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L'idea del Pdl è semplice: esercitare pressione affinché sia garantita la segretezza del voto, nella speranza che a scrutinio segreto giunga quel sostegno indispensabile per ribaltare gli attuali equilibri palesemente sfavorevoli. Ma il Cavaliere, si chiedono i retroscenisti della stampa bene, dove spera di prendere tali voti? A Palazzo Grazioli sono state individuate tre strade percorribili. La prima è il marchio di fabbrica del gran capo: lusingare e blandire col potere personale le eventuali coscienze deboli di Palazzo Madama. Uno Scilipoti o un De Gregorio si trova sempre e il senso di responsabilità tanto al chilo è una delle virtù civiche che gli italiani custodiscono gelosamente dai tempi di Depretis. Berlusconi lo sa perché è stato un discusso industriale, figuriamoci come ha acquisito la lezione da inciucista rodato. La seconda via, più articolata ma non impossibile, richiede un accordo sostanziale col Pd: una sorta di rinnovato patto Molotov-Ribbentrop tra due forze che risultano alleate da ben due legislature, con la promessa di non alterare l'attuale situazione, di mantenere immutato lo stallo del paese. La terza opzione è la più complessa e si basa essenzialmente sull'astuzia politica del 5 Stelle. Come ai tempi di Craxi, Berlusconi spera nella lungimiranza dell'unica forza anti-sistemica. All'epoca Umberto Bossi, pallottoliere alla mano, fece i conti per fornire al Psi il supporto necessario a respingere l'autorizzazione a procedere nei confronti del segretario socialista. Non una pioggia di voti ovviamente, solo lo stretto indispensabile. Il clima di protesta che ne venne fuori, e che la Lega cavalcò denunciando la partitocrazia tesa a tutelare se stessa, servì al movimento padano per compiere il salto di qualità, per intercettare il malcontento di un paese ridotto alla miseria da una classe dirigente dotata di canoni etici pleonastici. Berlusconi potrebbe ripartire da qui e sperare di farla franca almeno un'altra volta. Ma puntare sui tatticismi di un altro soggetto politico è una scommessa ardita e il Cavaliere non se la sente di affidare il suo futuro nelle mani di onorevoli giunti in Transatlantico a suon di clic. Per questo la pista di una candidatura all'Europarlamento in Estonia resta un'ipotesi tutt'altro che peregrina.G.L.
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