si organizzavano i più importanti edifici augustei sono molto vicini a quelli del reticolo B della centuriazione rurale. Questa osservazione rende legittima l’ipotesi che la riorganizzazione delle campagne, che dipendeva a sua volta dalla concessione dello ius latii alla civitas arecomica sia stata avviata in concomitanza della sistemazione urbanistica di un ampio settore della capitale.

Le dimensioni degli isolati non sono precisabili, ma siamo sicuri che, almeno nel settore occidentale, la divisione si basava sull’actus e sullo iugero (un doppio actus).

La città augustea fu dunque pianificata rigorosamente nonostante l’assenza di grandi vie rettilinee ed il tracciato estremamente irregolare della cinta muraria che a nord segue le curve di livello.

Contrariamente a quanto è stato osservato per altre città della Gallia Narbonense (ad esempio Arles), questo programma urbanistico sembra articolarsi su due centri abbastanza distanti fra loro: un luogo sacro tradizionale, quello della fonte perenne ai piedi del Mont Cavalier, ed un foro, più vicino al centro urbano propriamente detto. Le installazioni più antiche sono quelle nate intorno alla sorgente; il riferimento cronologico è dato da iscrizioni in onore di Augusto del 25 a.C.

In un altro lavoro è stato dimostrato che si tratta di un Augusteum che aveva inglobato un sito religioso di tradizione celtica.; si ritrovano tutti gli elementi che, nelle fonti letterarie ed epigrafiche, definiscono questo tipo di santuario: altare monumentale, portico periferico, ambiente di culto (il preteso “tempio di Diana”, databile all’inizio dell’Impero) e teatro (attualmente ricoperto dal parco cittadino)[3].

A Nimes abbiamo uno degli esempi più antichi   e meglio conservati di questa prassi, che sotto Adriano sarà arricchito ulteriormente, costruendo per questo complesso un propylon monumentale nel braccio meridionale del portico, volto verso la città.

Vista la sua posizione, questo complesso non poteva essere dotato di foro e si rese pertanto necessaria l’apertura di uno spazio più centrale; il foro, fiancheggiato a nord dal decumanus, si trova al limite del settore rimaneggiato in età augustea; vicino ai quartieri orientali è in diretto contatto con l’Augusteum tramite una via ben visibile nel tessuto urbano.

Verso il limite meridionale del foro, orientato secondo gli stessi assi del peribolo del santuario, fu costruito un tempio dinastico dedicato ai Caesares (la Maison Carrè); probabilmente questo edificio prima della morte dei figli adottivi di Augusto nel 2 e nel 4 d.C. , era stato concepito in funzione del culto di Roma e Augusto. Circondato da portici sui tre lati in posizione elevata rispetto alla piazza e all’estremità del suo asse longitudinale, l’edificio domina lo spazio circostante come un capitolium. Degli edifici annessi al foro non sappiamo nulla; un’iscrizione reimpiegata nelle mura tarde parla di una basilica, mentre in una sala individuata nel XIX secolo e subito dopo distrutta è stata identificata la curia: questa si ergeva all’estremità opposta della piazza, di fronte alla Maison Carrè. Questi edifici ufficiali ed il ruolo da essi svolto nell’organizzazione dello spazio urbano presuppongono un progetto urbanistico che non riguarda l’intera superficie abitata, ma certamente il settore occidentale della città.

Il programma applicato a Nimes lo ritroviamo nella celebre iscrizione di Eresos (isola di Lesbo, provincia d’Asia), in cui un evergete afferma di aver costruito sul posto poco dopo il 14 d.C. un tempio in onore di Augusto e, “nel punto migliore dell’agorà”, un temenos ed un santuario in onore di Gaio e Lucio Cesare; in una proprietà privata aveva inoltre edificato un temenos ed un santuario dedicato a Livia Augusta. La stessa costruzione delle mura deve essere rientrata almeno in parte in questo programma, se è vero che il punto forte di questa cinta particolarmente monumentale, datata al 16/15 a.C., la “Tour Magne”, fu concepito in relazione al sottostante Augusteum per il quale fungeva da segnale simbolico. Anche se il sito della Tour Magne era condizionato dalla presenza di una torre pre-romana dell’oppidum di Mont Cavalier, le dimensioni e l’orientamento si spiegano solo tenendo conto del legame strutturale  ed ideologico con la fondazione cultuale di età augustea. Se conoscessimo meglio l’abitato di Nimes forse potremmo constatare che le attività produttive erano concentrate nei quartieri orientali, a quanto pare più popolari e non interessati da una riorganizzazione urbanistica capillare. Ciò che resta delle mappe catastali e i recenti scavi effettuati in diversi punti della città rivelano l’esistenza di un reticolo urbano anteriore a quello augusteo databile in età cesariana o forse anche prima, poiché ci si è resi conto che la città pre-romana era molto più grande di quanto si credesse fino a poco tempo fa.

Ma la ristrutturazione augustea ha interessato solo il settore occidentale della città e in ciò si scorgerebbe il segno di una certa emarginazione sociale. Almeno un fatto è certo: scavi recenti hanno riportato alla luce degli edifici grandi e lussuosi immediatamente a sud del santuario della sorgente; è difficile dire se si tratti di strutture pubbliche o private, ma quel che è certo è che i quartieri vicini all’Augusteum erano molto ricchi e monumentali.

 Aspetti decorativi nelle abitazioni gallo-romane di Nimes.

Gli scavi condotti nella città di Nimes hanno riportato  in luce alcuni esempi del tipo di decorazione presente nelle abitazioni gallo-romane tra la fine del I e gli inizi del II sec d.C.

Uno degli elementi principali è il mosaico con pantere, ritrovato nel corso degli scavi effettuati al “Villegiales des Bénédictins”, rue Rouget de Lisle. Si tratta di un mosaico, realizzato con tessere bianche e nere, raffigurante due pantere ai lati di un cratere da cui zampilla dell’acqua; gli animali posano le loro zampe sulle volute del cratere, mentre una sottile fascia in tessere nere incornicia il tutto. Probabilmente l’ambiente ornato da una tale decorazione, dato il suo carattere dionisiaco, doveva avere funzione di ricevimento. Cronologicamente si data tra la fine del I e gli inizi del II d.C.

Particolare del mosaico con pantere, attualmente esposto alla Maison Carrè di Nimes.

Nel 1981 nel corso di un’indagine archeologica che ha interessato rue Pasteur e rue Benedictins, è stata individuata una porzione di muro appartenente con ogni probabilità ad un’abitazione gallo-romana. I frammenti di pittura parietale, datati tra la fine del I e gli inizi del II d.C. ,per esecuzione e qualità, testimoniano la ricchezza di tale dimora.

Nel primo dei due frammenti è presente una decorazione a fondo bianco, in cui è raffigurato, al di sopra di un elemento architettonico, un animale fantastico, e lateralmente una cornice con motivi vegetali.

Nel secondo frammento di decorazione parietale invece è raffigurato un candelabro vegetalizzato, su fondo scuro e lateralmente inquadrato da due fasce verticali rosse.

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In prossimità dell’Augusteum di Nimes è stato individuato un ampio quartiere residenziale – Villa Roma – appartenente ai primi due secoli d.C. e caratterizzato dallo sviluppo di abitazioni su due terrazze.

Gli ambienti di norma sono organizzati intorno ad una corte centrale, evidenziano una certa cura nella realizzazione di pavimenti e pareti.

Lo stato di conservazione delle pitture è vario: di solito sono preservati in situ le parti inferiori delle decorazioni, mentre negli stati di crollo sono stati individuati i frammenti d’intonaco dipinto e ricomposti.

Nell’ambiente 2 dell’abitazione 10 abbiamo un esempio di pittura parietale in III stile finale.

Al di sopra di un basso plinto giallo è la fascia dello zoccolo , formata da un’alternanza di larghi pannelli rossi e stretti scomparti gialli, mentre lungo il margine superiore dei quali si sviluppa un fregio a fondo nero, ovvero la predella. La zona mediana, a fondo monocromo rosso, risulta tripartita mediante sottili candelabri gialli in pannelli, di cui quello centrale ha un quadro figurato. È probabile che il rivestimento parietale, la cui altezza complessiva è stata calcolata intorno ai 4 metri, non prevedesse uno sviluppo della zona superiore, ma che il margine sommatale dei pannelli rossi venisse concluso da una cornice in stucco che correva a contatto con la superficie del soffitto. Questa testimonianza è detta “decor aux personnages grotesques” per il carattere delle raffigurazioni attestate lungo la fascia della predella – elemento tipico dello schema parietale a partire dalla fase di III stile, che nell’esempio di Nimes assume una rilevante importanza sia nella sua altezza rispetto al complesso dello schema parietale (circa 40 cm) sia per la ricercatezza ed il livello di elaborazione dei sistemi decorativi, perfettamente coerenti con la funzione di ricevimento dell’ambiente. Connotati da marcati tratti caricaturali, i personaggi si propongono con un chiaro intento comico: scene erotiche, parodie di miti (Aiace e Cassandra). Tutto ciò poi è in esplicito contrasto con la scena del pannello centrale, dov’è raffigurato un personaggio maschile, armato di lancia e calzante stivaletti, seduto in primo piano e con due costruzioni in fuga architettonica sullo sfondo: si tratta di una figura mitologica, probabilmente Ippolito, dati gli attributi.

La qualità di questa decorazione denota la presenza di committenti collocabili in un considerevole livello sociale, in grado di esibire elementi di autorappresentazione; confronti simili non si trovano nella Narbonense.

 Forum Julii : cenni geografici e storici.

La colonia romana di Forum Julii fu fondata da Giulio Cesare intorno al 50 a.C. in luogo dell’insediamento celto-ligure degli Ossibieni; quest’ultimo era situato in posizione strategica, tra le colonie greche di Antipolis (Antibes) e Massalia (Marsiglia).

Collocata tra i Maures e l’Esterel, sull’estuario dei fiumi Argens e Reyan,  la colonia romana sorgeva su uno sperone roccioso che domina il mare; in breve tempo divenne un importante centro agricolo e artigianale, essendo dotato di un porto commerciale e collegata alla via Aurelia.

Denominata da Cesare “colonia octavanorum” (in riferimento all’Ottava legione) venne citata nei loro scritti sia da Tacito (“claustra maris”) che da Strabone (“navale augustii”).

Tra i personaggi illustri di quest’antica città romana della Narbonense bisogna ricordare Caius Julius Agricola, suocero di Tacito.

Il sito di Forum Julii sulla Tabula Peutingeriana.

Numerose sono le vestigia monumentali dell’antica colonia romana:

-   il porto antico (al giorno d’oggi insabbiato), un bacino artificiale dalla forma di un poligono irregolare, realizzato tra le paludi ai piedi dell’oppidum e collegato al mare tramite un canale, che nel 31 a.C. accolse la flotta navale di Antonio e Cleopatra conquistata da Ottaviano durante la battaglia di Azio;

-   la Cittadella (Butte Sain Antoine) dove sono stati individuati i resti dell’oppidum celto-ligure, attorniato da una cinta muraria simile ad un rilievo e che serviva da muro di sostegno: l’insediamento dell’Età del Ferro è stato successivamente cancellato dalla costruzione di una lussuosa dimora gallo-romana;

-   la Piattaforma o Cittadelle du Levant, il so equivalente ad est del sito;

-   le mura di cinta romane, che delimitano una superficie urbana di 40 ettari;

-   la Porte Dorée o d’Orée, in realtà un arco monumentale, unico resto delle terme del porto romano;

-    l’anfiteatro, che poteva  ospitare 10000 spettatori;

-   le terme di Villeneuve,altro importante centro termale suburbano;

-   l’acquedotto, il quale con il suo percorso di 40 km con un dislivello di 485 m, in gran parte sotterraneo forniva la città di acqua dolce.

L’impianto urbanistico .

L’impianto urbanistico della città antica non è stato intaccato dalle costruzioni dei quartieri medievali e moderni, ma al giorno d’oggi vi sono ancora molti punti oscuri circa l’organizzazione interna di Forum Julii e la funzione dei diversi settori.

Forum Julii: foto aerea  del sito risalente agli anni ’50, con indicazione delle principali vestigia romane.

I grandi assi urbani.

La conoscenza del circuito murario e delle tre porte di accesso alla città antica ha reso possibile individuare anche i due grandi assi stradali  dell’impianto urbano :

-   il Decumanus maximus: orientato secondo un asse nord-est/sud ovest; unisce, in linea retta, la porte de Rome a nord-est, con la porte de Gaules, a sud-ovest. Quest’orientamento del decumano rispetta il senso generale della circolazione tra Roma e l’occidente, ma non tiene conto dei rituali da effettuare in occasione di una fondazione di una città romana: infatti la strada non è stata costruita in corrispondenza del sorgere del sole alla latidutine di Frejus; probabilmente gli architetti hanno tenuto conto di altri vincoli, come la configurazione del sito e l’andamento del rilievo.

-   Il Cardo maximus: orientato in generale secondo un asse nord/sud, ma a Frejus nord-ovest/sud-est. La conferma del suo tracciato è avvenuta solo in tempi recenti: infatti inizialmente soltanto il tracciato settentrionale del cardine era stato individuato mediante il ricnoscimento  della porte de l’Agachon a nord-ovest e dall’esistenza di un muro di sostegna lungo circa 34 m, che limitava il lato nord di quest’arteria. La parte meridionale della strada è stata individuata con la localizzazione della porta sud-est della città, e con gli scavi condotti a nord della cattedrale nell’estate del 1980, i quali hanno confermato l’impiato ortogonale di quest’asse viario.

