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Tokyo in tre giorni: il secondo

Creato il 07 agosto 2015 da Patrickc

Da Shibuya ad Harajuku. E poi il tempio Meiji e, al tramonto, la vista di Tokyo dall’alto della Mori Tower. E se trovate il tempo c’è anche Meguro.

“Passi spesso i tuoi pomeriggi a Shibuya?” chiede lui con circostanza.
“Ogni tanto, giusto per non dimenticare dove sono.”
“In che senso?”
“Nel senso che Shibuya è, per me, un po’ il simbolo di Tokyo.”
(Laura Imai Messina, Tokyo Orizzontale)

A Tokyo si cammina. Pochi ci pensano o lo immaginano prima di conoscerla, forse vincolati alle immagini della metropolitana stipata che tutti hanno visto almeno una volta. Certo, ampie zone della città sono completamente anonime, apparentemente prive di storia, cancellata da terremoti, incendi e poi dalla Seconda guerra mondiale. Ma non è sempre vero. Io, per il secondo dei tre giorni a Tokyo, propongo un itinerario molto intenso e in gran parte a piedi alla scoperta della città contemporanea, della moda e dei giovani. Tokyo in tre giorni è un po’ una maratona, ma ci si può fare un’idea.
In questo percorso la mattina si esplorano Meguro e Nakameguro. Poi si va a Omotesando, Harajuku e si arriva, camminando, a Shibuya, nel pomeriggio, quando il quartiere si affolla ancora di più. La sera, se avete ancora tempo, si può andare a Roppongi per vedere la città dall’alto, al tramonto magari.
Ma il percorso può anche essere invertito, frazionato (e vi invito a farlo): quelli che vi do sono semplici spunti.

La mattina a Meguro

Se avete tempo la mattina, volete fare un sacco di cose, non è troppo caldo e partite presto potete anche iniziare la vostra giornata in questo quartiere poco frequentato dai turisti e apparentemente grigio, ma che riserva sorprese.
Altrimenti potete saltare tranquillamente al prossimo capitolo.
Una delle sorprese del quartiere, che come gli altri meriterebbe un post a sé, è per esempio il Ryusenji (tempio della fontana del drago) o Fudo-son, che poi è il tempio che dà il nome al quartiere. Meguro (目黒) significa infatti occhi neri e sono proprio quelli della statua di Fudo, divinità buddista, conservata nel tempio. Questo tempio è bello, ma non è davvero spettacolare. A me forse piace però proprio per questo: è immerso in una pace irreale, fra gli alberi e a pochi metri di distanza dai palazzoni del quartiere. Qui i turisti non arrivano e sembra di essere lontanissimi dagli stradoni trafficati, dai gorghi di scale mobili che risalgono in superficie dalla metropolitana. Sembra di essere in montagna.

Ryusenji, Meguro (foto di Patrick Colgan)

Ryusenji, Meguro (foto di Patrick Colgan, 2014)

Ryusenji, Meguro (foto di Patrick Colgan, 2014)

Ryusenji, Meguro (foto di Patrick Colgan, 2014)

Poi potete spostarvi di qualche chilometro e fare un giro a Nakameguro, una piacevole zona residenziale popolata da gallerie d’arte e design, negozi e caffè intorno al canale di Meguro, orlato da alberi di ciliegio. Lo stile della zona — degradata fino a pochi decenni fa — e delle sue attività potrebbe esser definito un po’ radical chic, vintage (alcuni ci vedrebbero qualcosa di hipster), ma Tokyo sfugge queste definizioni occidentali. Passeggiate lungo il canale e perdetevi nelle viuzze laterali, farete belle scoperte se vi piace lo stile della zona.

I ciliegi di Nakameguro foto di Mark Esguerra, da Flickr Licenza creative commons

I ciliegi di Nakameguro, in primavera
foto di Mark Esguerra, da Flickr – Licenza creative commons

Trasporti

Purtroppo il quartiere è grande e le due stazioni Fudo-mae (sulla linea di superficie Meguro) e quella di Naka-Meguro (sulla linea Hibiya) sono collegate male. Vanno cambiati tre treni — cosa comunque non inusuale a Tokyo — e ci vogliono dai 17 ai 25 minuti. Sono sicuro ci sia un bus più comodo, ma per me i trasporti su gomma in città restano un po’ un mistero. Usate hyperdia.com per scegliere il percorso. Da Nakameguro però le prossime zone da visitare sono vicine.

Tokyo in tre giorni: il secondo

Un esempo di trasferimento

Dove mangiare a Meguro

Se seguite l’itinerario che vi ho dato, difficilmente capiterete da queste parti all’ora di pranzo, ma non si sa mai.

