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The Fighter: quando il ring è nel sangue

Creato il 04 marzo 2011 da Pianosequenza

The Fighter: quando il ring è nel sangue

The Fighter
(The Fighter)
David O. Russell, 2010 (U.S.A.), 115' uscita italiana: 4 marzo 2011
voto su C.C. The Fighter: quando il ring è nel sangue
C'è ben poco che mi affascini della “nobile arte” ma è fuor di dubbio che nella sua trasposizione cinematografica, il pugilato sia in grado di sublimare con molta efficacia tutte le paure, le aspirazioni e i propositi di revanche sociale che caratterizzano la nostra sciagurata umanità. Un po' come i due eroi (interpretati da Tognazzi e Gassman) del memorabile episodio che conclude il film cult I mostri, anche i protagonisti di The Fighter fanno parte di quella sfumata penombra ai margini del pugilato che conta: una ex “leggenda” locale, Dicky Eklund (Christian Bale), il suo fratellastro Micky (Mark Wahlberg) e la loro madre-manager Alice (Melissa Leo), che si affannano per far sopravvivere una famiglia numerosissima e scalcagnata. Tratto dalla storia vera di Micky Ward (pugile che negli ottanta, anche grazie ai consigli del redento fratellastro ed allenatore riuscì a vincere la World Boxing Union), il film di David O. Russell celebra un ideale “cambio della guardia” tra leggende del paesino di Lowell, Massachusetts. L'idolo del posto, Dicky, dopo uno sporadico episodio di gloria (ha battuto Sugar Ray Leonard, non si capisce con quanto merito) è diventato un delinquente, con dipendenza dal crack e una particolare abilità nel finire nei guai; il suo successore designato, Micky, figlio della sua stessa madre e di diverso padre, resta però impantanato in ring di periferia, rischiando la pelle in ogni combattimento. Solo la comparsa della fidanzata Charlene (Amy Adams, sempre più brava) e il provvidenziale rinsavimento del “mentore” Dicky renderanno possibile il tanto auspicato passaggio di testimone.
Russell affronta la storia servendosi di due registri differenti: mentre durante gli incontri di pugilato mantiene una visione asettica, mutuata dalle dirette della tv via cavo, con fotografia sbiadita, in un meccanico inseguirsi di ganci e montanti, durante il resto del film, in quell'incredibile ring rappresentato dai sobborghi in cui i personaggi sopravvivono, il ritmo della narrazione cambia facendosi incalzante, iperrealista. In questa inattesa dicotomia risiede il principale fascino del film, che sorprende chiunque fosse arrivato in sala aspettandosi l'ennesima epopea pugilistica: Russell si rivela capace di alternare con gusto i due piani narrativi, esaltandosi nell'affrontare la paradossale condizione familiare nella quale ha luogo la vicenda. I Ward sono succubi della matriarca Alice, che cannibalizza la carriera del secondogenito maschio Micky costringendolo sotto l'influenza mortifera del fratellastro, troneggia sul placido marito George (Jack McGee) e bolla chiunque non faccia parte della famigerata famiglia come un pericoloso nemico. Le “presta” gesti e lineamenti Melissa Leo, con una performance magistrale che merita ognuno dei riconoscimenti ottenuti; a spalleggiarla contribuiscono gli altri due validissimi interpreti della pellicola, Wahlberg e Bale, che interpretano i loro ruoli con stili molti diversi ma ugualmente efficaci. Il camaleontico Christian tira fuori dal cilindro l'ennesima trasformazione, che vale anche per lui gli onori della Academy ma in una categoria probabilmente non esatta: Dicky e Micky sono personaggi simbiotici, da considerare entrambi come protagonisti principali; tutti e due sono combattenti, lottano per il denaro, per la fama, per dimostrare di essere meglio di quanto non credano i loro vicini. Lottano in modi e contro avversari diversi ma spinti dallo stesso imperativo. E possono vincere solo insieme. Inatteso.

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