La superficie urbana.

Il circuito murario non forma un quadrato o un rettangolo disegnato simmetricamente da due grandi assi stradali : il circuito segue, con un tracciato abbastanza irregolare a sud-est e a sud-ovest, la conformazione della collina in arenaria; inoltre delimita una superficie di circa 35 ettari, di cui non si conosce in quali proporzioni fu effettivamente abitata nell’antichità, e che successivamente non fu mai totalmente occupata, almeno fino al XX secolo.  I paragoni effettuati sulla pianta delle mura  romane da una parte, e di quelle medievali e del XVI secolo dall’altra, mostra l’ampiezza della colonia romana. Queste dimensioni collocano Forum Julii in una posizione inferiore rispetto alle altre città gallo-romane (Vienne=200 ettari; Nimes=220 ettari), ma si possono paragonare con quelle del primo impianto di Arles. All’interno di una così grande superficie,era indispensabile compensare le irregolarità topografiche. Il terrapieno della Butte Saint-Antoine o quello della Piattaforma, il livellamento di Clos de la Tour lasciano pensare enormi lavori di terrazzamento tesi a modificare l’aspetto della collina: si percepiscono ancora ella città odierna, anche se rimaneggiati, numerosi pianori, spianate e terrazzamenti, indipendenti gli uni dagli altri e a vari livelli.

L’organizzazione interna della città.

La conoscenza degli strade e degli isolati della città antica è molto limitata: da una dozzina di anni gli scavi – in particolare quelli condotti a Clos de la Tour – hanno confermato l’esistenza di un impianto stradale formato da assi viari disposti regolarmente, se si eccettua il quartiere meridionale dell’insediamento. Se l’ipotesi di un impianto urbano a scacchiera sembra innegabile, tuttavia restano numerosi punti oscuri: ad esempio la cronologia dell’installazione (l’unica zona dove è stato possibile fornire una datazione – Clos de la Tour – questa risale al 20/30 d.C.). Restano inoltre sconosciute le dimensioni degli isolati, che probabilmente variavano di settore in settore. Nonostante le indagini archeologiche, non sono stati individuati i principali luoghi della vita collettiva cittadina, quali il faoro, la curia, il Capitolium e il mercato.

Esternamente alle mura invece sono state individuate ed indagate una serie di installazioni suburbane:

-   nel quartiere della Madeleine:cisterne e fornaci ceramiche;

-   nel quartiere Villeneuve: i resti di un impianto termale, successivamente riutilizzato come magazzino agricolo e anticamente detto “Ferme de Villeneue”; una serie di tombe nei pressi della cappella Saint-Pierre.

Scavi più recenti hanno messo alla luce altre installazioni suburbane, in questo modo rinnovando profondamente l’immagine della periferia della città antica. Le scoperte più importanti sono avvenute ad ovest della Butte Sain-Antoine, nel quartiere Villeneuve e al “Pauvadou”.

Nel riassumere le differenti osservazioni, si possono situare, con verosimiglianza:

-   una prima necropoli ad ovest della Butte Saint-Antoine, organizzata in celle funeraria e abbandonata alla fine del I d.C. ,probabilmente a causa di un eccesso di umidità provocato dalla risalita di una falda freatica  e sostituita da un impianto termale;

-   la seconda necropoli è a nord-est della porte de l’Agachon, al di sotto del prato detto “Pauvadou”, utilizzata dalla metà del II alla metà del III d.C. : vi sono numerose tombe ad inumazione e un sarcofago in piombo;

-   è sto individuato anche una sorta di quartiere artigianale, delimitato ad est della città, da numerose officine di ceramisti; sempre al “Pauvadou” è stata scavata un’intera officina, abbandonata alla fine del I a.C. a causa di un incendio che la distrusse completamente;

-   un’area di notevoli dimensioni (10 ettari) nel quartiere di Villeneuve è stata occupata in età romana, ma precedentemente alla fondazione della colonia, verso il 68/69 a.C. ; si tratta probabilmente di un campo militare,di cui al momento si conoscono due aspetti: la presenza di edifici di modeste proporzioni e costruiti in modo rozzo, ed un impianto termale.

La presenza di questi quartieri esterni non significa che Forum Julii “soffocasse” all’interno del circuito murario; alcune di queste installazioni venivano realizzate tradizionalmente proprio al di fuori delle mura, per motivi religiosi (le necropoli) oppure di sicurezza (le officine ceramiche con fornaci).

Lo sviluppo di Forum Julii.

La conoscenza dello sviluppo urbano posteriore ad una deduzione coloniale avvenuta in un momento imprecisato, riveste un’importanza particolare a Forum Julii. Non si tratta soltanto di stabilire la durata o il declino della vitalità dell’agglomerato,  specialmente in riferimento alle crisi che si sono susseguite nella storia dell’impero romano, ma è necessario poter giudicare le presunte conseguenze di una eventuale scomparsa della flotta stanziata nel porto dopo la battaglia di Azio.

Dunque, precedentemente alle grandi campagne di scavo effettuate dopo il 1950, la cronologia dell’evoluzione urbana di Forum Julii era abbastanza fluttuante e si basava su alcune notizie storiche e sull’osservazione esteriore dei monumenti e degli edifici pubblici di cui sussistevano importanti vestigia nella città moderna. I risultati acquisiti da questo metodo sono i seguenti:

-   alcune costruzioni dovevano essere, logicamente, più antiche di altre e risalenti al periodo del triumvirato o all’inizio del regno di Augusto;

-   alcune parti delle sistemazioni portuali , probabilmente anteriori al 31 a.C. , hanno ospitato la flotta catturata ad Azio;

-   alcune parti della cinta murari sono successive alla deduzione;

-   secondo lo stesso schema logico, altre costruzioni sono forzatamente posteriori alla cinta muraria sulla quale sono dislocate;

-   anche l’acquedotto è posteriore alla cinta muraria, poiché la sua canalizzazione è situata sulla sommità delle mura, dalla Porte de Rome al castellum aquae.

Ma come possono essere situati, ed in rapporto a quali monumenti precedenti? A riguardo, l’imprecisione cronologica è totale.

Possono essere tuttavia tratte alcune conclusioni; innanzituto la lunghezza dell’evoluzione della città nel tempo: dall’inizio della nostra era Forum Julii ha ricevuto alcuni dei suoi principali allestimenti  urbani e portuali, e nei seguenti tre o quattro secoli il paesaggio urbano è stato progressivamente completato. I monumenti pubblici non portano i segni delle crisi politico-militari del III d.C., così disastrose in altre zone della Gallia; non vi è nemmeno alcun segno di una regressione economica legata ad una ipotetica scomparsa della flotta.

I grandi cantieri di scavo (Butte Saint-Antoine, Piattaforma, Clos de la Tour, zona nord a ridosso della cattedrale e quartieri periferici) condotti a partire dal 1950, non hanno invalidato quest’ipotesi e hanno consentito di precisare la cronologia dell’evoluzione urbana in numerosi punti della città, apportando qualche rivelazione sugli aspetti concreti dello sviluppo della colonia. Seguono alcuni risultati provvisoriamente acquisiti:

-   verso la fine del periodo del primo triumvirato, è attestato un sicuro sviluppo urbano di cui non si conoscono né i confini né il centro, che precede la fondazione della colonia e del porto. Infatti sotto la colmata della Butte Saint-Antoine e della Piattaforma (sistemate in età augustea) vi sono delle costruzioni di carattere utilitario (fornaci e cisterne); in rapporto all’estensione della città antica, è nelle vicinanze del porto che si attesta la presenza della prima occupazione, mentre le prime abitazioni a Clos de la Tour appaiono in un secondo momento.

-   Con le grandi fondazioni del porto e della colonia, l’età augustea – in particolare nei suoi ultimi due decenni -  cancella questo primo agglomerato a causa dell’ampiezza degli allestimenti urbani. La ceramica permette di datare l’edificazione della Butte Saint-Anotine e della Piattaforma agli ultimi anni del I a.C.  questi enormi cantieri hanno dato di colpo, uno splendore architettonico alla colonia. Fuori le mura, il quartiere di Villeneuve conosce un periodo d’intensa occupazione, con l’edificazione di un impianto termale. La romanizzazione si impone, anche se lentamente. I contrasti sono evidenti all’interno della città: coesistono da un lato l’estrema cura nel realizzare monumenti pubblici, dall’altro le prime abitazioni, rozze e grossolane – come quelle scoperte a Clos de la Tour.

-   Dopo il periodo augusteo, prosegue l’evoluzione di Forum Julii, destinata ad aver una lunga durata.  Gli scavi a Clos de la Tour hanno permesso di avere almeno l’immagine di un quartiere della città.

Altri indizi hanno confermato l’assenza di regressione nello sviluppo urbano; le terme situate ad ovest della Butte Saint-Antoine sono utilizzate fino alla fine del III d.C. Inoltre ricordiamo che il paesaggio urbano si è arrichhito nel corso dell’impero romano, progressivamente, di rifinimenti monumentali: l’acquedotto (I d.C. ?), l’anfiteatro (II d.C. ?), le terme del porto (III d.C. ?); d’altra parte non sono state individuate tracce di incendi o di riduzione del circuito murario. Nulla conferma quindi un declino della città conseguente alla partenza della flotta o alle crisi del III d.C.

In conclusione è possibile ritenere che quella di Forum Julii fu una lunga evoluzione urbana, senza episodi di rottura apparenti; se la flotta venne trasferita (probabilmente verso la fine del II d.C.) la città non ebbe un grave contraccolpo, poiché era dotata di altre forme di sostentamento, economiche (il porto, il mercato, le rotte commerciali marittime e stradali) ed amministrative.

 aspetti decorativi nelle abitazioni gallo-romane di forum julii.

Alcune abitazioni gallo-romane che hanno restituito buona parte delle loro decorazioni pavimentali e parietali, sono state individuate nella zona di Clos de la Tour ed un’altra in place J. Formigè.

Le abitazioni di Clos de la Tour.

In questa antica proprietà dei canonici a nord-ovest della città antica, sono state effettuate delle indagini archeologiche che hanno rivelato la presenza di una serie di abitazioni gallo-romane. Il quartiere in questione fu urbanizzato successivamente alla deduzione della colonia, probabilmente sotto Tiberio: le prime abitazioni erano costituite da semplici unità abitative, piccole ma non povere. Nel corso dell’età flavia (verso il 70 d.C.) la zona venne risistemata, con un risanamento della rete stradale ed una canalizzazione delle acque; anche le abitazioni furono profondamente trasformate. Fino alla fine del III d.C. la vita del quartiere prosegue; è tuttavia difficile stabilire cronologicamente l’abbandono del sito,poiché le abitazioni sembrano ancora utilizzate nel corso del IV, anche se per il V secolo no vi sono testimonianza di una vero e proprio sfruttamento abitativo dell’area.

Per quanto riguarda le abitazioni, queste ultime sono state scavate parzialmente, per cui sono stati individuati solo gli ambienti limitati dalle strade antiche: di conseguenza l’interpretazione e le misure delle case gallo-romane di Clos de la Tour devono ancora essere oggetto di studi accurati e di revisioni.

Non sono state ritrovate le pitture parietali delle dimore,tuttavia dalle decorazioni pavimentali messe in luce, si può notare l’aderenza a motivi decorativi del repertorio italico da parte dei proprietari delle abitazioni: sono infatti presenti motivi utilizzati anche in Campania, a Pompei ed Ercolano, in particolare i mosaici bianconeri con decorazioni geometriche o a scacchiera.

Completamente diverso è il caso dell’abitazione indagata nel centro della città moderna, di cui sono stati individuati gli ambienti principali e le pitture che li decoravano. Per le quali è possibile notare la completa adesione ad un linguaggio decorativo del tutto vincolato alle mode diffuse in ambiente italico.

L’edificio in questione, distrutto da un incendio, presenta al di là di un profondo vestibolo una serie di ambienti disposti intorno ad un atrio che assume, nell’impianto organizzativo della casa, anche il ruolo di giardino porticato.

Tale funzione viene affermata dalle pitture di giardino, di III stile, che rivestono i tre parapetti e da un più elevato muro di chiusura dell’impluvium, collocato al centro dell’atrio. Lungo la fascia inferiore della superficie è rappresentata su fondo nero un’incannucciata gialla entro i cui spazi romboidali appaiono dei fiorellini. La zona superiore presenta due ampie campiture a fondo giallo su cui sono disposti ciuffi di vegetazione e arbusti, nonché uccelli.  Al centro della parete una nicchia a fondo azzurro, preceduta da un pilastrino, doveva contenere una statuetta in funzione di fontanella. È chiara l’ambizione del proprietario nel creare un giardino fittizio, come avviene in ambito vesuviano. Ma appare concepito per una visione dall’interno dell’edificio, in particolare da parte di chi si trovava nell’ambiente U,  vano adibito al ricevimento e decorato.

Frejus –Clos de la Tour: mosaico in tessere bianche e nere con clessidre disposte a scacchiera.