Cosa fare a Tokyo: mangiare ramen da Katsuya

Il meraviglioso shoyu chashu wantonde ramen di Katsuya, Meguro.
E’ il ramen perfetto?
(foto di Patrick Colgan, 2014)

  • Ramen. A Meguro, non lontano dal tempio Ryusenji c’è Katsuya, un ristorante di ramen eccezionale (dove conviene andare alle 11 per non trovare troppa fila). Ne ho scritto qui. Qui c’è la mappa.
  • Obanzai (cucina casalinga di Kyoto). Nakameguro ha tantissime proposte gastronomiche, anche se abbondano quelle internazionali. E magari, visto che siete in Giappone, volete invece provare la cucina giapponese. Un ristorante che non ho provato personalmente, ma che è nella mia lista, è Aoya che propone cucina obanzai, una cucina casalinga tipica di Kyoto. Non  è il solito sushi, insomma, e i prezzi sono accessibili. Il  sito è in giapponese, ma nel menù a sinistra trovate al terzo link dall’alto il menù e all’ultimo la fondamentale mappa per trovare il ristorante.

Da Omotesando al Meiji Jingu

Omotesando è una delle zone dall’aspetto più europeo di Tokyo. Sembra di essere in Francia o in Italia mentre si passeggia all’ombra dei suoi alberi. Almeno fino a quando non si incappa in una delle file ordinate, lunghissime e un po’ rassegnate che annunciano i ristoranti e i caffè più alla moda, alcuni davvero bizzarri: una scena tipicamente nipponica. Questo largo viale ombreggiato, in leggera salita, è stato costruito all’inizio del secolo scorso come accesso monumentale al tempio Meiji, ma col tempo è diventato una delle strade a più alta densità di boutique della città. Il tutto però senza perdere la sua magnificenza.

Io suggerisco di scendere alla stazione di Omotesando — due minuti da Shibuya lungo le linee Ginza o Hanzomon — e di camminare a piedi, in salita. E’ così che questa via era stata pensata ed è così che è bello vederla. La maggior parte delle boutique non è di grande interesse, sono i soliti nomi internazionali, ma ci sono anche cose più interessanti e giapponesi. E comunque qui si cammina anche per guardare la gente, soffermandosi di tanto in tanto davanti alle cento persone che aspettano il loro turno davanti a un negozio di pop corn o a un chocolate bar. Magari mettetevi in fila anche voi, potrebbe valerne la pena.

Meiji jingu, Tokyo (foto di Patrick Colgan, 2011)

Meiji jingu, Tokyo (foto di Patrick Colgan, 2011)

Meiji jingu, Tokyo (foto di Patrick Colgan, 2011)

Meiji jingu, Tokyo. E’ sake offerto al tempio
(foto di Patrick Colgan, 2011)

Quando si varca l’ingresso del Meiji jingu (vicino alla stazione di Harajuku) l’impressione è di aver attraversato un wormhole, come nel film Interestellar, una porta per un altro mondo. Ci si lasciano alle spalle la via dello shopping, i negozi, le mode e si entra in un grande bosco — 70 ettari — immerso nell’ombra, fatto di alberi enormi, in cui i suoni della città giungono ovattati o proprio non arrivano. E’ uno slittamento della realtà, come in un film di Miyazaki, che è completo soprattutto quando c’è meno gente, come d’inverno e la mattina. Il tempio, dedicato all’imperatore Meiji è abbastanza recente (risale al 1915). Ma la sua bellezza è soprattutto nell’ambiente in cui è immerso. La domenica mattina (ma in realtà capita anche altri giorni) è facile assistere a matrimoni tradizionali scintoisti. I cancelli chiudono poco prima del tramonto.

Pranzo da Yasaiya Mei, Omotesando

Pranzo da Yasaiya Mei, Omotesando (Foto di Patrick Colgan, 2014)

Dove mangiare su Omotesando

Se state seguendo l’itinerario potreste essere da queste parti all’ora di pranzo

  • Tonkatsu. Non è il mio ristorante preferito nel genere, ma se volete provare l’equivalente giapponese della cotoletta di maiale, Maisen honten è uno dei ristoranti più famosi della città. Prezzi non stracciati ma non elevatissimi: un normale menu completo va da 1.800 a 3.300 yen circa. Il sito ha una parziale traduzione in inglese.
  • Vegetariano (o quasi). Si chiama Yasaiya Mei ed è un noto ristorante all’interno del grandissimo centro commerciale Omotesando Hills. E’ al terzo piano, quello che per gli europei è il secondo, ed è specializzato nella preparazione delle verdure giapponesi di stagione, con uno stile in bilico fra tradizione e influenze occidentali. Propone anche carne o pesce, quindi i vegetariani devono fare attenzione. Io ho mangiato davvero benissimo. Qui ne scrive (in inglese) Food Sake Tokyo, qui il sito del locale (in giapponese). Consigliato prenotare.
  • Pancake. I giovani giapponesi hanno sviluppato una strana ossessione per i pancake. Eggs ‘n things, nasce nelle Hawaii, a Ohau, e aveva talmente successo fra i turisti giapponesi che ha aperto un ristorante anche a Tokyo (e nella zona ce ne sono addirittura altri specializzati in pancake). E’ sulla destra salendo, poco prima della fine di Omotesando. Serve praticamente pancake e colazioni tutto il giorno, mentre per cena anche hamburger e bistecche. Anche se è un ristorante hawaiano il tutto è estremamente giapponese. Un po’ caro (i pancakes vanno da 550 a 950 yen circa), ma singolare. Il sito ufficiale e qui ne parla Time out Tokyo.

