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This Must Be the Place di P. Sorrentino. Recensione

Creato il 21 ottobre 2011 da Ognimaledettopost
This Must Be the Place di P. Sorrentino. RecensioneThis Must Be the Place di Paolo Sorrentino con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton Drammatico, 118 min., Italia, Francia, Irlanda, 2011
L’11 ottobre scorso Antonio D’Orrico, il Fabio Fazio del «Corriere della Sera» (sì, perché come il conduttore di Che tempo che fa anche lui è entusiasta di tutto quello che recensisce), ha pubblicato nel sito online della testata di via Solferino un articolo dal titolo roboante: Quello che non dimenticherò mai di Sorrentino. Il pezzo, dal sottotitolo ancora più altisonante (Le 19 cose imprescindibili di This Must Be the Place), propone una lista di 19 particolarità che dovrebbero farci ricordare per sempre della pellicola in questione. Il problema, però, è che D’Orrico ha compiuto due gravissimi errori: ha portato lo spettatore completamente fuori strada; non ha aiutato il regista ad aprire gli occhi. Sì, perché This Must Be the Place è un film che inizia benino ma finisce veramente male, in un crescendo di errori tanto palesi quanto ingenui. Dal regista del Divo non ce lo saremmo mai aspettato. Quindi ora, per rendergli un servizio e per tentare di riparare agli errori del giornalista, proporrò di seguito la vera lista di motivi per cui ci dimenticheremo prest(issim)o di questo film.
1) Tipologia di film. Road movie? Sicuramente no. Film di formazione? Potrebbe, ma il percorso di maturazione del protagonista non si vede.
2) Trama. Nella prima parte del film ci viene presentato Cheyenne (Sean Penn), un’ex rockstar usurata dagli stravizi del passato che vive in una villa irlandese con la sua amata moglie e passa le giornate tra la noia e l’apatia. Fino a questo punto (contrariamente a quello che potrebbe far pensare l’esilità della trama) l’interesse dello spettatore viene stuzzicato da una miriade di domande che sorgono spontanee: chi è veramente Cheyenne? Chi si nasconde dietro la sua maschera? Perché, lui che è una rockstar, ama così tanto la moglie e le è fedele? Perché non ha avuto figli? Dov’è la sua famiglia? Ecc. Tutto cambia dopo che il protagonista viene raggiunto dalla notizia dell’aggravarsi della malattia del padre e decide di spostarsi negli USA alla ricerca di un aguzzino nazista. Qui inizia infatti una sorta di seconda parte simil on the road in cui vengono celermente risolti tutti gli interrogativi che ci avevano fatto affezionare al protagonista. Così il suo alone di mistero svanisce e del suo futuro non ce ne può più fregar di meno.
3) Temi trattati. Purtroppo (e dico purtroppo perché dal primo film internazionale di Sorrentino ci aspettavamo molto di più) viene detto poco se non addirittura niente. Quel poco che viene detto (come il rapporto padre/figlio) o viene trattato male o è addirittura già stato approfondito (e meglio) in altre pellicole.
4) Dialoghi. I dialoghi sono assolutamente irreali (addirittura più del personaggio Cheyenne), con frasi slegate tra loro che sembrano aforismi da biscotto della fortuna. Per un po’ il giochino funziona, poi diventa ridondante.
5) Regia. Dal regista del Divo tutti si aspettavano il botto. E invece Sorrentino passa da scene inutili (v. il concerto di David Byrne) a sequenze alla Sofia Coppola (ma illogiche e/o venute male). Carina la fotografia, ma ormai a certi livelli è la regola. Stucchevoli le scene della donna a mollo nella piscina e della band che suona nel centro commerciale con i passanti che muovono la testa a tempo di musica.
6) Protagonista. Il personaggio che Penn ha dovuto interpretare (lo ha fatto con talento) è e rimane una macchietta. Infatti, come recita la pagina di Wikipedia, un personaggio per essere ben riuscito deve mostrare tre diverse facce: come sembra, com’è in realtà e come diverrà (lungo l’arco della storia). La macchietta, invece, ha una sola faccia: il come sembra. Cheyenne è quindi un personaggio piatto, non approfondito psicologicamente.
7) Artifici narrativi. I ralenti sono scontati e sicuramente non epici, il montaggio sconclusionato. Inclassificabile, invece, il rapporto musica/immagini, sfruttato come peggio non si potrebbe.
8) Il finale. Per ovvi motivi non lo espliciterò. Vi basti sapere che è inutile, privo di pathos e puerile.
Qualcosa di buono rimane in quella che sembrerebbe essere una valle di lacrime? Sì. Come già accennato la prima parte del film, con le sue domande, e la recitazione di Penn. Poi una scena: quella del ping pong.
Voto: 5 su 10
(Film visionato il 19 ottobre 2011)

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