Frejus – Clos de la Tour: mosaico realizzato in tessere bianche e nere e formato da riquadri all’interno dei quali si alternano dei motivi geometrici.

Frejus – domus di place J.Formigè.

2.7 Aquae sextiae : cenni geografici e storici.

La  città fu fondata su un pianoro protetto e relativamente scosceso a sud ed ovest,  poco distante dalle alture di Entremont e dalla vallata dell’Arc, in un punto dove sgorgavano sorgenti calde e fredde.

Aquae Sextiae Salluuiorum: questa è la denominazione completa dell’insediamento romano[4], in cui è presente sia l’indicazione delle acque termali, sia il nome del fondatore, Sextius Calvinus, console romano nel 124 a.C. , responsabile delle operazioni di pacificazione condotte nella regione in seguito alla richiesta d’aiuto proveniente dalla colonia di Massalia; inoltre è indicato il popolo dei Salluui, sconfitti da Calvinus, la cui capitale era probabilmente l’oppidum di Entremont.

Secondo Strabone[5], la fondazione di Calvinus comportò sia una città (polis ) che una guarnigione (phroura): di quest’ultima, le indagini archeologiche non hanno per ora trovato alcuna traccia.

Nel corso della prima età imperiale la città ricevette il titolo di Colonia Iulia Augusta Aquae Sextiae; grazie alle riforme amministrative del III – IV d.C. , Aix divenne capitale della Provincia Narbonense Seconda, nata dallo smembramento della Provincia di età augustea.

Aix en Provence: pianta della città moderna,

Aix en Provence: pianta della città

LA CITTA’ E LE ABITAZIONI: UNO SGUARDO D’INSIEME.

Le prime testimonianze circa l’urbanizzazione della città risalgono alla fine dell’età repubblicana o alla prima età imperiale, ad eccezione degli scavi condotti nel settore delle Thermes (sulla piantina 7) dove sono state individuate alcune abitazioni della seconda metà del I a.C. , insieme ad un edificio pubblico del quale sono stati identificati diversi elementi, al di sotto di una costruzione del II d.C. – formata da un’area lastricata e da un portico – e relativo ad un progetto urbanistico della seconda metà del I d.C.

La cronologia è ancora più tarda nel settore dell’Arcivescovato (nella piantina 1), dove la lottizzazione di due insulae sembra essere iniziata  solo nel I d.C. : infatti la parte pubblica di questo settore – il foro e senza dubbio una basilica – , nello stato in cui è giunta fino a noi va datata alla fine del I d.C.

In questo caso non è da escludere che i terrazzamenti su cui poggiano queste strutture abbiano fatto scomparire le tracce dell’urbanizzazione precedente. Allo stato attuale delle ricerche, tuttavia,  tutto fa ipotizzare che lo sviluppo urbanistico di Aix romana sia stato lento e modesto rispetto agli altri insediamenti della regione.

La città ricopriva in ogni caso una vasta superficie : circa 60/70 ettari di terreno,probabilmente difesi da una cinta muraria; sicuramente a sud-est era situata una porta monumentale, mentre alcuni elementi della cortina muraria sono stati identificati nella zona ovest della città moderna.

Di tutte le abitazioni individuate ad Aix, circa una ventina, nessuna è stata scavata completamente[6]

Per quanto riguarda il sistema stradale, sebbene siano state scavate alcune vie della città antica, solo nel settore centro-orientale è possibile individuare l’esistenza di un reticolo urbano.

Infatti nell’area dell’Arcivescovato (1) la piazza del foro e le insulae che la limitano ad est, sul lato di un cardo secondario, hanno la stessa larghezza (39,50 m); lo stesso modulo si ritrova in un’altra abitazione, a circa 300 m più ad ovest, nel settore delle Thermes (7). Nella zona settentrionale della città invece, a causa dei pochi dati a disposizione, bisogna contentarsi di ipotesi: le strade in direzione nord-sud – probabilmente vie di collegamento tra le abitazioni scavate al parcheggio Pasteur (2) e al giardino de Grassi (3) – fanno intuire che il reticolato urbano sia di ampiezza minore, poiché esse sono distanti solo 80 m. circa.

Questa disposizione sarebbe allora il risultato di un impianto urbanistico differenziato: nella zona settentrionale vi sarebbe un allestimento più trascurato, ottenuto forse ricalcando un tessuto stradale più antico ed angusto, di cui alcune vie sono state successivamente cancellate dall’edificazione di nuove abitazioni. Quest’ultima ipotesi non è inverosimile, poiché non mancano indizi di consistenti trasformazioni avvenute nel settore settentrionale. Anche se la documentazione disponibile non è sufficiente a chiarire i dubbi, tuttavia permette di distinguere le abitazioni della zona centro-orientale da quelle situate negli altri settori della città antica.

Nel settore dell’Arcivescovato (1), l’unica insula individuata durante le ricerche, colpisce per le sue modeste dimensioni: è infatti inscritta in un rettangolo di 39,50×25,75 m., mentre le strade limitrofe hanno una larghezza inferiore ai 5 m. Questo reticolo urbano ,  sul quale è stato regolato tutto il centro monumentale di Aix, in confronto con le altre città della Narbonense appare più angusto e con moduli abitativi abbastanza modesti. Al contrario, nel settore settentrionale della città invece le abitazioni  indagate, – come la domus al parcheggio Pasteur o quella del giardino de Grassi – rivelano un lusso evidente, sia per le dimensioni degli ambienti che per la raffinatezza delle decorazioni. Rispetto alle insulae della zona centro-orientale, anche le abitazioni nel settore meridionale – enclos des Chartreux e rue des Magnans- dimostrano un livello qualitativo indubbiamente più alto. Ciò è sufficiente per immaginare la città di Aquae Sextiae distinta in quartieri residenziali periferici situati a nord e a sud del centro monumentale, attorno al quale sorgeva un quartiere più modesto dalle caratteristiche commerciali o artigianali, con botteghe come ci suggerisce la presenza di alcune strade porticate.

La periferia della città non era stata interamente occupata da abitazioni: recentemente infatti è stato individuato ad ovest un altro centro monumentale, nei pressi del circuito murario, di cui sono stati individuati i resti di un grande portico e di un anfiteatro.

Dai dati archeologici sembra certo che le abitazioni portate alla luce si inseriscono in un piano regolatore coerente: infatti, i muri maestri seguono direzioni sensibilmente identiche, secondo gli assi stradali del settore centro-orientale. Si ipotizza quindi l’esistenza di un progetto unitario, basato su un reticolo stradale regolare – più o meno serrato secondo le zone centrali o periferiche – che interessava l’area urbanizzata della città. Per ottenere questo impianto urbanistico, su un terreno morfologicamente caratterizzato da una serie di pendii, sono stati realizzati dei terrazzamenti, talvolta separati da discreti salti di quota. L’importanza dei terrazzamenti è stata chiaramente messa in risalto, per quanto riguarda le zone periferiche, da i sondaggi recenti, dove i resti delle abitazioni sono separati da dislivelli di altezza variabile (in genere da 1,20 a 1,50 m.).

Le fasi cronologiche dell’abitato.

Dai dati archeologici forniti dagli scavi condotti negli ultimi tempi, si hanno datazioni sicure sulle abitazioni del periodo romano;

- Thermes (7) : si tratta delle costruzioni più antiche, risalenti alla seconda metà del I a.C. ;

- Arcivescovato (1) e Chartreux (5): la maggior parte delle abitazioni di questi settori sembrano datate tra il I a.C. e il I d.C. ;

- parcheggio Pasteur (2): si tratta in questo caso di un’abitazione più tarda rispetto alle precedenti, datata tra la metà del I d.C. fino alla metà del II d.C.

La cronologia fornita dalle indagini archeologiche delle abitazioni di Aix, ben si accorda  a quello che si indovina dall’allestimento del centro monumentale della città antica, datato agli ultimi decenni del I d.C. : i dati in nostro possesso quindi confermano l’ipotesi di uno sviluppo urbano della città molto più lento rispetto agli altri centri della Narbonense, nonostante il fatto che Aquae Sextiae fosse un’antica fondazione romana.

Le trasformazioni delle abitazioni successivamente modificarono  anche il tessuto stradale della città: ad esempio nel settore dell’Arcivescovato furono creati estesi portici affacciati sulla via che progressivamente venne interdetta alla circolazione dei mezzi di trasporto, a partire dal III secolo d.C. . L’appropriazione di spazi pubblici non è un dato insignificante, anzi testimonia la continuità della vita urbana nel centro cittadino, attestata almeno fino al III d.C. , mentre in periferia, come nel caso della domus al parcheggio Pasteur, le abitazioni iniziano ad essere abbandonate proprio in questa fase.

Aix en Provence:  maison jardin de Grassi..

Aix en Provence: la scoperta del mosaico romano in rue de la Republique

Aix en Provence: mosaico scoperto a rue des Magnans.

Aix en Provence, quartiere settentrionale: volto dell’imperatore Settimio Severo.

 Aspetti decorativi delle abitazioni gallo-romane di Aquae Sextiae.

Le abitazioni lussuose ad Aquae Sextiae sono talmente numerose che bisogna dare loro un significato particolare. In generale, sembra che le abitazioni corrispondano a due tipi di pianta: alcune sono organizzate intorno ad uno spazio aperto, adibito alla circolazione (domus del parcheggio Pasteur), altre invece adottano una pianta che incolonna, da nord a sud, la zona abitata seguita da un cortile e da un giardino (enclos Milhaud). In quest’ultima zona,le indagini archeologiche hanno evidenziato una serie di moduli abitativi che danno l’impressione di una standardizzazione che ritroviamo anche nei programmi decorativi, non solo nell’impiego dei materiali ma anche per quanto riguarda i temi iconografici.

Inoltre, le ricche dimore ritrovate ad Aix  occupavano uno spazio relativamente ampio: la domus del parcheggio Pasteur supera i 2600 mq, quella del giardino de Grassi 1700 mq, infine l’abitazione scavata all’enclos Milhaud 1330 mq.

L’abitazione gallo-romana al parking Pasteur.

Situata all’angolo nord-ovest della città antica, nelle immediate vicinanze delle mura, l’abitazione, in un settore residenziale che sembra abbia conosciuto un’intensa fase edilizia nel corso della prima età imperiale.

A causa dei vincoli topografici dell’area (una zona collinare, tra le ultime propaggini delle cime di Entremont e Saint Eutrope), le strutture edilizie dell’abitazione sono state edificate su una serie di terrazzamenti e sono stati creati anche dei muri di sostegno, per rendere più stabili gli edifici.  Stando ai dati in nostro possesso, doveva senza dubbio trattarsi di un’abitazione di grandi dimensioni di circa 2600 mq. Tuttavia la dimora non è stata completamente indagata; sono stati scoperti tutti gli ambienti della terrazza superiore, mentre si ignorano il limita orientale, meridionale ed occidentale di quelli della terrazza inferiore.   Disposta su due terrazzamenti l’abitazione si  articola in quattro edifici distinti, con pianta e dimensioni diverse, disposti attorno a tre viridaria a scacchiera.

La terrazza superiore è quella meno conservata a causa della sua posizione stratigrafica; in particolare l’ala nord, al di sotto dell’odierna rue de la Violette, non è mai stata messa in luce mediante scavi moderni e le informazioni inerenti risalgono al rilievo realizzato da G.de Bevotte e dagli appunti di E. Rouard nell’800. l’accesso era situato a nord-ovest, un’entrata secondaria lungo il muro di cinta della proprietà. Attenendosi a questo muro a nord, gli edifici, costituiti da due unità abitative, si sviluppano a forma di L rovesciata , definendo anche i limiti orientale e settentrionale dell’abitazione. Le strutture edilizie si dispongono intorno ad un grande giardino limitato ad est e a nord da un portico colonnato, chiuso a sud da un muro che ha anche una funzione di sostegno. All’interno del giardino vi sono anche tra grandi bacini a pianta rettangolare. Gli ambienti di questo settore dell’abitazione non hanno restituito alcun elemento che ne consenta l’identificazione; tuttavia si nota una bipartizione dello spazio, grazie ai differenti trattamenti architettonici. L’ala settentrionale sembra avesse una vocazione domestica: gli ambienti sono di medie dimensioni e sprovvisti di decorazioni, con pavimenti in calce. L’ala orientale invece è prettamente residenziale, con ambienti più vasti e decorati da pitture e mosaici; spiccano tra tutti i vani 16 e 18 essendo gli unici dotati di pavimenti musivi[7]. Per quanto riguarda la decorazione parietale, restano alcuni frammenti dello zoccolo dipinto in rosso.

Nel settore meridionale vi sono altri tre ambienti, di cui uno, il vano 11, presenta un mosaico pavimentale a fondo bianco, limitato da doppia fascia nera, simile a quello presente nell’ambiente 12.

La terrazza inferiore, comunicante tramite una scala che dal livello superiore giunge al peristilio 10, presenta una serie di ambienti affacciati su un giardino, alcuni dei quali riccamente decorati.

L’ambiente 1 , di piccole dimensioni (32 mq) presenta un mosaico a fondo bianco, orlato da fasce nere arricchite da una serie di triangoli isosceli neri, mentre le pareti sono affrescate secondo un tipo di decorazione che ritroviamo adoperata nella stessa abitazione (vano 2), composta da pannelli rossi separati da fasce verticali nere all’interno delle quali sono dei candelabri.