A piedi da Harajuku a Shibuya

“Shibuya, il quartiere più folle della città”
(Laura Imai Messina, Tokyo Orizzontale)

Quando penso a questa zona in testa mi risuona l’inconfondibile annuncio della stazione: quando il treno della linea Yamanote si ferma una voce femminile dice con voce squillante Harajuku-Harajukù, con l’accento alla fine, come se fosse un nome francese. Siamo ancora qui, davanti al tempio Meiji e poco distante da una stazione che sembra una casa delle bambole. E siamo a due passi dalla Tokyo delle mode giovani, strane, del cosplay (il creare costumi ispirati a personaggi di fantasia di anime, manga, videogame), delle sottoculture, che ha un nome: Harajuku. Se è domenica a Yoyogi park  — seguite il perimetro a sinistra dell’entrata al tempio Meiji fino all’entrata del parco — potreste trovare i gruppi di rockabilly che ballano e che si fanno fotografare senza grossi problemi. E’ sempre più difficile invece incontrare nei weekend i cosplayer che per anni si sono ritrovati da queste parti. Ci sono ancora, ma sono sempre meno e alcune volte mi è capitato di non vederne affatto. Finire su una guida può significare la fine di qualcosa, a volte.
Il cuore pulsante di Harajuku è però lungo l’affollata Takeshita dori sulla quale si affacciano negozi e negozietti che propongono vestiti e accessori — in gran parte femminili —, spesso decisamente alternativi. Ricordo ancora la prima volta che ci misi piede. Rimasi per un’ora a guardare il flusso di giovani, i look strani, a volte ai miei occhi inquietanti, il brulichio incessante nei negozi.
Se volete farvi un’idea, su Tokyo fashion trovate molte foto scattate ad Harajuku.

Gli Harajuku Levels ballano a Yoyogi koen (foto di Patrick Colgan, 2013)

Gli Harajuku Levels ballano a Yoyogi koen (foto di Patrick Colgan, 2013)

Takeshita dori, Harajuku (foto di Patrick Colgan, 2011)

Takeshita dori, Harajuku (foto di Patrick Colgan, 2011)

Per arrivare a Shibuya da qui a piedi ci vogliono appena una ventina di minuti (qui la mappa) lungo Meiji dori. La strada non è particolarmente interessante, ma io trovo che sia semplicemente bello camminare a Tokyo e respirarne l’atmosfera di superficie, lentamente. E’ una passeggiata poco interessante, dicevo, almeno fino a quando non si arriva qui.

Le strisce pedonali più affollate del mondo, davanti alla stazione di Shibuya, sono una scena stramba, surreale ipnotica. E anche un po’ paurosa per alcuni. Ci si sente in mezzo a un mare in tempesta (ordinatissimo e silenzioso) perché non si attraversa da una parte all’altra, ma anche in diagonale. Si ha l’impressione, a volte, che il proprio sé si possa polverizzare, che possa perdersi in tutta questa folla e andarsene via. La sensazione passa: alla fine, ci si rende conto, è soltanto un attraversamento pedonale. Fino a quando non scatta di nuovo il verde, almeno.

Shibuya (foto di Patrick Colgan, 2011)

Shibuya (foto di Patrick Colgan, 2011)

Ma Shibuya è naturalmente anche altro. Anche se le abbronzatissime gyaru si vedono più raramente rispetto a qualche anno fa (i trend cambiano), questo resta il quartiere della moda giovane, dell’abbigliamento, dei look strani, dei divertimenti e dei locali. Io semplicemente camminerei senza meta. Ma Shibuya ha anche i suoi luoghi simbolo, oltre alle strisce pedonali.
A Dogenzaka — o love hotel hill — c’è una grande concentrazione di alberghi a ore giapponesi (che spesso hanno poco a che fare con quelli sordidi italiani) e farci due passi può essere interessante. Un’esperienza surreale è invece entrare, specie nel pomeriggio, a Shibuya 109 (si legge ichi maru kyu), grande centro commerciale con oltre cento negozi di abbigliamento — alcuni molto piccoli — e frequentatissimo dalle ragazze più o meno giovani. Fate un giro in questo gorgo frastornante e assordante, dove gli acuti richiami delle commesse e il chiacchiericcio delle clienti si mescolano con la musica ad alto volume.
Shibuya però è soprattutto un quartiere di locali, di bar, dove si esce la sera. Un quartiere un po’ pazzo, dove ci si diverte. O, se non siete fra quelli che si stanno divertendo, ci si può anche sentire molto soli.

