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The Artist

Creato il 03 aprile 2012 da Af68 @AntonioFalcone1

The ArtistChe bello! Difficile descrivere il senso di sana leggiadria che mi ha pervaso mente ed anima, nonostante il mio attuale umore non propriamente garrulo, dopo aver visto The Artist, regia e sceneggiatura di Michel Hazanavicius: pensavo di ritrovarmi, al solito combattuto tra diffidenza e curiosità, di fronte ad una furba operazione per cinefili, citazionista e calligrafica, con la riproposizione degli stilemi propri della “Hollywood del tempo che fu”, dal formato quadrato al bianco e nero della pellicola, passando per l’assenza di dialoghi con tanto di sottotitoli d’antan.

Invece, complice anche la bella colonna sonora di Ludovic Bource, eccomi di colpo coinvolto in un film che mescola con disinvoltura e maestria musical, melodramma e romanticismo, avvincendo e convincendo con la forza preponderante delle immagini e l’espressività “primordiale” degli attori, tutti eccellenti, dal fascinoso Dujardin alla sensualissima Bejo, senza dimenticare la sorniona interpretazione del produttore ad opera di John Goodman.

Siamo nel 1927 e nel giro di qualche anno la brillante carriera di George Valentin (Jean Dujardin), artista istrionico e a tutto tondo, interprete di pellicole esotiche, d’avventura e cappa e spada, capace d’intrattenere il pubblico anche al di fuori dello schermo con numeri dal sapore circense insieme al suo fido terrier (Uggy, altro favoloso interprete), sarà compromessa dall’avvento del sonoro, tecnica alla quale con ostentato orgoglio, non vorrà adeguarsi. Finita l’era delle “smorfie sullo schermo”, ecco arrivare, in parallelo alla sua progressiva ma inesorabile caduta, la folgorante ascesa dell’attrice simbolo della nuova era cinematografica, Peppy Miller (Bérénice Bejo), lanciata proprio da Valentin, e che, innamorata di lui, seguendolo ed aiutandolo a distanza, sarà fondamentale per la sua rinascita…

L’operazione metacinematografica messa in atto da Hazanavicius si ammanta man mano, più che della spesso abusata “nostalgia canaglia”, del senso proprio di una ponderata riflessione sul dorato mondo di Hollywoodland, “fabbrica dei sogni” per noi spettatori, ammaliatrice e compensatrice, ma di feroci incubi per i suoi artisti, capace di fagocitare se stessa per sopravvivere, annientando il suo stesso passato con la leggerezza propria di uno schiacciasassi: il tutto, poi, in chiave di proiezione sull’attuale stato della cinematografia, volta a dare il senso tecnico dell’emozione, ma non quello più intimista.

Esemplare al riguardo che il film sia girato “a filo” della figura di Valentin, del suo stupore di fronte alla scoperta che ogni singolo oggetto nel mondo reale, al di fuori di quello schermo dove sembra abbia sempre vissuto, possegga un proprio suono, sino alla bellissima scena del sogno, dove tutto intorno a lui è rumore e confusione, mentre la sua voce è assente, incapace d’integrarsi a quanto lo circonda, tra dolore e sgomento.

Ma, oltre a questa riflessione, la forza di The Artist sta nella sua stilizzata ma non artefatta naturalità, con l’unico, vero, effetto speciale di riuscire a far sì che ci si immedesimi nella vicenda narrata, partecipando con il cuore in mano, come si suole dire, al percorso autodistruttivo del protagonista, seguendolo passo dopo passo sino alla suddetta rinascita (splendido il tip-tap finale, da antologia), una possibilità di riscatto all’insegna di omnia vincit amor.

Certo, poi scorrono i titoli di coda, si accendono le luci e non ci sarà più il buio della sala a cullare le nostre illusioni identificatrici, ma intanto il cinema ha svolto la primigenia funzione, concederci con la sua magia, almeno per la durata di un film, la dolce chimera di una vita migliore.

Premio per la miglior interpretazione maschile a Jean Dujardin al 64mo Festival di Cannes (2011)- Oscar 2012: Miglior Film, regia, attore protagonista (Jean Dujardin), costumi e colonna sonora.


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