L’ambiente 5 di vaste dimensioni (84 mq) ha un mosaico pavimentale in tessere bianconere, limitato da una doppia fascia nera, mentre le pareti presentano uno schema decorativo molto semplice, dipinto nei toni del rosso, dell’ocra e del nero.

L’ambiente 2, di dimensioni molto simili al vano 5,  ha un mosaico pavimentale bianco e nero, mentre le pareti sono decorate da pannelli alternati a candelabri, sormontati da una maschera teatrale; un fregio vegetale corona l’insieme; i colori utilizzati per le pitture sono molto costosi: infatti si tratta del rosso cinabro e del blu.

Nel corso del suo utilizzo, durato almeno due secoli, l’abitazione non ha subito importanti modifiche, ma solo dei riallestimenti minori, come il tramezzo del vano 1, o la creazione di un’anticamera nel vano 4; la sola modifica notevole è la sistemazione del giardino centrale, dove, in un’epoca indeterminata, furono chiusi gli intercolumni del portico 10.

Gli elementi decorativi dell’abitazione.

I mosaici:  11 dei 22 ambienti della casa hanno i pavimenti decorati da mosaici. Vi è un unico esempio di mosaico policromo  è quello del vano 18 (l’emblema), mentre tutti gli altri mosaici sono formati da tessere bianche e nere e si caratterizzano per la semplicità dei loro motivi. Sono presenti anche schemi geometrici, come nel caso dei cerchi secanti del vano 16, tratti dal repertorio italico, che non rivelano alcuna originalità nella loro esecuzione. Questi pavimenti bicolori[8], nella loro sobrietà, rivelano un gusto per la semplicità e mettono in risalto per contrasto le decorazioni parietali degli ambienti.

Pitture parietali:  almeno sei ambienti della dimora presentano decorazioni parietali, poiché sono stati ritrovati frammenti di intonaco dipinto sia in situ che negli strati di crollo. L’ambiente 5 presenta uno schema decorativo semplice: al di sopra di uno zoccolo rosso, è una zona color ocra divisa in riquadri contornati da listelli rossi e bianchi; segue una fascia verde con un piccolo fregio a fondo nero, nel quale sono personaggi miniaturistici; la zona mediana presenta invece dei pannelli in rosso ed ocra, scanditi da esili candelabri con stelo liscio, ornati da ombelli a festoni e nastri ricadenti. Sembra che al centro dei pannelli non vi sia rappresentata alcuna figura, né sui candelabri, eccetto qualche volatile sulla sommità di uno di questi. Una  cornice in stucco concludeva in alto lo schema decorativo, di circa 4,25 m di altezza.  Stilisticamente la composizione è ancora molto vicina alla sobrietà delle decorazioni di III stile , ma bisogna attendere la completa ricomposizione dei frammenti per darne un datazione precisa: al momento è possibile ritenere che la sua esecuzione nono è precedente agli anni ’50 del I d.C.

Nell’ambiente 2  al momento dello scavo erano ancora in situ alcuni frammenti della decorazione, di cui ne è stato ricostruito lo schema. Bisogna immaginare una fascia alta, ornata da ciuffi di foglie verdi all’interno di riquadri neri. La zona mediana era formata da pannelli rosso cinabro, incorniciati da bordi traforati e scanditi da fasce verticali di colore blu, all’interno di queste sono dipinti dei candelabri il cui stelo è arricchito da  ombelli, festoni e nastri. Il candelabro è sormontato da un motivo cuoriforme e da un maschera tragica. La suddetta decorazione è una versione costosa delle pitture che ornavano l’ambiente 5, di moda nella seconda metà del I d.C. in cui è presente il candelabro, un motivo decorativo particolarmente apprezzato ed utilizzato nella Narbonense. Un esempio di questo genere di decorazione è a Narbona (Maison III) dove la decorazione è composta da pannelli a fondo bianco, incorniciati da bordi traforati realizzati con mezzi cerchi: quest’ultimo elemento decorativo è confrontabile con quello presente nelle decorazioni di Aix, anche se eseguito in modo monocromatico.

Esaminando le pitture di Aix, si possono individuare i gesti degli esecutori: la parete è stata preparata con cura, mediante lunghe incisioni nell’intonaco fresco per evitare che il colore scivoli via; i componenti degli strati –  calce e sabbia –  sono stati dosati, setacciati e legati con acqua; i bordi traforati sono stati eseguiti con l’aiuto di un compasso (di cui sono rimasti i segni sull’intonaco fresco). I colori utilizzati nell’ambiente 5 sono di origine naturale, tratti da terre diversamente colorate, con ossidi metallici come il ferro o il rame. Per l’ambiente 2 sono stati utilizzati pigmenti di fabbricazione artificiale, come il blu – ottenuto dalla cottura di sabbia mista a salnitro e rama – e il rosso cinabro – ottenuto dal mercurio, le ciminiere erano poco numerose nell’impero romano ( esistevano solo in Spagna e in Italia). Inoltre sappiamo da Plinio il Vecchio che il cinabro costava da 15 a 35 volte in più, rispetto all’ocra naturale, la quale si poteva facilmente reperire in Gallia Narbonense (a Roussillon).

In conclusione, la scelta, da parte del committente, degli artigiani, dei materiali e degli schemi decorativi corrisponde ad una volontà di donare agli ambienti di rappresentanza dell’abitazione un aspetto quanto più lussuoso possibile.

Aix en Provence, parking Pasteur: particolare della decorazione in III stile del vano 2

Aix en Provence, parking Pasteur: particolare della decorazione del vano 2 (candelabro sormontato da una maschera tragica).

Aix en Prvenceuarto, parking Apsteur: restituzione grafica della decorazione in III stile del vano 5.

2.9 Narbo martius: cenni geografici e storici.

Il luogo scelto per la fondazione di Narbo Martius, è caratterizzato da un’altura di origine miocenica sulla riva sinistra del fiume Aude; un’altra collinetta di formazione oligocenica è situata di fronte, sulla riva opposta. La modesta altezza di queste colline era sufficiente per ottenere il controllo del sottostante pianoro paludoso, che corrisponde agli ultimi lembi di terreno prima di giungere alla laguna, formata dall’ansa a gomito dell’Aude, che nell’antichità era molto più estesa in confronto ad oggi. Il bassopiano dell’Aude ha un’altezza media di 4 m. ed è lungo una ventina di km. : a tratti paludoso, ha origine dal fiume alluvionato nella zona del delta, a danno dell’antico golfo, i cui resti sussistono sotto forma di stagni lagunari. L’area è circondato ad est e ad ovest da rilievi calcarei (massiccio de la Clape , colline Corbieres). Narbona è situata al centro di quest’area depressionaria, su una via di comunicazione strategica, lungo la costa della bassa Linguadoca, che mediante il corridoio dell’Aude-Garonne, costituisce lo sbocco naturale dell’Aquitania sul litorale mediterraneo[9].

Verso sud, distante 4 km circa, è il porto marittimo, col quale l’insediamento era collegato tramite il fiume e controllava un sistema marittimo-lagunare, aperto al commercio sul Mediterraneo.

Le prime testimonianze di un agglomerato – un villaggio ad ovest della città moderna – risalgono al VI a.C. : quest’area è certamente da  mettere in relazione con la presenza del potente oppidum celtibero, situato  sulla collina di Montlaures, a 4 km di distanza da Narbona.

Nel III a.C. un porto commerciale si stabilì a 800 m circa a sud, sulla riva destra, che si sviluppò lungo il primo tracciato della Via Domitia durante tutto il I a.C.

La fondazione di Narbo Martius avvenne nel 118 a.C.[10] : a questo periodo risalgono una serie di testimonianze archeologiche, trovate su entrambe le rive del fiume, tuttavia esigue che fanno ipotizzare che l’estensione dell’agglomerato urbano fosse ridotta.

La città[11] ha un rapido sviluppo dopo la seconda fondazione cesariana[12] nel 45 a.C. Si assiste alla costruzione di grandi edifici pubblici, tra i quali l’horreum; probabilmente la città non era protetta da un circuito murario, dal momento che non vi sono tracce di cortine murarie datate a questa  fase, ma solo quelle cronologicamente appartenenti alla prima età imperiale, quando Narbona divenne capitale della Provincia, per decreto senatoriale, nel 22 a.C.  In questo periodo il centro urbano viene dotato del foro, di una serie di templi e del Capitolium.

Nel corso del III d.C. la città vive un momento di declino economico e culturale.  Verso il 275  d.C. venne eretta una fortificazione lunga 1770 m, delimitante una superficie di 20 ettari, che protesse barbona dalle invasioni barbariche. Dopo la divisione della Narbonense al tempo di Diocleziano, la città ottiene soltanto il controllo amministrativo della  parte sud-occidentale dell’antica provincia (Narbonense prima). Nonostante un’incursione visigota nel 413 d.C., Narbo Martius resta città romana fino al 462 d.C.

Narbona: pianta della città con indicati i principali monumenti romani: manoscritto dell’abbè Bousquet ( XVIII secolo).

Narbona: pianta della città moderna..

L’organizzazione dello spazio urbano.

Il luogo scelto per la fondazione della città gallo-romana presenta, dal punto di vista topografico, poche costrizioni rappresentate dal fiume e dalla zona paludosa. Di conseguenza queste limitazioni non ostacolano la creazione di un impianto urbanistico regolare.

Il settore nord.

È a Clos de la Lombarde, nel settore nord della città, che le ricerche sistematiche iniziate nel 1974, hanno consentito di ottenere precise informazioni sull’urbanizzazione dell’area e sull’architettura domestica. Le tracce più antiche dell’occupazione del sito – qualche buca di palo e un fossato scavato nel suolo naturale -risalgono alla fine della prima colonizzazione.

Bisogna attendere il periodo augusteo per vedere lo sviluppo di uno spazio urbano completamente viabilizzato. Un cardo secondari, largo 8 m, parallelo alla via Domitia, taglia ortogonalmente due decumani. Questo cardine doveva costituire una via di comunicazione importante, some è dimostrato dalla superficie di scorrimento, rifatta più volte, ed i marciapiedi presenti ai lati, uno dei quali riparato da un portico. Il decumano nord-est, fiancheggiato da una galleria coperta lungo la maison a Portiques, vede la sua superficie ridotta poiché lo spazio privato si estende a danno di quello pubblico, fino a che nella seconda metà del II d.C. la strada, “mangiata” dalle abitazioni, diviene un vicolo.

La costruzione delle prime grandi abitazioni – la maison a Portiques e la maison III nella sua prima fase – risale alla fine dell’età repubblicana. Per due secoli la loro pianta non subisce profondi cambiamenti, poiché sono limitati al rinnovamento di qualche rivestimento parietale e all’aggiunta di un secondo piano nell’ala nord della maison a Portiques. Nell’isolato 3, parzialmente scavato, abitazioni e botteghe coesistono almeno fino alla fine del I d.C. Alla fine del II d.C. il settore settentrionale viene profondamente sconvolto: gli ambienti circostanti il peristilio della maison a Portiques sono distrutti e la superficie abitabile si riduce all’atrio e alle sale che vi si affacciano. La maison III è ricostruita. Sembra che tutta la zona sia stata abbandonata verso la fine del III d.C. Una basilica cristiana viene edificata verso la fine del IV sec.insieme ad alcuni modesti edifici, con un orientamento planimetrico identico a quello degli elevati precedenti. L’abbandono definitivo dell’area avviene nel V d.C.

Il settore orientale.

In rue Descartes sono stati ritrovati 4 ambienti di una casa la cui prima fase è caratterizzata da pavimenti in mosaico bianco-nero; la seconda fase è mal conservata e la sua distruzione è stata probabilmente provocata da un incendio. Un’altra abitazione è stata individuata a rue Jacquard: una corte fiancheggiata da una galleria sulla quale si affacciavano alcuni ambienti decorati con mosaici bianco-neri. Altri pavimenti musivi sono stati ritrovati a rue Descartes, rue Baliste, boulevard Gambetta. L’espansione dell’abitato privato è limitata ad est e a sud-est dalla zona riservata ai monumenti pubblici: l’anfiteatro,il tempio provinciale e un grande edificio di cui sono stati individuati alcuni muri e che potrebbe essere in rapporto con le installazioni del porto fluviale, poco distante.

Il settore occidentale.

Nei pressi dell’odierna stazione, in boulevard Frederic Mistral, sono stati scoperti mosaici e frammenti d’intonaco dipinto che fanno supporre la presenza di una domus della prima età imperiale. Il confine della città è invece segnato da una serie di sepolture ad incinerazione ritrovate sulla strada per Luxac. Le scoperte di mosaici si sono moltiplicate in questo settore, grazie anche ad un’urbanizzazione moderna poco densa; in un primo momento si è pensato che l’area fosse destinata ad abitazioni di tipo residenziale. Ma i recenti scavi hanno messo in luce una situazione più complessa: le dimore lussuose sembra abbiano preso il posto di officine artigianali, le quali si sarebbero spostate lungo la via Domitia, al di là di questa zona urbanizzata.

