Magazine Diario personale

the world in the kitchen #0

Da Ducdauge @ducdauge

Le cose che più ti infastidiscono sono spesso quelle che un giorno ti mancheranno di più. Ma fortunatamente questo non è il mio caso. Non mi mancano le lunghe notti insonni fatte di urla, risate e rutti di buontemponi accampati fuori dalla mia finestra. Non mi mancano le lunghe passeggiate casa-supermercato-supermercato-casa, tra ripidi saliscendi e greggi di turisti che pascolavano nei punti più impensabili e improbabili della città. E il ritmo dei tamburi alle tre del pomeriggio che come un mantr-tr-tr-tra alienava i pensieri, flippandoli da una sponda all’altra della cinta muraria. E la puzza della mensa che ti portavi dietro dall’ora di pranzo all’ora di cena, uno sformato misto fritto-bollito-soffritto-infornato. E i week-end solitari, senza un mezzo di trasporto disposto a portarti via da quelle mura che trattenevano tempo, sogni e denaro. I posti occupati in biblioteca per ore e ore da quaderni i cui padroni erano dati per dispersi, e i libri introvabili e fuori posto e quelli “da consultare al bancone”, e le miriadi di facce sul corso che si inventavano di volta in volta una nuova espressione per dare voce all’indifferenza nei tuoi confronti. E l’esercito di studenti Erasmus spagnoli che hanno deciso che “imparare l’italiano” vuol dire “eliminare le –s finali nelle parole spagnole”; e gli americani con le infradito il 2 febbraio, il tornare a casa la sera dopo otto ore trascorse a studiare per un imminente esame e trovare il finimondo in cucina e in bagno e non ricordare le giuste parole in inglese per poter esprimere il proprio disappunto con un esemplare “Nun cia fazzu cchiu!”.

E le serate passate in piazza e sapere già che quella piazza un giorno ti mancherà, le birre da Rosi a due euro, e i ricordi che si intrecciavano con i progetti futuri e la nostalgia di casa. E sì: in fondo adesso è come se mi mancasse l’avere nostalgia di casa: non so se da quella finestra particolare sul mondo, quella cucina in cui tutto era normale a tal punto che la parola normale aveva perso persino il suo stesso senso, un punto privilegiato da cui guardare il mondo per guardarsi dentro, capendo che ogni tanto fare le pulizie di casa fa anche bene: lavano via il pulviscolo di pregiudizi che vela il nostro pigro sguardo.


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