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the conspirator

Creato il 05 luglio 2011 da Albertogallo

THE CONSPIRATOR (Usa 2010)

locandina the conspirator

Un paio d’anni fa avevamo lasciato il buon Robert Redford alle prese con il confuso e mediocre polpettone liberal-noioso Leoni per agnelli, che al tramonto dell’era Bush affrontava la guerra in Afghanistan sotto tre punti di vista differenti. Oggi, in piena epoca Obama, l’indagine sulla storia americana del 74enne californiano si sposta di qualche secolo indietro nel tempo. Più precisamente nel 1865, durante i giorni dell’assassinio di Abraham Lincoln e il processo che ne seguì.

Può un film durare 122 minuti, sfoderare un cast di prim’ordine, trattare un tema così delicato (almeno per gli americani) e riuscire a fare tutto questo in maniera accettabile senza tirare fuori nemmeno un’idea originale, un guizzo d’autore, una sequenza memorabile? A quanto pare sì. Il fatto è che, come molti suoi colleghi attori passati in cabina di regia (Robert De Niro in primis) e contro tutte le apparenze Redford non è un regista. Almeno se per regista intendiamo una persona che sappia utilizzare i mezzi (economici, artistici, artigianali) disponibili in ambito cinematografico in modo coerente, consapevole e originale. Intendiamoci: The conspirator non è un brutto film, è il classico legal drama che si sviluppa per il 90 per cento della sua durata in un’aula di tribunale tra dichiarazioni dei teste, giudici e avvocati corrotti vs. giudici e avvocati dall’alta moralità, obiezioni respinte e obiezioni accolte e via dicendo. Gli attori sono bravi, la fotografia smarmellata da cartolina d’epoca è quella che è, le musiche sono enfatiche e convenzionali, ma insomma, in fin dei conti, se proprio non siamo dei talebani convinti che il cinema debba essere sperimentale a tutti i costi, The conspirator si fa guardare.
Però.
Però c’è un però.
Un però grande come una casa che urla a gran voce che in questo film non esiste un’idea di cinema. Cosa che evidentemente e inevitabilmente fa sprofondare il tutto nella più inguaribile mediocrità. Tanto per fare un esempio: la figura del protagonista, l’avvocato Frederick Aiken, chiamato a difendere la probabile cospiratrice Mary Surratt. La sua gestualità, la mimica facciale, il prologo in trincea, le musiche e le inquadrature che lo accompagnano… Ogni elemento, sin dalla prima scena, fa capire allo spettatore quale sarà l’evoluzione psicologica del ragazzo, ovvero il percorso che lo condurrà dal pregiudizio/diffidenza nei confronti della sua assistita alla presa di coscienza che si tratta di un processo farsa al finale coinvolgimento affettivo nei confronti della donna. Si capisce benissimo, sin da subito, che Aiken, per non tradire i propri princìpi, si inimicherà le alte sfere dello stato e dell’esercito, che l’amore della sua fidanzata probabilmente vacillerà e che alla fine, forse, la giustizia comunque trionferà. Ogni passaggio è ovvio, evidente, già visto e risaputo. Questo è solo un esempio, ma tutto The conspirator, dalla prima all’ultima scena, sia dal punto di vista estetico che da quello narrativo, è interamente fondato sul luogo comune, sul già visto, sul “ben fatto” senza un’anima e senza un perché.
Roba che al confronto Robert Zemeckis fa la figura dell’auteur da cineclub.

Alberto Gallo



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