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Tissamaharama

Creato il 03 aprile 2015 da Cristina

Randagia nel mondo

Tissamaharama fai da te – 30 luglio

Ore 5 partenza per Yala. Divido la jeep con due ragazze spagnole e tre cinesi. Non consigliato, almeno per chi è stato in Africa al Masai Mara, qualche pozza con bufali, cerbiatti, sparuti elefanti, del leopardo nemmeno l’ombra.

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Forse è anche colpa del nostro driver. Vediamo gruppi accompagnati da guide con ricetrasmittenti che ricevono e comunicano a loro volta segnalazioni di appostamenti, un pò come appunto succede in Africa, il nostro segue la filosofia del “parcheggiamo accanto a una pozza e vediamo chi arriva ad abbeverarsi”, con l’unico scopo di appisolarsi, mandare sms ai suoi amici, e risparmiare benzina. Sono sempre le due ragazze spagnole a spronarlo. Io sono rassegnata ad aver sprecato tempo e soldi, e penso che vorrei andare al Serengeti e Ngorongoro in Tanzania, che ancora mi mancano. Le tre cinesi, che non spiccicano una parola di inglese, quindi non so come riescano a cavarsela a girare il paese, non fanno altro che scattare foto a se stesse, ignorando il paesaggio attorno a loro, anche nei rari momenti in cui si riesce a scorgere qualcosa degno di essere immortalato.

Mi è stato detto da più fonti che nei safari organizzati a Minneriya-Giritale si vedono elefanti a frotte, in questo periodo dell’anno, forse vale la pena informarsi, e poi saltare Yala.

Raggiungiamo una spiaggia deserta battuta dal vento, che nel 2004 fu devastata dallo tsunami. La scala e la base di un bungalow, spazzato via, sono lasciati a ricordo, insieme ad una targa.

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Pranzo in albergo, 450 LKR. Verso le 15.30 salto su un bus verso Kataraghama (46 LKR all’andata su uno scassone e 60 LKR al ritorno su un semiluxury, che di luxury non ha nulla e nemmeno di semi). Kataraghama è una città sacra a buddisti, indù e mussulmani, meta di pellegrinaggi di importanza inferiore soltanto ad Adam’s Peak. Anche qui si celebra un perahera, molto meno turistico di quello di Kandy. La peculiarità è che i pellegrini praticano vari tipi di automutilazioni, deambulazione su carboni ardenti, ingestione di chiodi appuntiti, spade, ecc. Il festival è sfalsato rispetto a quello di Kandy, il clou è già stato celebrato una decina di giorni fa, mi spiegano alcuni ragazzi. Questa sera, quindi, assisterò “soltanto” alla puja. Soltanto si fa per dire perché, come scoprirò, le celebrazioni religiose indù sono frastornanti e trasudanti di fascino, colore, magia.

L’area dove sorgono i templi non è distante dal bus terminal, sembra un parco cittadino, i numerosi alberi mitigano un po’ la calura.

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Un lungo viale sterrato, bordato da venditrici di fiori di loto, e animato da scimmie e cani che si rincorrono, conduce al principale tempio indù, affiancato da un enorme albero sacro di banyano.

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A lato, uno stupa buddhista.

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La scena si anima verso le 19, arrivano processioni di devoti che offrono fiori e cestini di cibo, i preti li benedicono.

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Parallelamente, nello stesso spiazzo si svolge la cerimonia delle noci di cocco, che vengono incendiate e poi scagliate con forza contro una roccia, se si spezzano è indice di buona fortuna.

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Dopo un’oretta decido che ne ho abbastanza, e mi incammino verso la zona centrale, ceno in un chiosco davanti ad un ristorante che serve cibo vegetariano (290 LKR).

Quello che mi preoccupa è il rientro a Tissa con il buio, un po’ perché i bus sono meno frequenti, un po’ perché, in assenza di luce, temo di non essere in grado di riconoscere la fermata vicino al mio albergo. Comunque, mi arrangio.

 

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