Il centro urbano

In prossimità del foro, a place Bistan, sono stati scoperti i resti della prima colonizzazione, mentre il tracciato del cardine principale è stato riconosciuto in diversi punti della città: in particolare lungo rue Droite. Alcuni studiosi ritengono che la rete stradale odierna del centro storico ricalchi fedelmente quella romana. I monumenti pubblici romani occupavano una vasta area della città: il foro con il Capitoliu, le terme il teatro, il macellum sono stati riconosciuti grazie ai documenti epigrafici e a gli scavi. Le abitazioni private non erano di certo assenti, ma le testimonianze archeologiche a riguardo sono alquanto scarse.

La riva destra del fiume.

L’esistenza di un insediamento indigeno non lontano dalla strada per Marcorignan (uscita occidentale della città),  non sembra aver avuto alcuna influenza circa l’organizzazione urbanistica dell’antica Narbo Martius. La prima colonizzazione si è sviluppata a sud-est, dove la via Domitia, nella sua fase iniziale, oltrepassava il fiume. Le testimonianze archeologiche riguardo ad un’attività commerciale dell’insediamento sono particolarmente significative; è stata trovata anche una necropoli, ma sono assenti resti architettonici.

Non sono state trovate testimonianze archeologiche significate sul settore della città situato sulla riva destra del fiume, fuorché un mosaico a place Cassaignol, data alla prima età imperiale.

Le necropoli ad incinerazione (quartiere Maurassan e Anatole France) circoscrivono un ampio spazio che è quasi completamente sconosciuto agli studiosi: la rarità delle scoperte in quest’area lascia ipotizzare che la zona in questione fosse scarsamente popolata.

 Aspetti decorativi delle abitazioni gallo-romane scoperte a Narbona.

La “maison III” a Clos de la Lombarde.

Ubicazione.

L’abitazione in questione è situata a sud-est rispetto alla maison à portiques e all’abside della basilica paleocristiana, nel settore detto Clos de la Lombarde a Narbona.

Lo scavo.

È stato condotta un’indagine su una superficie abbastanza ridotta e per questo motivo anche i dati archeologici sono piuttosto frammentarii; della casa sono stati riportati alla luce solo due ambienti contigui, orientati verso est. Entrambi gli ambienti sono stati trovati in un pessimo stato di conservazione, con i muri quasi completamente distrutti, probabilmente a causa dell’edificazione della vicina basilica. Sono stati identificati tre dei basamenti in muratura, in opus incertum, dei quali il muro mediano A, formato da pietre e frammenti di mattoni, è quello più regolare;si ipotizza che le parti alte dei muri, siano state realizzate in terreno, poiché nello strato di demolizione sono stati trovati i resti di malta mista ad argilla e paglia.  Non si conosce la collocazione esatta degli accessi ai vani.

Descrizione dell’apparato decorativo.

L’ambiente 1 presenta una decorazione pavimentale formata da lastre quadrate di scisto e di marmo bianco con venature grigio-rosa: malgrado la maggior parte delle lastre siano scomparse, l’impronta rimasta nella malta consente di ricostruire lo schema decorativo. Si distingue infatti che le lastre sono state divise in tre gruppi: al centro del pavimento sono state collocate quelle con lunghezza ineguale, disposte secondo una direzione est-ovest, a sud invece sono state posizionate delle lastre quadrate, ripartite in cinque file,  mentre sul lato settentrionale vi sono elementi di dimensioni varie, posizionati secondo una direzione nord-est, i quali fiancheggiano una fascia formata da quadrati più piccoli.  Per quanto riguarda la decorazione parietale, i frammenti raccolti nel corso dello scavo (relativi allo zoccolo, alla zona mediana e a quella superiore) hanno permesso di ricostruire il seguente schema decorativo: su un fondo verde è raffigurato uno schema architettonico, composto da esili colonne con capitelli ionici, dove si distingue al centro un’edicola che è occupata da un vaso sospeso, con delle catenelle; sul vaso sono appollaiati degli uccelli fantastici. Queste pitture sono associate a dei fregi e ad una cornice in stucco, mentre nei cassettoni del soffitto erano presenti dei paesaggi. Si ipotizza che quest’ambiente avesse una funzione di ricevimento, a causa della ricchezza delle sue decorazioni.

L’ambiente 2, sebbene modesto rispetto al vano 1, presenta una decorazione sia pavimentale che parietale. Il pavimento è arricchito da un mosaico bianco-nero: la parte centrale del mosaico, con motivo a scacchiera, è inquadrata da tre fasce dai colori alternati, l’ultima delle quali è dentellata[13]. Le pareti presentano una decorazione dipinta che sembra riunire due schemi decorativi: infatti è presente sia un imitazione del marmo (giallo antico, porfido, serpentino), che una serie di pannelli a fondo bianco, ornati da cerchi in cui si inscrivono dischi di vari colori.

Narbona – Clos de la Lombarde, maison III. Restituzione grafica della decorazione parietale del vano 1.

Cronologia.

Sono state individuate due fasi successive: la prima sistemazione dell’abitazione, più modesta, si data all’epoca di Augusto, mentre le trasformazioni più importanti avvengono tra la fine del I e gli inizi del II d.C. Nella seconda ed ultima fase, gli ambienti vengono riorganizzati e decorati, rispettando però l’orientamento delle strutture.

La maison à portiques di Clos de la Lombarde.

 

Ubicazione.

Situata nel settore periferico nord-orientale della città antica, a circa 70 m di distanza dalla via Domitia.

Lo scavo.

Lo scavo di Clos de la Lombarde ha restituito uno dei maggiori esempi di un’abitazione del periodo imperiale romano e ne ha permesso lo studio delle pitture parietali. Delle quattro abitazioni scavate nell’area di Clos de la Lombarde, una sola, la “Maison a portiques” è stata interamente riportata alla luce.

La pianta.

Nel suo periodo di massimo splendore occupava una superficie di 975 mq ed era organizzata attorno a due cavaedia, disposti ortogonalmente – una pianta imposta dalle dimensioni dell’isolato, piuttosto rara a Pompei – dall’aspetto relativamente originale[14].

Le strutture architettoniche e l’organizzazione degli ambienti nelle varie fasi edilizie.

Sono state individuate almeno tre fasi architettoniche nella realizzazione della dimora narbonense.

Fase 1.

Nella sua prima fase l’abitazione si divide in due settori ben distinti: sul lato orientale, danneggiato dalla successiva edificazione della basilica paleocristiana, è centrato su un atrio, molto rovinato, costruito sul prolungamento dell’entrata. Segue un ambiente assiale (M) probabilmente il tablino, affiancato da una sala (K) e da altri due vani (N) ed (O). La restante parte del settore è stata cancellata dalla realizzazione della cripta al di sotto dell’abside dell’edificio sacro: ciò nonostante, nel corso dello scavo sono stati individuate alcune porzioni di muri, che hanno consentito di riconoscere ad ovest altri due vani (I) ed (A) ed un piccolo cortile (R). Il settore occidentale è organizzato intorno ad un viridarium  circondato da un peristilio, sul quale, perpendicolarmente all’asse dell’atrio, si affacciano una serie di ambienti: a nord-est sono situate le sale di rappresentanza , delle quali  quella centrale, il vano (D), è enfatizzata da due colonne disposte sulla soglia. A sud-est invece sono disposti ambienti di importanza secondaria. I  pavimenti in opus signinum indicano l’importanza, verso la fine dell’età repubblicana, dell’influenza italica da parte di artigiani istruiti negli ateliers romani o ispirati dai loro modelli.

La pianta dell’abitazione appena descritta corrisponde a quella di una domus romana a due corti, anche se l’assialità dell’atrio e del peristilio non è rispettata. Tuttavia anche a Pompei si incontrano numerosi esempi di questo tipo, come la Casa di Meleagro. Numerosi sono i punti da chiarire circa l’organizzazione degli spazi interni dell’abitazione in questa sua prima fase: innanzitutto la zona dell’atrio, di cui non si conosce la pianta esatta, poi la collocazione delle zone di passaggio che univano i due settori.  I reperti trovati nel corso dello scavo datano l’abitazione tra gli anni 50 –20 del I a.C. : si tratta soprattutto di frammenti di forme vascolari in ceramica a pareti sottili, vernice nera A e B, sigillata aretina e di anfore italiche (Dressel 1A e 1B).

Fase  2.

Nella seconda fase edilizia, avvenuta nel corso del I d.C. , nell’abitazione avvengono alcune modifiche, ma nonsi tratta di una completa trasformazione. La dimora infatti conserva il suo aspetto originario, divisa in due settori, ma una porzione consistente della zona occidentale è fatta oggetto di una serie di rimodernamenti: sono innalzati nuovi muri,  creati nuovi ambienti, mentre sono migliorate le condutture. Le modifiche apportate all’abitazione a partire dall’inizio del I d.C. tradiscono la rapida accentuazione del processo di romanizzazione e l’affermarsi del gusto, da parte dell’aristocrazia della città di Narbo Martius, per una cornice “romana”. Sono dunque ridecorate le pareti e rifatti i pavimenti, è impiegata la nuova tecnica dell’opus vittatum e l’ala nord della dimora è completamente riorganizzata: tutto ciò indica una maggiore aderenza al modello romano da parte dell’elite provinciale. Conformemente  all’evoluzione constatata in ambito italico sotto il regno di Augusto e l’epoca dei Flavi, l’abitazione guadagna in altezza ed altri vani sono aggiunti; il giardino porticato è interamente rinnovato verso la metà del I d.C. e testimonia il successo della formula del viridarium riscontrata in Gallia.

Fase 3.

In quest’ultima fase si assiste invece ad un rifacimento della zona dell’atrio: i vani (K ) ed (H) furono completamente ricostruiti, mentre il vano (H) viene demolito. A partire dai reperti raccolti la cronologia proposta per questa fase e per il definitivo abbandono della dimora è la seguente: per il settore G-H la datazione è fissata al 150 d.C. , poiché sono stati trovati un frammento di sigillata africana (datata al 120-130) e una moneta in bronzo coniata tra il 141 e il 151 d.C., sotto Antonino Pio. Sappiamo inoltre dalle fonti che un incendio interessò la città di Narbo Martius in questo periodo e proprio l’imperatore si interessò alla ricostruzione degli edifici pubblici distrutti nel corso di quest’evento. Purtroppo non ci sono elementi per indicare nell’incendio la causa della distruzione e dell’abbandono dell’abitazione di Clos de la Lombarde.

La decorazione degli ambienti.

  • Ambiente D.

-   Zoccolo: di colore giallo, è la decorazione parietale più antica dell’abitazione, precedente al pavimento musivo con crustae, mentre l’intonaco rosso sulle colonne potrebbe essere contemporaneo. Datazione proposta: età augusteo-tiberiana.

-   Zona mediana: la decorazione a fondo bianco è limitata in basso e in alto da una fascia rossa, comprendente due pannelli con bordi traforati separati da un pannello intermedio. Pannello intermedio della parete destra Quest’ultimo è diviso in tre parti ineguali nelle quali sono raffigurati dal basso verso l’alto: una transenna a graticcio, oltre la quale è un arbusto i cui rami sono disposti in modo simmetrico; al di sopra è una maschera teatrale tra due ghirlande sospese su cui sono poggiati due volatili; segue un piccolo riquadro con un amorino alato e uno scoiattolo, il primo dipinto di tre quarti, il secondo di profilo e separati da un pilastro; infine , nell’ultimo riquadro, è di nuovo raffigurata una transenna a graticcio, sulla quale è poggiato un piccione: oltre la balaustra sono dei motivi vegetali e in alto un clipeus dal quale ricadono due ghirlande.Pannello intermedio della parete sinistra: la composizione, anche se presenta minime varianti, è la stessa, salvo che nel riquadro centrale dove sono raffigurati invece il dio Pan e un caprone.

-   Zona superiore: la decorazione pervenuta è incompleta e non è stato possibile ricomporla. Al di sopra di una balaustra rossa, simile a quella degli interpanelli, è presente un piccolo arbusto; bordi traforati, piccole colonne ioniche e palmette dovevano completare lo schema decorativo.

Studio tematico e stilistico.

Non si conosce quale tipo di decorazione accompagnasse lo zoccolo giallo i cui resti abbastanza scarsi, sono presenti sulla parete nord-ovest dell’ambiente, ma è possibile avere una migliore conoscenza della decorazione più recente. L’ambiente doveva aver uno zoccolo rosso come la base delle colonne che limitano l’entrata, poiché alcune tracce di rosso appaiono ancora al di sopra del mosaico sulla parete nord-est. Purtroppo non si conosce l’altezza di questa parte dello schema decorativo. Tutti i frammenti della zona mediana provengono dalla parete sud est, per cui è stato facilmente possibile ricostruire lo schema decorativo.

Per quanto riguarda la zona mediana, la suddivisione della parete è stata eseguita in modo classico, trattandosi di un vano di queste dimensioni, essendo la divisione bipartita riservata solo agli ambienti più piccoli.

Gli amorini che decorano la parte centrale dei pannelli sono troppo mutili per giudicarne l’esecuzione; in generale ricordano gli amorini che rallegrano le pitture pompeiane dal III stile in poi e che occupano lo stesso posto al centro dei pannelli, come ad esempio nella Casa della Regina Margherita a Pompei.