Dove mangiare a Shibuya

  • C’è una grande quantità di ristoranti e di izakaya, molti a basso prezzo fra le vie di Shibuya. Qui ho mangiato spesso, quasi mai male, e non mi sento di consigliare un locale particolare.
  • Curry. Se volete provare il curry giapponese (e ve lo consiglio), c’è un ristorante famoso che non ho provato, ma è sulla mia lista, Murgi Curry (si legge Murghi) aperto dal 1951, nascosto fra i love hotel di Dogenzaka. Qui ne scrive sempre Yukari Sakamoto.
  • Ramen. All’uscita sud della stazione, quella orientata verso i love hotel, c’è un ristorante della diffusa catena Hakata Tenjin, che propone scodelle di tagliolini nello stile del sud molto saporiti e super economici (da 500 yen). Lo riconoscete dall’insegna col maiale e dai tendoni di plastica.
  • A tema. Shibuya è uno dei quartieri legati al divertimento e ospita alcuni dei ristoranti più strani della città. Ce ne sono due per esempio a tema… prigione: Alcatraz-ER e Lock-up (naturalmente la stranezza si paga).

Sera a Roppongi hills e Azabu

Se avete ancora tempo ed energia la serata si può concludere con una visione dall’alto della città, al tramonto o di notte, la scelta sta a voi. Le possibilità di vedere Tokyo dall’alto sono tante: c’è il famoso Skytree che a oltre 600 metri di altezza è forse il punto panoramico più famoso della capitale giapponese. E poi ci sono il government building di Shinjuku (che ha il pregio di essere gratuito) e la Tokyo tower, solo per citarne alcuni. Il mio punto panoramico preferito è però un altro. Da Shibuya bisogna cambiare due treni per arrivare in dieci minuti a Roppongi e salire sulla vetta della Mori tower. La preferisco perché a differenza delle altre torri la terrazza è aperta, senza il diaframma di un vetro: il vento ti sferza, senti la presenza del vuoto e il vago rumore della città sconfinata che sale, come un profondo respiro, fino ai 238 metri del grattacielo. E’ un luogo emozionante.

Il biglietto costa 1.800 yen e include l’accesso alle mostre temporanee del museo Mori. La torre svetta al centro di Roppongi hills ed è aperta tutti i giorni dalle 10 alle 22 tranne il martedì, quando chiude alle 17.

Tokyo vista dalla Mori tower, al tramonto

Tokyo vista dalla Mori tower, al tramonto (foto di Patrick Colgan, 2014)

Tokyo tower vista dalla Mori tower

La Tokyo tower sembra piccola piccola da qui (foto di Patrick Colgan, 2014)

A questo punto vi meritate un drink e non posso consigliarvi nulla di meglio che di andare a bere qualcosa da Gen Yamamoto, nel vicino quartiere di Azabu, particolarmente alla moda. Non sarà economico, ma i suoi cocktail, realizzati con alcolici stranieri e ricercati prodotti giapponesi che cambiano continuamente a seconda della stagionalità, sono indimenticabili. Il bar ha solo otto posti ed è a dieci minuti a piedi dalla Mori Tower a piedi (qui la mappa).

Ne avevo già scritto: Un caffè e un cocktail ad Azabu.

Gen Yamamoto, cocktail

Pomodoro di Ishiyama, Shiso (pianta aromatica della famiglia della menta), vodka di segale (foto di Patrick Colgan, 2014)

E la sera?

Il mio consiglio è di tornare a Shibuya o Shinjuku per una cena, magari in izakaya e seguita da un karaoke. Anche se siete stonati il karaoke in una saletta privata in coppia, con qualche amico o anche da soli è un’esperienza divertentissima. Personalmente non resterei invece a Roppongi anche se può essere interessante vedere questo lato di Tokyo. Questo quartiere, in teoria famoso per la vita notturna (cosa più vera qualche anno fa) diventa in realtà un posto caro, sgradevole, pieno di stranieri e di procacciatori di clienti un po’ molesti e nemmeno così sicuro rispetto al resto della città. Per fare un esempio uno dei locali per stranieri più famosi, il Gas Panic, tempo fa è stato oggetto di un blitz della polizia.

Questo post ha un grosso debito con Shinji Nohara, the Tokyo fixer che mi ha fatto conoscere alcuni dei posti e dei locali citati.


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