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The kennedys

Creato il 05 agosto 2011 da Albertogallo

greg kinnear e katie holmes, ovvero jfk e consorte

THE KENNEDYS

La storia della famiglia Kennedy dal giorno dell’elezione di JFK alla Casa Bianca (1960) fino alla morte violenta di Bobby (1968), con qualche salto indietro agli anni della gioventù dei ragazzi e del patriarca Joe, ambasciatore negli anni del New Deal. Otto anni in otto episodi, dunque, per un affresco corale di uno dei periodi più interessanti e complessi della storia americana. Questo è The Kennedys, miniserie statunitense-canadese andata in onda ad aprile su ReelzChannel e presto anche sui nostri teleschermi (La7).

Che dire? Difficile, molto difficile e ambizioso il progetto di affrontare con un prodotto televisivo di soli 320 minuti la storia di un clan tanto importante, numeroso e influente. Progetto, infatti, non del tutto riuscito, sebbene il risultato finale sia tutt’altro che spregevole – tanto per dire: un serial di questo livello qualitativo in Italia sarebbe assolutamente impensabile, anche solo per questioni di budget.

Cominciamo dalle cose che non mi sono piaciute.

1) The Kennedys è un prodotto nato vecchio: lontano anni luce dalle serie tv che nell’ultimo decennio hanno dato nuova linfa vitale a un genere che sembrava moribondo (mi riferisco soprattutto a Mad Men, Lost e House), The Kennedys fa di un tradizionalismo pseudotelenovelistico una delle sue principali caratteristiche: grandi drammi familiari, musiche pompose (e bruttissime), scene patetiche e strappalacrime, regia anonima, struttura narrativa abbastanza lineare (sebbene non manchino i flashback alla Lost che però, in questo caso, sanno tanto di spiegoni raffazzonati) e via dicendo. Persino la sigla di apertura è di uno squallore senza pari, degna del peggior legal drama degli anni Novanta. Da queste parti, insomma, nessuno se l’è sentita di osare. Avranno pensato, forse a ragione, che non ce ne fosse bisogno: la storia della famiglia più famosa d’America è già di per sé un’attrattiva non da poco.

2) L’andamento narrativo è inspiegabilmente diseguale, e in ogni caso insufficiente. Mi spiego meglio: va bene che Bobby, poverino, eterno fratello minore anche quando il maggiore se n’era andato per sempre, non è stato un personaggio carismatico come il padre o JFK, ma che senso ha riassumere la sua carriera politica dal 1963 al 1968 in un paio di scene da cinque minuti quando per l’elezione di Jack con tanto di campagna elettorale si sono impiegati due interi episodi? Com’è possibile che la crisi missilistica cubana venga liquidata in mezz’ora scarsa nel corso di una puntata che dà quasi la stessa importanza a una delle tante scappatelle extramatrimoniali del Presidente? Perché l’unico accenno alle cause (mai del tutto spiegate) dell’assassinio di JFK consiste in un servizio di telegiornale della durata di pochi secondi? Si tratta di episodi storici di importanza fondamentale cui sono stati dedicati in passato interi lungometraggi (Thirteen days, JFK), qui viceversa affrontati con estrema superficialità. È vero che il plot sceglie di concentrarsi sui Kennedy come persone più che come figure politiche, ma le due cose si sarebbero potute fondere in maniera molto più armoniosa e approfondita – magari con un paio di episodi in più, senza dare l’impressione di assistere, come spesso invece accade, a un bignami di storia contemporanea.

3) La ricostruzione degli anni Sessanta, per quanto precisa e ben fatta, è sciatta. Pensate a Mad Men (la cui prima stagione si svolge proprio durante la campagna elettorale di Kennedy contro Richard Nixon) e alla serie infinita di dettagli (vestiti, pettinature, accessori, arredi) che ne arricchiscono la qualità estetica. Ecco, qui tutto ciò è completamente assente. È vero, ancora una volta, che The Kennedys non vuole essere un serial su un epoca, ma solo su una famiglia che in quell’epoca visse, ma con qualche sforzo estetico in più ne sarebbe uscito un prodotto decisamente più interessante.

4) Alcune scene potenzialmente molto interessanti sono state sfruttate proprio male. I due omicidi di Jack e Bobby, ad esempio: alquanto dimenticabili.

barry pepper è bobby kennedy

The Kennedys, dunque, è un prodotto poco innovativo, eccessivamente “strizzato” dal punto di vista dei tempi narrativi e esteticamente poco accattivante. Eppure gli aspetti positivi, in queste otto puntate, non mancano.

1) Il cast. Veramente perfetto, per bravura e somiglianza. Greg Kinnear nella parte di JFK è impressionante, assolutamente mimetico. Stesso discorso per Barry Pepper (Robert, che è anche il personaggio più interessante) e persino per quella cagna di Katie Holmes, che nei panni della bella statuina Jacqueline Bouvier ci sta a pennello. A spiccare è però soprattutto il sempre geniale Tom Wilkinson nella parte di papà Joe. Meno somiglianti e necessari gli alter ego di Frank Sinatra e Marilyn Monroe, ma si tratta di particine di poco conto.

2) Com’è come non è, con tutti i suoi difetti The Kennedys è una serie estremamente accattivante. Sarà che la materia prima, la storia tragica della famiglia statunitense più in vista della sua epoca, è già di per sé interessante, ma io in questi ultimi quattro giorni non riuscivo più a staccarmi dallo schermo del pc. Cosa che non mi capita tanto spesso, devo dire.

3) Non mi vengono in mente molti altri pregi relativi a questa serie. Peccato, volevo arrivare almeno a tre. Posso ancora dire, però, che più volte la storia dei Kennedy, così com’è stata narrata qui, mi ha fatto venire in mente.. be’, vediamo se ci arrivate da soli: un patriarca ricco e potente che ha costruito un impero con mezzi più o meno leciti; una famiglia americana cattolica e di origine europea; tre fratelli, il maggiore dei quali, destinato a ereditare ed ampliare l’impero, muore in giovane età, lasciando il fardello nelle mani del fratello minore, eroe di guerra; una lunga decadenza fisica del patriarca che coincide con la fine del periodo di prosperità della famiglia. Detta così, a me sembra tale e quale la storia del Padrino – e a giudicare dal montaggio alternato presente nella scena dell’omicidio di Dallas direi che la saga di F.F. Coppola dev’essere venuta in mente anche a Jon Cassar, regista di questo serial.

Alberto Gallo


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