I bordi traforati offrono due varianti del tipo a semicerchi con palmette, eseguite con un leggero colpo di pennello e accompagnate da una profusione di dettagli minuziosi. Bordi di questo tipo abbondano nelle pitture pompeiane di IV stile e sembrano aver avuto un grande successo a Narbona[15].

I pannelli a fondo bianco con cornici traforate e figure volanti al centro ben attestano una tradizione che pare essere ben consolidata a Narbona.

Lo schema dei pannelli intermedi – o interpannelli – sembra caratterizzato da una rinuncia deliberata ad ogni elemento di separazione architettonica: il colore verde scelto per le fasce, si allontana dai toni caldi che sono in genere usati per le colonne e gli architravi, sottolineandone il carattere lineare di semplici elementi di separazione, senza effetti di chiaroscuro. Gli sfondamenti della parete sono rappresentati con aperture frontali e con elementi disposti simmetricamente. Al contrario a Pompei le architetture che separano i pannelli   sono orientate verso destra o sinistra in rapporto ad un asse situato al centro della parete[16].

Esaminiamo i diversi elementi compresi negli interpannelli.

La balaustra a graticcio della finestra, in legno, rappresentata in modo dozzinale nelle pitture romane, in questo caso presenta una fragilità e una resa talmente semplice che indica il suo carattere convenzionale. L’alberello presenta i rami un po’ rigidi, con il fogliame dipinto dettagliatamente, anche se la parte inferiore dell’arbusto sembra essere stata eseguita in modo incompleto, come se il pittore l’avesse riprodotta da un modello completo. Il tema dell’albero all’interno di un’apertura è abbastanza frequente nel IV stile, spesso con un aspetto più slanciato e talvolta appare dipinto come un albero sacro, ornato di bende. L’alberello dell’ambiente D può essere tuttavia paragonato a uno degli arbusti che si vedono raffigurati sulla parte bassa delle pareti del peristilio della Casa dei Vettii a Pompei.

La maschera tragica[17] è ancora un elemento preso dal repertorio classico, come anche le foglie gialle appuntite e allungate, che la sormontano.le ghirlande sostenute dalla pelta hanno il loro equivalente nelle decorazioni più modeste di pompei ed Ercolano[18] e si ritroveranno a lungo, nell’ambito della pittura romana, fino al V secolo d.C.

Nel riquadro superiore, dove si ripresenta l’apertura in trompe-l’oeil, con balaustra in legno e tutti gli accessori di repertorio (ghirlande, festoni, clipeus) vi è anche un volatile: in questo caso, a differenza dei volatili dipinti sulle pareti delle casa campane, dov’è forte la presenza di pavoni o altri uccelli dalle forme slanciate, si è preferito un piccione dalla silhouette tozza, che dona un aspetto abbastanza rustico alla decorazione dell’ambiente.

Nel riquadro centrale degli interpannelli sono presenti due diverse scene figurate. Nel riquadro destro è raffigurato un amorino alato, insieme a uno scoiattolo: il primo è molto simile agli altri amorini che occupano la parte centrale dei pannelli bianchi della decorazione del medesimo ambiente, mentre lo scoiattolo è stato eseguito un po’ goffamente, spinto in avanti, pronto a perdere l’equilibrio. Nelle pitture pompeiane gli amorini sono rappresentati intenti ai mestieri degli uomini, mentre nella pittura narbonense il soggetto tiene in mano il pedum , chiaro simbolo della vita pastorale, legato anche al tiaso bacchico. Lo scoiattolo invece è un animale poco presente nel repertorio decorativo romano, ed è probabile che si tratti di un motivo originale del pittore: in questa scena sono dunque presenti due elementi diversi,  provenienti da cartoni differenti, ma amalgamati con abilità dall’artigiano.

Nel riquadro sinistro sono invece raffigurati il dio Pan che lotta contro una capra: si tratta di una raffigurazione ricostruita da numerosi frammenti e purtroppo lacunosa. La divinità ha le mani legate dietro la schiena – con la corda che pende tra le gambe – mentre la capra si impenna sulle zampe posteriori. Lo stesso tema è presente nell’opera di Roux et Barrè , in un disegno che riproduce una decorazione conservata al Museo di Napoli: sono da sottolineare i punti in comune con la pittura di Narbona ed è chiaro come in tutti e due i casi la fonte d’ispirazione sia  stata la stessa. Le due realizzazioni devono basarsi su cartoni molto vicini. Probabilmente il soggetto stesso della scena è quello di un “gioco satiresco”, una specie di farsa che imita i drammi satireschi greci, i cui personaggi principali erano dei satiri mostrati “nella loro rustica nudità”[19]. Questo tema iconografico ereditato dal teatro venne utilizzato anche nel repertorio della ceramica sigillata, poiché si ritrova sui vasi de La Graufesenque durante l’età di Vespasiano. Il pittore dunque si è ispirato a un tema dionisiaco che era certamente ben conosciuto dai suoi contemporanei come dimostrano le rappresentazioni sui vasi ceramici: se nella pittura del vano D è inscenato lo slancio tra i due combattenti, invece nel vaso in sigillata è rappresentato lo scontro tra i due avversari.

Nella zona superiore è nuovamente presente il motivo della finestra con arbusto: lo schema e le dimensioni sono le stesse. Le volute e gli ombelli appaiono invece come elementi ripetitivi di un candelabro, mentre gli animali fantastici i cui corpi si trasformano in girali e volute sono molto frequenti nelle pitture romane, in particolare in età neroniana. I bordi traforati appartengono ad una tipologia molto impiegata nell’ambito delle pitture pompeiane e si possono accostare a quelle della Casa dei cErvi ad Ercolano. Bisogna sottolineare che il bordo traforato ha un ruolo di passaggio tra i vari compartimenti della zona superiore a fondo bianco. I timpani infine sono eseguiti con un semplice tratto rosso, con un cerchio verde al centro e dei festoni sospesi.

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L’ambiente D presenta una decorazione formata da pannelli incorniciati da bordi traforati e separati da scorci prospettici, in voga in Campania durante il periodo di Vespasiano. I motivi , che talvolta si collegano al ciclo dionisiaco come le maschere o i timpani, appartengono al vasto repertorio di quest’epoca. Nonostante ciò va sottolineato qualche particolare: gli scorci prospettici non hanno elementi architettonici; in confronto con le pitture campane, un certo horror vacui si manifesta negli interpannelli dove sono numerosi i motivi rappresentati, spesso ingranditi ( ad esempio il piccione o le ghirlande) con una tendenza alla ripetizione. È interessante notare che queste tendenze si ritrovano anche nelle decorazioni realizzate tra il 63 e il 79 d.C. a Pompei dalla bottega detta di Via di Castricio[20];  tuttavia le pitture pompeiane in questione tradiscono una povertà di ispirazione e di mezzi economici da parte del committente, che non sono presenti nel caso delle pitture narbonensi, a causa della qualità della loro realizzazione. Piuttosto si tratta di un gusto comune per delle tendenze che si svilupperanno in periodi più tardi.

In conclusione, le pitture dell’ambiente D sono state eseguite da un’equipe di abili pittori, che riusciva a fornire decorazioni di buon livello per l’agiata clientela della città: gli elementi del repertorio sono prossimi a quelli del IV stile pompeiano.

  • Ambiente G.

-   zoccolo: sono stati trovati alcuni frammenti della decorazione a fondo bianco picchiettata di rosso, limitata da una fascia orizzontale rossa

-   zona mediana: la decorazione è a fondo bianco, divisa verticalmente da una fascia rossa che poggia sullo zoccolo; i pannelli, di cui ospita al centro un frutto, sono incorniciati da bordi traforati e sono separati da sottili candelabri, formati da ciuffi di foglie, festoni, ombelli e palmette.

-   Zona superiore:  si presenta separata in vari riquadri, ospitanti motivi vegetali come ghirlande con nastri, ombelli, palmette, e motivi animalistici (un felino che rincorre un cervo).

Studio tematico e stilistico.

Come spesso avviene anche per gli altri ambienti dell’abitazione, lo decorazione che riveste lo zoccolo è quella meno conosciuta; le picchiettature rosse su fondo bianco sono simili a quelle presenti negli ambienti di case pompeiane modeste. Concepite sin dall’origine come una imitazione del marmo, queste picchiettature si alternano a pannelli che imitano il marmo venato[21]. Questo tipo di decorazione, molto semplice, in genere si inserisce in uno schema decorativo molto modesto: inoltre il colore delle picchiettature è quello che poi predomina nella zona mediana – nel caso del vano G il rosso delle fasce di separazione dei candelabri.

Per quanto riguarda la zona mediana invece sono stati recuperati i frammenti delle pareti sud-est e nord-ovest. Come nell’ambiente D lo schema decorativo era composto da tre pannelli a fondo bianco, incorniciati da bordi di tappeto; ma per la parete sud-est, essendo di una superficie troppo ridotta,il pittore ha preferito eseguire soltanto due pannelli, preferendo conservare l’armoniosità delle proporzioni[22]. Sono presenti nuovamente gli interpannelli, ornati da candelabri a ombelli rossi e verdi. Questi candelabri, di cui non si conosce la base, sono formati unicamente dalla ripetizione di tre elementi: uno stelo fronzuto, ombelli festonati e acroteri. Invece, il frammento d’intonaco raffigurante un frutto dovrebbe fare parte di una natura morta, posta al centro di uno dei grandi pannelli bianchi della parete nord-ovest. Molte casa pompeiane possiedono questo tipo di decorazione che a volte si presenta come un piccolo quadretto di forma rettangolare[23].

La zona superiore è separata da quella sottostante da una fascia rossa ed è suddivisa in piccoli compartimenti disposti su due registri, almeno nella zona laterale. Gli elementi della decorazione della zona superiore, come le ghirlande e la caccia tra animali, trovano riscontri con le pitture pompeiane.

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Le pitture dell’ambiente G sono prossime a un gruppo ben rappresentato in Campania nella fase del IV stile: quello delle decorazioni a fondo bianco, formate da pannelli incorniciati da brodi traforati con talvolta delle nature morte al centro. Per gli elementi presenti nella zona superiore, si possono confrontare per le ghirlande: la Casa delle Nozze d’Argento, quella del Colonnato tuscanico e quella di Pinarius Cerealis. Un esempio del tema pompeiano della caccia tra animali, presente nella pittura narbonense, è invece da individuare nella Casa dei Vettii, dove il soggetto figurato è inserito nella medesima zona dello schema decorativo. Nonostante ciò alcuni elementi decorativi allontanano le pitture del vano G da quelle campane: il principale tra questi è il candelabro inserito negli interpannelli. In ogni caso le pitture di questo vano riflettono le abitudini e le mode provenienti da Roma, alle quali si sovrappongono gli influssi locali: gli elementi decorativi sono presi dal repertorio tradizionale romano, anche se l’impronta di un atelier provinciale è sottolineata dalla presenza del motivo del candelabro e dalla tendenza ad ingrandire alcuni particolari. La decorazione potrebbe essere contemporanea a quella del vano D, quindi di età flavia. Tuttavia è di un livello più modesto e forse non è stata eseguita dalla stessa equipe di artigiani.

  • Ambiente H.

-   zoccolo: è stato ritrovato un solo frammento pertinente a questa parte dello schema decorativo; limitata in alto da una fascia color granato, a destra da una fascia blu e in basso da una linea gialla. Della decorazione vegetale ospitata da questo riquadro resta una parte di un ciuffo di foglie.

-   zona mediana;  presenta una serie di pannelli decorati da bordi traforati, separati da un pannello intermedio che ospita un candelabro formato da motivi vegetali.

-   zona superiore: si tratta della parte meglio conservata, insieme al soffitto, di tutta la decorazione dell’ambiente: la parete è scandita da esili architetture, con edicola centrale; ai lati di quest’ultima, sono presenti, sempre all’interno dello schema architettonico – arricchito da bordi traforati e festoni – due candelabri formati da motivi vegetali.

-   soffitto: si è conservata parte della decorazione del soffitto dell’ambiente sottoforma di una fascia lunga circa 4 m. il centro della raffigurazione presenta un riquadro di forma ottagonale all’interno del quale è una menade nimbata con tirso. L’ottagono è inquadrato in uno schema geometrico, costituito da un riquadro di forma quadrata, ornato da festoni e motivi vegetali; questo riquadro è attorniato esternamente da altri riquadri di forma rettangolare, di dimensioni più piccole e disposti lateralmente: al loro interno è raffigurata un’idria metallica. Motivi vegetali stilizzati, come ombelli e palmette, completano la decorazione.

Studio tematico e stilistico.

È stato già sottolineato che la parte meglio conservata della decorazione è quella della zona superiore. grazie alla loro posizione di tre quarti le edicole donano all’insieme un interessante effetto di rilievo. I compartimenti laterali appaiono in salita, effetto rafforzato dal loro bordo. superiore curvato. Verso l’interno della decorazione, al contrario, la linea di fuga delle edicole si unisce a quella del compartimento centrale che , di conseguenza, sembra situato in profondità. Il fatto che la sua larghezza sia inferiore rispetto a quella dei compartimenti laterali, concorre a quest’effetto. Con simili artifici i pittori campani, soprattutto quelli del IV stile, hanno spesso dato un carattere dinamico alle architetture della zona superiore[24].

