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Thunder: nuova stagione, vecchi problemi

Creato il 27 dicembre 2012 da Basketcaffe @basketcaffe

La partita di Natale all’American Airlines Arena contro i Miami Heat, nel primo rematch delle ultime Finals, era una prova molto importante per capire il livello dei nuovi Oklahoma City Thunder, quelli senza James Harden. I ragazzi di coach Scott Brooks si sono presentati, oltre che vestiti da Avatar, con il miglior record della Lega (prima di essere superati dai Clippers) ma i 48 minuti della sfida contro i campioni in carica ha mostrato la stessa OKC delle finali 2012, pregi e soprattutto difetti compresi.
Premesso che LeBron James è addirittura meglio di quello dell’anno passato, senza più alcuna pressione e con una consapevolezza ormai smisurata, e che gli Heat ti costringono sempre ad adattarsi a loro se li vuoi battere, proprio per l’LBJ di cui sopra, i Thunder sono ricaduti nelle stesse trappole, Barba o non Barba, che nelle Finals era stato quasi deleterio. Chi è arrivato al suo posto, Kevin Martin, ha chiuso con 15 punti e ha di fatto contribuito con quelle che sono le sue caratteristiche, quelle di un attaccante puro, un terminale da servire in ritmo per poter sparare dall’arco o attaccare i tardivi recuperi della difesa. Normale che, rispetto ad Harden, si paghi qualcosa difensivamente ma, a mio modesto avviso, i problemi sono altri.

Quando la gara si stava decidendo, Brooks ha riproposto Ibaka e Perkins contemporaneamente, lasciando seduti Nick Collison e Thabo Sefolosha, i due stopper difensivi e gli unici con plus minus positivo alla fine (più Reggi Jackson, per quanto conti…). Il problema è che Miami ha continuato con Bosh da centro, LeBron da ’4′ e tre guardie, Wade, Allen e Chalmers. Ibaka ha fatto un onesto lavoro su James ma ciò che è saltato sono le rotazioni e infatti il canestro decisivo è arrivato su una schiacciata di Bosh, dimenticato totalmente in vernice. Forse provare con Ibaka o Collison da ’5′, con Durant in ala forte e Sefolosha-Martin-Westbrook avrebbe potuto agevolare il contenimento, per quanto possibile, degli Heat.

Ma non è stato soltanto un problema difensivo, è stato probabilmente di più un problema offensivo, e a guardare meglio mentale, di gestione sotto pressione. I Thunder volevano prendersi una rivincita, sulla carta sono più forti, più atletici, più lunghi, hanno tirato il doppio dei liberi (38 a 19) ma alla fine non ce l’hanno fatta. Nel finale di quarto quarto, in rimonta, Westbrook, che senza il Barba dovrebbe essere ancora più coinvolto, è andato fuori giri con palle perse e penetrazioni forzate a difesa schierata. Se aggiungiamo il blocco irregolare, e totalmente inutile, di Perkins, l’unico a segnare dal campo è stato Durant che, aldilà dei 33 punti, ha sempre dato l’impressione di non forzare, di lasciare che la partita gli arrivasse. Mentre l’ex Ucla, per l’ennesima volta, non ha capito che in squadra c’è uno nettamente più forte di lui cui dovrebbe consegnare la palla nei possessi chiave.

Detto questo, gli Oklahoma City Thunder sembrano ancora i migliori ad Ovest e non è da escludere che tornino in finale, e ancora contro Miami. Però, per quanto quella di Natale sia stata solo una delle 82 gare di stagione regolare, ha detto che OKC, Durant escluso, non ha ancora fatto quel salto mentale per poter vincere. Il 14 febbraio c’è la gara di ritorno in Oklahoma: chissà se i Thunder cadranno negli stessi, vecchi, errori.


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