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The Sessions – The Surrogate

Creato il 03 gennaio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

The Sessions – The Surrogate

 

Anno: 2012

Durata: 98

Distribuzione: 20th Century Fox

Genere: Drammatico

Nazionalità: USA

Regia: Ben Lewin

Uscita in Italia: 14 febbraio 2013

Uscita in Germania: 3 gennaio 2013

 

The Sessions (The Surrogate nel titolo originale) è un racconto intenso e pieno di humour scritto e diretto da Ben Lewin e basato sull’articolo “On Seeing a Sex Surrogate” del poeta e giornalista Mark O’Brien, paralizzato a causa della poliomelite e costretto a dipendere da un polmone d’acciaio, che all’età di 38 decide di perdere la verginità con l’aiuto di una terapista sessuale e il supporto spirituale del suo prete. Il film che alla passata edizione del Sundance Film Festival si è aggiudicato il Premio del Pubblico (U.S. Dramatic) e il Premio Speciale della Giuria per la Miglior Performance, è un biopic in grado di scavare nei sentimenti senza retorica e soprattutto senza ricorrere alla captatio benevolentiae pur avendo a disposizione facili soluzioni suggerite dalla condizione del protagonista.

Mark O’Brien, interpretato da John Hawkes (Un gelido inverno, Contagion, La fuga di Martha), è quasi giunto alla soglia dei 40 quando sente che per lui è giunto il momento di avere un rapporto sessuale. Dall’età di 6 anni Mark non è indipendente dal polmone artificiale se non per poche ore e, grazie alla presenza di una famiglia accudente, il bambino con poche speranze di sopravvivenza riesce a spiccare il volo verso una brillante carriera giornalistica. Sempre in giro grazie a una barella che gli consente un margine di autonomia, Mark sta svolgendo un lavoro assegnatogli sul sesso e i disabili quando inizia a riflettere su se stesso. In un corpo anestetizzato ma ancora capace di sentire, Mark sviluppa il desiderio di unirsi a una donna in un rapporto sessuale, confidandosi con la sua guida spirituale, Padre Brendan (William H. Macy, Fargo), anche sulla possibilità di essere aiutato da un sex surrogate, una esperta nelle terapie sessuali. E’ Cheryl Cohen Greene (Helen Hunt, Qualcosa è cambiato), madre e moglie, la persona che lo guiderà in questa esperienza alla scoperta del proprio corpo, dell’erotismo e dell’amore.

Oltre a mettere da parte comodi trucchetti per provocare un processo empatico facile e immediato, Lewin si mette da parte nel racconto lasciando piena autonomia ai personaggi di emergere e di svelarsi a noi lentamente nel corso degli eventi, ottenendo un’interpretazione mai sopra le righe e mostrando una capacità di affondo nell’animo umano guidata da grande sensibilità. Il tratteggio molto spontaneo dei personaggi raggiunge la perfezione grazie a un casting azzeccato tanto nei ruoli principali affidati a un miracoloso Hawkes che supera i limiti di mobilità fisica del personaggio per definirlo unicamente attraverso la modulazione della voce e l’espressività aperta del volto, a una Hunt sempre molto energica ed emozionalmente penetrante e a un Macy abilissimo nel rendere umana più che mai la figura spirituale che incarna, quanto in quelli secondari come l’assistente Vera interpretata da una serissima e tutt’altro che sexy Moon Bloodgood. Il film affronta senza vergogna e senza rassicuranti fronzoli moralisti il tema del sesso, e lo fa con brioso interesse demolendo ogni tabù – nostro e di Mark – e il rischio di una caduta nella banalità e volgarità. Siamo sul finire degli anni ’80, e Mark deve fare i conti non solo con il sesso in quanto topic per niente palesato all’epoca ma anche la sua educazione cattolica che lo porta a un continuo confronto con i principi che gli sono stati insegnati. La fede di Mark, brillantemente ‘aggiornata’ a un credo più ironico rivolto a un Dio “con dello humor” da incolpare quando serve, è fonte di dubbi di ordine morali che non possono non essere ascoltati. La dialettica tra istinto e ragione trova una vivace rappresentazione nelle confessioni con il prete della parrocchia a cui Mark ricorre frequentemente, e che ci sorprendono con la definizione di una guida spirituale molto umana che tutti vorremmo avere perché capace di una comprensione trascendente le distanze e le astrazioni in cui troppo spesso tale ruolo incappa.

Il regista polacco-australiano, costretto all’uso delle stampelle dall’età di sei anni quando contrasse la poliomelite, ha trovato la chiave di lettura più spiritosa, dignitosa e credibile per parlare di sesso e amore e raccontare il coraggio di un uomo e poeta che ha dato ascolto ai suoi più reconditi sentimenti affrontando paure e accogliendo speranze.

Francesca Vantaggiato


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