La decorazione del compartimento centrale della zona superiore è pervenuta molto lacunosa: il bordo traforato e i festoni che ricadono al centro della parte superiore sono dei modesti indizi che consentono tuttavia di individuare un legame tra questa parte dello schema decorativo e il resto della zona superiore. nell’oecus 13 della Casa dell’Atrio a Mosaico ad Ercolano, il centro della zona superiore è occupato da due compartimenti ricurvi al posto di uno e bisogna sottolineare che questa suddivisione è abbastanza frequente. Un bordo traforato molto simile a quello dell’ambiente H incornicia i piccoli riquadri della zona superiore della Casa di Pinariu Cerealis

Per quanto riguarda l’acroterio, un motivo decorativo già utilizzato, in dimensioni ridotte, per l’ambiente G, il pittore ha cercato in questo caso di renderlo più importante per sottolinearne il suo ruolo di elemento centrale. Alcuni frammenti di girali disposti da un lato e dall’altro permettono di ipotizzare che l’acroterio fosse accompagnato da volute simili a quelle che formano la coda dei delfini. Il prototipo è senza dubbio l’acroterio a palmette fiancheggiato da volute, presente nelle pitture di III stile.

Le piccole edicole distile, senza profondità, sono frequenti nelle pitture romane: citiamo ad esempio la Casa delle Nozze d’Argento o la Casa del Centenario. Quelle della sala H sono realizzate abbastanza accuratamente, con ombre che indicano un’illuminazione fittizia proveniente dal centro della parete.

Gli acroteri a forma di delfino fanno parte di una lunga tradizione decorativa: ora il corpo dell’animale è riprodotto fedelmente, ora è appena riconoscibile, inserito nell’abbondanza di girali e volute per le quali serve da pretesto ed è appunto il caso degli acroteri della sala H. tuttavia i delfini stilizzati non sono stati rappresentati nelle dimensioni utilizzate abitualmente nell’ambito della pittura romana, anzi appaiono ingranditi; le volute con cui terminano le pinne inoltre, formano degli arabeschi di un’ampiezza poco frequente. Anche in questo caso, come è avvenuto nell’ambiente G, il pittore ha utilizzato un elemento del repertorio tradizionale rielaborandolo e conferendogli un ruolo preponderante all’interno della decorazione.

I compartimenti laterali dovevano presentare una decorazione pressoché identica: gli archetti che li sormontano e che uniscono le piccole edicole appartengono al repertorio tradizionale: si possono infatti ritrovare sulla volta della Taverna Attiorum.

Il bordo traforato che forma la cornice del compartimento ricurvo ha dei paralleli abbastanza numerosi nelle zone mediane o superiori delle pitture pompeiane, come ad esempio quella presente nel peristilio della Casa del Menandro.

Sorprendono le dimensioni del candelabro, che occupa quasi tutto il compartimento, con i suoi racemi e i suoi viticci: anche nella Casa di Loreius Tiburtinus a Pompei o in quella ercolanese dell’Atrio a Mosaico troviamo dei candelabri vegetalizzati alternati a leggere architetture, ma il loro ruolo nella composizione d’insieme è secondario. Invece nello schema del vano H, il candelabro costituisce un elemento essenziale della decorazione. Ciò lo si nota anche dall’attenzione del pittore nel realizzare l’ombello, la parte terminale del candelabro: ha infatti utilizzato un colore molto ricercato, il malva, dando maggiore importanza alla resa pittorica del motivo piuttosto che al disegno.

Gli animali affrontati sono chimere e grifi, a volte alati, con esili zampe anteriori ed il corpo terminante in volute.

Per quanto riguarda la zona mediana, sono pochi i frammenti d’intonaco dipinto a noi pervenuti.  I bordi traforati che incorniciano i pannelli sono delle varianti del tipo ad archi e palmette, simili a quelle degli altri ambienti di Clos de la Lombarde: la Casa di Marcus Lucretius a Pompei presenta un bordo traforato molto simile. Gli interpannelli invece erano decorati da candelabri, formati da un esile stelo ai lati del quali sono disposti dei racemi pressoché identici. Il coronamento del candelabro è un recipiente dal coperchio sollevato: si tratta di una semplice silhouette dai toni del blu e del grigio, di cui non sono stati realizzati i particolari.

La decorazione del soffitto è organizzata secondo un sistema a compartimenti concentrici, abbastanza utilizzato nel IV stile, di cui tre sono quadrati,mentre al centro è disposto un ottagono.

Il compartimento centrale  a forma di ottagono è presente anche nelle decorazioni pompeiane e spesso al suo interno sono inserite una o due figure volanti : ad esempio nella Taverna Attiorum è un amorino, mentre nella Casa degli Amanti sono raffigurati Marte e Venere.

Nel soffitto dell’ambiente H, il decoratore ha voluto inoltre rendere all’ottagono l’aspetto di un cassettone, la cui profondità è stata realizzata mediante delle fasce blu parallele.

Il tema della menade è stato spesso utilizzato nelle decorazioni centrali dei pannelli parietali (ad esempio nella Casa dei Vettii o in quella della Fontana Piccola a Pompei) ed è anche utilizzato per la decorazione delle volte e dei cassettoni dei soffitti, al pari di altre figure femminili vestite di veli leggeri, come Psiche o le Ore.

Nel nostro caso il pittore ha realizzato la menade nello slancio della corsa: la testa gettata all’indietro e di profilo, il braccio sinistro in avanti e il destro piegato, con una leggera torsione del busto. Il movimento è accentuato dal tirso e dalle estremità del velo e soprattutto dalle pieghe della veste che, arrestatasi sulle gambe, flotta dietro le caviglie; il velo infine si gonfia dietro la testa ed il busto, completando questa scena in modo armonioso.

Attorno ai compartimenti quadrati sono presenti dei nastri molto simili a quelli della zona superiore, che servono a sottolineare il carattere dinamico della composizione. Lateralmente sono dei piccoli riquadri rettangolari, all’interno dei quali è raffigurata un’idria: questi ultimi motivi decorativi sono presenti nella decorazione del soffitto della Taverna Attiorum a Pompei.

àparagonata a quella della sala G, la decorazione dell’ambiente H presenta dei motivi decorativi più ricercati ed eseguiti più accuratamente. Rientra nella categoria delle pitture campane di IV stile, nelle quali gli elementi architettonici, non più presenti nella zona mediana, sopravvivono in quella superiore. una certa allure provinciale è data dai candelabri a ombelli e, nella parte alta della decorazione, dalla notevole ampiezza del candelabro vegetalizzato e degli acroteri delfinoformi.

Il soffitto dell’ambiente H si avvicina dunque, per la disposizione della decorazione basata sul sistema dei compartimenti concentrici e per i suoi temi ornamentali, ad un gruppo di pitture ben rappresentato a Pompei. Il confronto più sorprendente è quello con la volta dell’ambiente 8 della Casa degli Amanti dove ritroviamo l’ottagono, i festoni e i nastri, i candelabri e le ghirlande. Tuttavia la pittura pompeiana dà un’impressione di ricchezza, grazie all’abbondanza dei motivi, quasi tutti miniaturistici. Se si eccettua la figura della menade, la cui esecuzione ha richiesto una maggiore attenzione per i particolari, il decoratore dell’abitazione narbonense ha scelto dei soggetti più facili da realizzare come i bordi con puntini o gli acroteri dai rami rigidi; non sono stati moltiplicati gli elementi della decorazione, ma da quelli presenti si è cercato di trarre l’effetto massimo. È infatti il caso del vaso, dalle dimensioni un po’ esagerate, eseguito senza rispettare il gioco delle proporzioni abitualmente utilizzato nelle pitture campane.

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La decorazione dei tre ambienti contigui D, G ed H presenta numerose caratteristiche comuni.

Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche dei dipinti, sono da segnalare similitudini tra gli strati preparatori e di sostegno della decorazione, i quali in tutti gli ambienti, salvo il vano D, sono molto sottili. Inoltre la zona superiore presenta in tutti gli ambienti una lisciatura poco accurata; i pittori hanno eseguito le decorazioni utilizzando delle tracce preparatorie dipinte o incise nell’intonaco, mentre i bordi traforati sono stati realizzati grazie all’impiego del compasso e della riga.

Tutti e tre gli ambienti presentano una decorazione a fondo bianco dove delle fasce rosse separano le differenti zone e gli angoli: si tratta di un sistema decorativo prevalente nelle abitazioni modeste. Le architetture nella zona mediana sono assenti, ma sono proposte, sebbene in una forma semplificata, nella zona superiore in due ambienti su tre (D ed H). Sembra che i pittori abbiano voluto ottenere un maggiore effetto decorativo moltiplicando i bordi traforati, facili da eseguire, e ingrandendo alcuni particolari. Tuttavia talvolta ne deriva un sovraffollamento dei motivi decorativi, spia di un certo provincialismo. Le piatte fasce rosse e verdi che sostituiscono colonne e architravi, sono da paragonare ai motivi presenti nelle decorazioni eseguite dalla bottega di Via di Castricio, che eseguiva per le abitazioni pompeiane degli schemi decorativi parietali di gusto popolare. Nonostante ciò, bisogna attenuare questo paragone poiché le pitture di Clos de la Lombarde sono lontane dall’essere una semplice copia di modelli italici di categoria economica. Dall’analisi stilistica dei frammenti recuperati, sembra che le pitture narbonensi siano state eseguite da due equipe di decoratori. Nell’ambiente D ha lavorato una squadra capace di eseguire con abilità gli scorci prospettici, ancora in voga durante l’età flavia, insieme alle decorazioni figurate; la gamma dei colori usata è molto varia. Anche se i motivi decorativi appartengono al repertorio tradizionale, sono stati eseguiti con freschezza e con ispirazione sia all’interno delle singole composizione che nella resa generale dello schema parietale. Si tratta dunque di pitture eseguite da una bottega di alto livello, alla quale era probabilmente destinata la realizzazione delle decorazioni parietali  in ambienti di rappresentanza delle abitazioni borghesi di Narbona.

Invece un’altra equipe aveva ricevuto il compito di effettuare le pitture dei restanti due ambienti della domus: infatti nelle decorazioni si ritrovano degli elementi che possono essere identificati come il marchio di fabbrica della bottega. In particolare bisogna sottolineare la presenza dell’acroterio con le aste orizzontali e dei ciuffi di foglie allungate. La decorazione dell’ambiente G corrisponde ad una realizzazione di categoria modesta, con uno schema molto semplice e una gamma di colori molto ridotta. Al contrario l’ambiente H mostra una maggiore ricercatezza: in modo eclettico i pittori hanno accostato sia i pannelli con candelabri, molto apprezzati nelle province, sia elementi provenienti dal modello urbano.

Tutte queste caratteristiche mostrano quindi che la decorazione degli ambienti D, G ed H è stata realizzata durante lo stesso periodo. Le preoccupazioni sul piano economico  si traducono dal punto di vista tecnico, nell’esecuzione di basi d’intonaco esigue – spesso ridotte ad un solo strato – lisciate mediocremente; dal punto di vista pittorico sono state scelte delle decorazioni a fondo bianco che consentivano di ottenere rapidamente delle eleganti realizzazioni.

  • Ambiente K.

-   zoccolo: questa zona della parete presenta una decorazione imitante l’opus sectile e marmi preziosi.

-  zona mediana: tutte e quattro le pareti presentano lo stesso schema architettonico, con un’edicola centrale ampia circa 1,60 m, che inquadra una scena figurata con personaggi a grandezza naturale. Nelle architetture laterali, munite di avancorpi e colonne scanalate, sono invece raffigurate dei personaggi di dimensioni ridotte; la parete sud-est probabilmente non aveva all’interno dell’edicola nessuna scena figurata, bensì un’apertura.

-   zona superiore e volta: al di sopra della trabeazione concava è raffigurato un velum verde; segue un fregio formato da pelte e limitato da clipei rosa, mentre un altro fregio a fondo rosso è decorato da figure (parete nord-ovest), da armi (parete nord-est) e da animali marini (parete sud-ovest). nelle zone laterali all’interno di edicole tetrastile sormontate da un frontone triangolare, sono rappresentati dei busti. La volta dell’ambiente presenta uno schema decorativo nel quale sono amalgamati  il sistema a riquadri giustapposti e simmetrici, che segue la tradizione del II e IV stile pompeiano; questi riquadri incorniciano un elemento circolare, proveniente da un altro schema decorativo apparso verso il 130-140 d.C. , il quale accentua le diagonali della volta.sono presenti i motivi provenienti dal repertorio delle pitture campane: i cassettoni con illuminazione laterale, i ritratti nei medaglioni, le gorgoni, gli amorini cacciatori.

Studio tematico e stilistico.

I pannelli dipinti imitando il marmo sono stati eseguiti con cura e appartengono al repertorio abituale. È imitato il porfido, insieme ad altri marmi venati di rosa, giallo e verde pallido. L’imitazione dell’opus sectile è stata impiegata in tutte le epoche per decorare le parti basse delle decorazioni, dando un effetto di ricchezza: a Pompei abbiamo un esempio di questo motivo decorativo nel tablino della Casa della Caccia.

Nella zona mediana colpisce innanzitutto nell’insieme dello schema decorativo, la vasta porzione destinata ad accogliere una megalografia, inserita all’interno dell’edicola centrale: gli elementi architettonici formano una cornice che enfatizza la scena figurata. L’unità della parete è perciò conservata dal gioco delle architetture che si sviluppano su due livelli e che smorzano la divisione tra zona mediana e zona superiore.

