Magazine Cultura

The Velvet Underground & Nico - The Velvet Underground and Nico

Creato il 30 aprile 2013 da Stanza51 @massimo1963

The Velvet Underground & Nico - The Velvet Underground and Nico Da oggi l'America ha due facce musicali: quella della West Coast - lisergica e sognante - e quella della costa orientale, suburbana, eroinica, maledetta. Ecco dunque comporsi e completarsi la mappa geografica della musica moderna: da un lato la vecchia Inghilterra con i classici Beatles e la loro anima nera, gli Stones. Dall'altro il Nuovo Continente con la poetica visionaria dei Jefferson Airplane contrapposta alla crudezza iperrealista dei Velvet Underground. Che poi stiano emergendo altre soluzioni dannatamente importanti al di là dell'oceano (i Doors, ad esempio) ed anche al di qua (stiamo attendendo con trepidazione il primo lavoro dei Pink Floyd), è un dato di fatto che non contraddice ma esalta l'assunto della doppiezza artistica del mondo della musica moderna. Ho ritenuto necessaria un'introduzione così panoramica per mettere in rilievo tutto il peso dell'album di cui mi accingo a parlare. Passo ora alla sua analisi, premettendo che l'incisione era già pronta per essere pubblicata  diversi mesi fa e che ragioni di marketing e di produzione ne hanno ritardato l'uscita sul mercato. Soprattutto la ricerca da parte del deus ex machina Andy Warhol di una casa discografica a cui cedere i diritti è stata particolarmente lunga e tribolata: Warhol aveva fatto registrare il disco in uno squinternato studio newyorchese, lo Scepter, ne aveva acquisito i diritti ed ora voleva monetizzare il suo lavoro cedendoli ad una casa degna di questo nome ed in grado di curarne la diffusione commerciale in modo adeguato. Alla fine, dopo una serie di tira e molla e molte porte sbattute in faccia, l'accordo è stato trovato con l'etichetta Verve records. Oggi, finalmente, il disco è in commercio. Mi sembra anche opportuno ricordare che i componenti del gruppo sono già noti nell'ambiente underground per aver tenuto una moltitudine di concerti dal '65 ad oggi, grazie alle sponsorizzazioni dell'uomo della Factory e di altri artisti della scena newyorchese, fra i quali il regista Paul Morrisey. I Velvet Underground sono nati appunto nel 1965 dall'incontro tra John Cale (viola, basso e tastiere) e Lou Reed, eccentrico compositore di canzoncine e buonissimo chitarrista. Successivamente si sono aggiunti Sterling Morrison (chitarra) ed Angus MacLise (batteria). Così, di concerto in concerto, di sperimentazione in sperimentazione, si è giunti a questo primo album in studio che vede anche la preziosa collaborazione della cantante tedesca Nico. Il disco si apre con Sunday Morning, introdotto da uno xilofono in stile carillon e da un basso suonato con maestria da John Cale. La canzone è solare e felpata e l'uso di un riverbero accentuatissimo per la voce di Lou Reed arricchisce e completa l'atmosfera di serenità di questa domenica mattina gioiosa e perfetta. A cosa siamo difronte? Ad un brano d'evasione scritto ed interpretato sotto l'impulso di un formidabile prurito commerciale, oppure la chiave di lettura di questa canzone è completamente diversa, sinistra come sanno esserlo soltanto le manifestazioni infantili di gioia? La risposta esatta è la seconda. Ecco infatti I'm waiting for my man (il pusher da cui comprare la dose) proiettarci nel bel mezzo di un vicolo della New York grigia e periferica. Il basso pulsa veloce come un cuore in ansia e l'elettricità delle chitarre, il piano boogie, la voce disturbante di Reed e la batteria nervosa e geometrica, ci consegnano un quadro che non avevamo mai visto prima: quello della paura e della speranza suburbana. La paura è che il pusher non arrivi, la speranza è che arrivi. L'ideale della speranza è scarno e ridotto all'invocazione ed al piacere del prossimo buco. Questo nichilismo disperato e raccontato con minimalismo letterario e musicale accende di amara ironia perfino la precedente lullaby di Sunday Morning. Arriva Nico. Arriva Femme Fatale, la donna che strapazza i suoi amanti. Il controcanto di Lou impreziosisce l'interpretazione principale della cantante tedesca, perfettamente a suo agio nel ruolo sadico disegnatole da Reed e Cale. "Ragazzino, lei viene dalla strada / Prima di cominciare ti ha già vinto / Si prenderà gioco di te come un fantoccio / E' proprio così". L'atmosfera fredda e decadente della musica, teutonica come Nico stessa, richiama immagini cinematografiche del passato e nello stesso tempo ci consegna una figura di eroina moderna e ruvida come solo certe strade di New York sanno essere.  