Il tipo di schema architettonico raffigurato sulle pareti del vano K  deve gran parte della sua realizzazione agli schemi architettonici di II stile, in particolare quelle appartenenti alla fase IIb, come ad esempio nella decorazione dell’oecus della Casa di Obellius Firmus. Questa parentela però non deve sorprendere poiché sotto Adriano inizia a manifestarsi un gusto per le architetture solide del II stile, con pareti chiuse e fughe architettoniche disposte nella zona superiore[25]. l’esempio più illustre del ritorno alle grandi composizioni di II stile è quello dei mosaici di Antiochia (villa ai piedi del Mussa Dagh), datati all’inizio del III d.C.  e che rappresentano delle scene figurate inquadrate da architetture che non hanno perduto nulla della loro logica e della loro solidità. A causa della loro precisione e del loro realismo, dove si percepisce il desiderio di imitare la pittura, questi mosaici sembrano derivare ancora da opere pittoriche “eseguite secondo i principi dell’ellenismo classico”[26].

La decorazione  architettonica dell’ambiente K si inserisce in una corrente che si manifesta a partire dalla seconda metà del II d.C. nelle province dell’impero romano[27]: riprende le strutture solide del II stile pompeiano ed è organizzata come la  scenae frons di un teatro; questo tipo di organizzazione invece deriva dal repertorio delle pitture di IV stile. Vi sono quindi nella decorazione architettonica  fusi insieme gli influssi del II e del IV stile pompeiano: la caratteristica eccezionale di questa pittura sta nel fatto che nell’epoca in cui è stata realizzata, vi era in generale la tendenza a semplificare le false architetture, con un conseguente impoverimento dello schema decorativo.

Al centro dell’edicola, su un fondo neutro, sono raffigurati due personaggi che colpiscono per le loro notevoli dimensioni.

A destra è una figura maschile, i piedi calzati ed il corpo in parte avvolto in un mantello azzurro, con patera nella mano destra e cornucopia nella sinistra; la gravità del volto è stata resa dal pittore mediante l’esecuzione di grandi occhi scuri, dalle pupille ravvicinate.

A sinistra invece è una figura femminile, di cui si riconosce solo la parte inferiore del corpo, raffigurato di tre quarti e con una veste lunga fino alle caviglie; la parte superiore del personaggio è andata perduta, e si riconosce solo un’ala e lo scudo che probabilmente teneva alzato sopra la test. Gli attributi dei due personaggi rendono chiara la loro identificazione: si tratta di un Genio e di una Vittoria alata.

Ma qual è la funzione di queste due figure all’interno della decorazione parietale dell’abitazione? La scelta dei personaggi, situati intenzionalmente sulla parete opposta all’entrata , ne sottolinea l’importanza. Il Genio così com’è raffigurato – un giovane imberbe in nudità eroica – si  ricollega ad un genere la cui iconografia presenta poche varianti: tra questi vi sono anche il genio del Popolo Romano e quello dell’imperatore. A partire dalla fine del I a.C. i geni invadono ogni campo: troviamo infatti il genio di un collegio, di una professione, di una centuria, di un teatro e così via.  Rappresentati anche su ceramica e su bassorilievi, di solito sono connotati anche da un attributo complementare che consente una corretta identificazione ( ad esempio il genio della città ha una corona turrita). Negli ultimi anni dell’età repubblicana furono coniate numerose monete con l’effigie del Genius Populi Romani: un giovane imberbe, in nudità eroica, con cornucopia che con la mano destra incorona Roma. Quando poi fu istituito il culto imperiale, il genio personale dell’imperatore fu rappresentato come quello del pater familias: la personalità stessa di Augusto, salvatore della patria e padre di Roma, favorì quest’accostamento tra il suo Genio e quello del popolo romano, accostamento che si tradusse anche sul piano iconografico. All’epoca di Nerone si coniavano monete con la legenda Genius Augusti, dov’è raffigurato un giovane con patera e cornucopia: da questo momento in poi questo genere di iconografia è utilizzato in modo ambiguo, sia per il Genius Augusti, che per quello del popolo romano. È possibile ipotizzare che nelle province dell’impero la figura rappresenti il simbolo della romanità.

Nella pittura narbonense il Genio è accompagnato da una Vittoria che non lo incorona, ma innalza un clipeo: anche in questo caso la figura riveste un valore simbolico; il clipeo è l’emblema della Virtus dell’imperatore[28] . Si tratta quindi di una scena il cui tema principale è quello dell’esaltazione di un imperatore; altri elementi all’interno della decorazione dell’ambiente sono a favore di quest’ipotesi. Nell’edicola destra, posta lateralmente al Genio, all’interno dello schema architettonico è raffigurato in dimensioni ridotte, un militare: l’armatura arcaizzante tradisce il valore simbolico della figura, la quale ricorda che l’imperatore è innanzitutto un comandante (imperator) la cui autorità si fonda sull’esercito. Le altre megalografie che ornavano la sala K sono pervenute in condizioni molto frammentarie, ma è certo che nella parete sud-ovest erano raffigurati Marte e Venere; nella zona superiore invece sono i busti di altre divinità, come quelli di Apollo e Cibale. Si tratta di divinità protettrici della dinastia imperiale[29]: è da sottolineare che in età antonina i sovrani erano spesso rappresentati sotto le spoglie di Marte e Venere.

La decorazione della sala K è quindi un’allegoria, ricca di elementi iconografici intrisi di mistica imperiale: il Genio dell’imperatore è accompagnato dalla Victoria-Virtus  alata, che innalza trionfalmente uno scudo d’argento, all’interno del quale probabilmente era effigiato l’imperatore stesso. La decorazione dell’ambiente riflette le preoccupazioni religiose e politiche di un’epoca costituisce un esempio tutt’ora unico nella pittura parietale romana e provinciale.

Narbona – Clos de la Lombarde. Decorazione parietale in IV stile del vano K, particolare della Vittoria alata e del Genio.

Narbona – Clos de la Lombarde. Restituzione grafica a computer del peristilio con viridarium della Maison a Portiques.

Narbona –clos de la Lombarde. Restituzione grafica della decorazione in IV stile del vano K, Maison a Portiques.

BIBLIOGRAFIA.

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AA.VV. Peintures romaines en Narbonnaise, Paris , Reunion des Musées Nationaux, 1993.

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Sabriè M. et R. , Solier Y. La maison a Portiques du Clos de la Lombarde et sa decoration murale, 16° suppl. a la Revue Archeologique de Narbonnaise, Paris 1987.


[1]Nimes, stando a Strabone, godeva di uno statuto privilegiato e pur senza accedere al diritto romano, sembra che la città abbia occupato un posto di primo piano nell’ambito della provincia, entrando pertanto spesso in concorrenza con l’effettiva capitale provinciale, Narbona.

[2] Ricordiamo il dono da parte dell’imperatore, della cinta muraria, mentre numerose testimonianze epigrafiche ricordano la munificenza dei suoi figli adottivi

[3] Questo legame tra edificio scenico e santuario imperiale, ampiamente attestato in Spagna (Merida e Bilbilis) viene riproposto nello stesso periodo a Lione, dove l’anfiteatro, costruito a spese del sacerdote federale di Roma e Augusto, è parte integrante di ciò che in una lettera cristiana è ancora ricordato come il “koinon ton ethnon”. Più tardi, nel II d.C. , ad Amiens, Avenches e Augst, l’integrazione monumentale delle diverse componenti assumerà altre forme, senza che ciò comporti un cambiamento nel significato simbolico di questi complessi organici, posti preferibilmente ai margini delle città e comunque tipici di un culto i cui ludi ed i certamina, in base ad una liturgia mutuata da i giochi greci, assumono un ruolo importantissimo.

[4] Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 4, 36.

[5] Geografia IV, 1, 5.

[6] Arcivescovato (1): angolo nord-orientale di una insula.

Giardino de Grassi (3): alcuni ambienti pertinenti a due abitazioni.

Enclos Milhaud (4): alcuni ambienti pertinenti a due abitazioni

Rue des Chartreux (5): due ambienti pertinenti a due abitazioni.

Thermes (7): scoperta parzialmente un’abitazione.

[7] Il vano 18 ha un pavimento con mosaico a fondo bianco ed al centro un emblema “a la pintade”; nel vano 16 invece è un mosaico a tessere bianche e nere con una decorazione geometrica.

[8] Frequenti in ambiente italico nei primi due secoli d.C.

[9] Snodo commerciale terrestre e marittimo, vi convergevano, oltre al fiume Atax (Aude) e a numerosi assi di commercio marittimo mediterraneo (Italia, Spagna, Africa Sicilia), anche due importanti vie di collegamento della Gallia: la via d’Aquitania, che univa il Mediterraneo al versante atlantico, e la via Domitia, che univa attraverso la valle del Rodano la Spagna all’Italia.

[10] Tra il 122 e il 121 a.C. Roma inviò due generali per combattere contro gli  Allobrogi e gli Arverni ; sconfitti i Galli nella valle del Rodano, uno dei due comandanti, Domitius, giunse fino alla Luinguadoca, in quel periodo sotto il dominio arverno.  Nel 118 a.C. fondò, con la protezione del dio Marte, la colonia di Narbo Martius: mediante quest’insediamento Roma voleva assicurasi il controllo delle rotte commerciali da e verso la penisola iberica.  In questo modo potevano essere soddisfatti gli interessi dei cavalieri e rafforzare allo stesso tempo le finanze di circa tremila civili impoveriti, originari dell’Italia centrale.

Gli indigeni furono dunque cacciati, anche se alcuni di loro riuscirono a restare nei territori appartenenti all’insediamento del III a.C.

[11] La fondazione di Narbo Martius è accompagnata da una centuriazione delle campagne grazie alla quale dovevano essere destinati dei lotti di terreno ai 2000/3000 coloni provenienti dall’Umbria, dal Lazio, da Picenum e dalla Campania

[12] Cesare, ritornando a Roma dopo la guerra condotta in Spagna, stabilì a Narbona i veterani della X legione, chiamando la città Colonia Iulia Narbo Martius.

[13] Questo mosaico trova confronti con quelli presenti nel corso del I d.C. a Pompei, ma soprattutto con le varianti presenti ad Ostia, rapportabili alla prima metà del II d.C.

[14] Le altre abitazioni, parzialmente scavate, presentano tre o quattro ambienti in infilata, che probabilmente si affacciavano su dei peristili.questa disposizione è stata osservata nello scavo di rue Jacquard, dove gli ambienti davano su un peristilio che limitava una corte. Il tipo di abitazione con peristilio è dunque ben attestato a Narbona, ma le indagini poco estese non consentono di precisare statisticamente quanto fossero frequenti.

[15] Gli ambienti E, G, H di Clos de la Lombarde ed i frammenti d’intonaco dipinto provenienti dal boulevard F. Mistral presentano esempi molto vicini a quelli del vano D.

[16] questo avviene almeno per le decorazioni presenti negli ambienti di medie dimensioni.

[17]  Secondo la studiosa A. Allongen-Bedel, la presenza di questo tipo di maschera teatrale negli schemi di IV stile è da mettere in relazione con le rappresentazioni tragiche dell’età neroniana.

[18] Casa del Colonnato tuscanico, Ercolano.

[19] Orazio, Ars Poetica.

[20] M. de Vos, La bottega di pittori di via di Castricio in Pompei 1748-1980 i tempi della documentazione, Roma 1981. Questa officina, che è stata identificata grazie ad una serie di indizi stilistici, operava nella modesta zona di artigiani e commercianti delle regiones I e II. La ripetizione e l’ingrandimento dei motivi, l’esemplificazione delle architetture sono le caratteristiche principali di queste decorazioni.

[21] Nella Narbonense vi sono altri due esempi di una decorazione di questo genere: la picchiettatura dello zoccolo , tuttavia senza soluzione di continuità: la prima è conservata nel vano  J dell’abitazione di Clos de la Lombarde, la seconda all’oppidum di Vie-Cioutat.

[22] Anche nelle pitture pompeiane si fa spesso ricorso a questo stratagemma, come avviene per la maggior parte dei cubicoli della Casa dei Vettii.

[23] Ad esempio nei cubicoli (u) e (d) della Casa dei Vettii.

[24] Ad esempio: Casa delle Nozze d’Argento, Casa di Epidius Sabinus.

[25] Reminescenze del II stile sono presenti in una pittura eseguita dopo il 200 d.C. e scoperta a Roma a Via dei cerchi: in questo caso delle figure a grandezza naturale sono inseriti all’interno di uno schema architettonico con colonne.

[26] R. Bianchi Bandinelli, in Roma, la fine dell’arte antica, p.336, Rizzoli 1998

[27] questa tendenza si manifesta anche in Inghilterra (Leicester), in Svizzera (Augusta Raurica), in Germania (Treviri) e in Spagna (Merida).

[28] Nel 27 a.C. ad Augusto venne offerto da parte del Senato e del popolo romano, un clipeus aureus a causa della sua virtù, della sua giustizia e della sua pietas.  Successivamente anche a Traiano venne donato un clipeus, questa volta argenteo, per i medesimi motivi.

[29] Il culto di Venere, madre di Enea e antenata della gens Giulia, aveva carattere dinastico.



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