Venus in furs ci proietta immediatamente in un ambiente ostile e perverso, con un tempo lento e maestoso sovrastato da una chitarra elettrica effettata e monocorde. Una vera e propria allucinazione sonora che funge da tappeto elastico per la voce rimbalzante e maledetta di Lou Reed, un cantato che è la recita sofferta di un narratore completamente coinvolto nel gioco di seduzione sadomasochistica a cui sta assistendo. "Lucidi, lucidi, lucidi stivali di cuoio / Schiocco di frusta di una donna-bambina nel buio / Arriva veloce il tuo servo, non lo abbandonare / Colpisci, padrona cara, e cura il suo cuore". Se in Femme Fatale Il rito della sottomissione è raccontato in modo indiretto attraverso la descrizione del cuore freddo della protagonista, qui è osservato, narrato ed incoraggiato da una terza persona partecipe. L'effetto è quello di una macchina da presa rapita ed ipnotica che mantiene il focus sui protagonisti senza mai perderli di vista, vacillando di tanto in tanto come colpita dal fluido erotico della scena, forte e spossante: " Sono stanco, sono esausto / Potrei dormire mille anni / Mille sogni che mi potrebbero svegliare / Colori diversi fatti di lacrime". Run run run è una cavalcata elettrica che paga un ricco tributo a Dylan, pur se la poetica del testo, così cruda e diretta, non concede spazio alla speranza.  "Harry Sbarbato, che spreco / Non riusciva a trovarne neanche un assaggio / Prese allora il tram fino alla Quarantasettesima / Pensava che se fosse stato bravo, avrebbe trovato il modo d’arrivare in cielo". All tomorrow's parties si apre col medesimo incedere cadenzato di Venus in Furs. Qui la voce di Nico, sospesa tra sogno e realtà, è quella di un menestrello che racconta con piglio distaccato e medievale la storia di una Cenerentola moderna, forse uno dei tanti personaggi stralunati e senza domani che popolano la Factory di Andy Warhol: una nuova eroina senza valori immersa in un mondo popolato di distorsioni elettriche, la cui desolante quotidianità è straordinariamente espressa da una ritmica stanca e sempre uguale a se stessa.
"Non so proprio dove vado ma proverò a raggiungere il regno se ci riesco
perché mi sento un vero uomo quando infilo l’ago in vera poi dico che le cose non sono affatto le stesse quando mi sto godendo la mia pera e mi sento come il figlio di Gesù e ammetto che non so niente e ammetto che non so proprio niente".
La forma racconto-confessione in prima persona caratterizza l'epica Heroin, in cui l'arpeggio delicato dell'elettrica apre improvvisamente a crescendo ritmici senza batteria nè basso, per poi tornare all'arpeggio iniziale e ripartire nuovamente. Qualcuno sa se è questo è il modo in cui si avverte l'effetto dell'eroina? Lou Reed è disperato ed imprendibile nella sua ode alla droga e alla morte, lontano anni luce dal solfeggio letterario e poetico di Jim Morrison nella sua recentissima The End. Qui non c'è alcun gioco da giocare, nessun velo da sistemare sulla cruda impalcatura di morte disegnata da Reed. E' tutto detto e nulla è nascosto. L'immaginazione viene annientata senza pietà da un soliloquio che non concede vie di fuga all'ascoltatore e lo crocifigge ad un'esperienza realistica a 360°. There she goes again, la storia di un ragazzo tradito dalla sua ragazza fino all'umiliazione, è acqua di rose al confronto delle tematiche dei brani rpecedenti. Ed infatti il riff iniziale riprende un successo di Marvin Gaye del 1963, Hitch Hike, e lo lascia evolvere in un tirato ed essenziale rock and roll. I'll be your mirror è una lenta ballata cantata da Nico. Il brano è a lei stessa dedicato da Lou Reed, il quale riesce a scrivere anche parole straordinariamente dolci per la donna che ama. The black angel's death song è una lunga poesia quasi urlata da Reed sopra la viola distorta di John Cale. Sembra doversi improvvisamente aprire a sbocchi percussivi ed invece rimane come sospesa su se stessa, misteriosa e musicalmente ermetica come i suoi versi: "Bocca tagliata dimentica nel dolore rasoi sanguinanti / Ricordi antisettici cantano addio / Così tu voli verso la bruna neve consolante dell’est". La viola e la voce di Reed si fondono per dar vita ad una pagina di poesia nuova, metropolitana e spettrale, l'esatto contrario di tutto quel che sino ad oggi ci è stato dato sentire. Il brano ne innesca un altro, l'ultimo, European Son, che Lou Reed ha dedicato al suo mentore Delmore Shwartz. Non sono parole dolci quelle che Lou gli regala: "Hai ammazzato il tuo figlio europeo / Hai sputato su quelli sotto i vent’ anni / Ma ora le tue nuvole azzurre sono andate via / Faresti meglio a salutare / ehi, ehi, ciao, ciao, ciao". Feedback di chitarra, percussioni convulse e basso velocissimo si sommano a rumori elettronici di fondo e chiudono un album straordinario. Un album che forse non avrà un successo commerciale (e forse non vuole neanche averlo), ma un album che ci racconta di una nuova direzione della musica rock: quella artistica e letteraria, quella in cui l'underground assurge a dimensioni poetiche mai raggiunte (e neanche cercate) in precedenza.  Se il protagonismo di Warhol, spesso così ingombrante, si mette a far da sponda a fenomeni come quello dei Velvet, non possiamo che accettarlo ed incoraggiarlo. Di certo oggi sappiamo che nella sua Factory nascono artisti veri e non fenomeni da baraccone che servono soltanto a soddisfare le voglie egocentriche ed eccessive di un artista unico affetto da cannibalismo.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :