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Tokyo: un caffè e un cocktail ad Azabu

Creato il 28 giugno 2014 da Patrickc

Due bevute indimenticabili. Alla scoperta di due locali di un quartiere che sulle guide spesso nemmeno c’è, ma anche di due giramondo che dopo anni in viaggio hanno scoperto che potevano realizzare il loro sogno vicino a casa.

Se c’è un motivo per tornare sempre a Tokyo, oltre agli amici, è che è così grande e complessa che è impossibile da esaurire. E il viaggiatore deve arrendersi: non può che scalfire appena la superficie di questa città-mondo da 13,5 milioni di abitanti (ma se consideriamo l’intera megalopoli che forma con le città vicine il numero  quasi triplica).  Per questo ho chiesto aiuto a Shinji Nohara, guida gastronomica, e fixer professionista che accompagna per mano nei segreti gastronomici della capitale giapponese chef, giornalisti e scrittori. Mi ha già accompagnato a Meguro – un quartiere che spesso è completamente fuori dalle mappe dei viaggiatore – a caccia del ramen perfetto. E ora mi porta ad Azabu, vicino a Roppongi: è un quartiere moderno, alla moda e in continuo cambiamento, ma che nelle guide, spesso, non è nemmeno menzionato. Questa è la storia di due incontri memorabili, di splendide bevute, ma è anche una  storia di viaggi e ritorni a casa.

Caffè champagne ad Azabu

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Una tazzina indimenticabile

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Mi cafeto a Moto Azabu

Una cantina a temperatura controllata, bottiglie champagnotte in fila sugli scaffali, e un elegante menu suddiviso per cru. Ma qui non si parla di vino. La prima tappa del pomeriggio con Shinji è per un caffè da Mi Cafeto, l’originale locale di Jose Yoshiaki Kawashima. E’ un giapponese particolare, che sfugge agli stereotipi. E’ un agronomo che ha studiato e viaggiato per decenni senza sosta in America centrale per la UCC, maggiore importatore di caffè in Giappone. Viaggi che modificavano il suo carattere, appagavano la sua curiosità insaziabile e gli hanno fatto maturare un’idea diventata pian piano un sogno, poi un’ossessione che lo consumava: il caffè poteva fare un salto di qualità se solo fosse stato trattato con la stessa cura e rispetto che si riserva al vino. “La qualità del caffè non era abbastanza buona – ci racconta -. Ma quando proposi alla mia azienda di cambiare le cose mi risposero di no. Così mi sono licenziato e ho fatto da solo”. Kawashima – il cui libro autobiografico si chiama appropriatamente coffee hunter – ha applicato al caffè il concetto di cru tipico del vino: selezionare e classificare le vigne che per una combinazione di territorio, esposizione, microclima danno i risultati migliori. E così ha fatto anche per le piantagioni di caffè.

Coffe hunters cafè Grand Cru

Non è champagne, ma caffè. Sullo sfondo la cantina a temperatura controllata (foto di Patrick Colgan, 2014)

Nel suo menù il caffè è suddiviso per singole fattorie e per qualità, con i grand cru in cima, come succede con lo champagne. Parliamo di ‘drip coffee’, caffè lungo: “Ma mi piacerebbe – dice Kawashima – aprire un locale in Italia per fare l’espresso”. L’inizio non è stato facile e ha rischiato di chiudere, ma a un certo punto la sua idea è stata capita: “I primi a comprendere quello che stavo cercando di fare sono stati gli appassionati di sigari e vino – dice -, chi è abituato a cercare e capire e apprezzare le sfumature di quello che beve ha compreso quello che cercavo di fare. Il mio obiettivo è creare una nuova cultura del caffè”. Il menù non è economico: una tazzina di grand cru costa l’equivalente di 15 euro (ma viene servito con una piccola caffettiera che basta sicuramente per due persone). Però ne vale la pena, a partire dallo spettacolo dell’elaborata preparazione per arrivare al caffè. Io ho scelto un cru giamaicano, dall’aroma particolarissimo e ricco, che assaggio mentre parliamo.

Per Kawashima è importante poi anche l’aspetto etico: “Come produttori dobbiamo preoccuparci di chi coltiva questo caffé. E anche di chi produce il caffé in zone meno pregiate – continua – deve lavorare, naturalmente, e proprio per questo abbiamo diverse gamme, di qualità e prezzo: c’è spazio per tutti nel mio progetto”.

Coffe hunters, Kawashima

La gamma più bassa è in bottigliette di plastica

Una delle idee di maggior effetto è  il caffè imbottigliato come champagne e allineato sugli scaffali. E Kawashima spiega che non è solo una trovata  estetica: “Il caffè appena tostato – spiega – emette anidride carbonica, con la quale se ne va anche l’aroma. E’ per questo che i sacchi di caffè tostato normalmente hanno una valvolina, è per impedire che si rompano. Cercavo quindi un contenitore capace di resistere alla pressione per la gamma di qualità più alta e l’ho trovato nelle bottiglie da champagne (che resistono a ben 6 atmosfere)”. Per mantenere le qualità del caffè ed eliminare l’ossigeno, le bottiglie da champagne vengono riempite di azoto: con il risultato che quando vengono stappate fanno un piccolo ‘botto’. Proprio come il vino spumante.

E come per il vino Mi Cafeto ha anche una cantina a temperatura controllata. I clienti migliori e più affezionati (fra i quali star e celebrità) comprano il caffè e se lo fanno conservare nel migliore dei modi, per evitare che si deteriori.

Naturalmente la caccia di Kawashima non si è fermata. E continua a viaggiare a caccia di nuovo caffè.

Mi Cafeto Tokyo, Minato-ku, Moto-Azabu 3-1-35 c-MA3 1F  tel. 03-5771-4170 fax.  03-5771-4174 

I cocktail di Gen Yamamoto

Gen Yamamoto al lavoro

Gen Yamamoto al lavoro

Shinji, la mia guida, mi porta in un altro locale che non avrei mai trovato da solo. Sulla porta di un edificio scuro c’è scritto solo Gen Yamamoto – bar. E basta. Dentro il bar è piccolissimo, ma elegante: un grande tavolo di legno con soli otto posti a sedere nella penombra. L’illuminazione è soffusa, debole, punteggiata da faretti che, scoprirò poi, servono a illuminare i drink, proprio come fossero le star di un varietà. Perché qui tutto ruota attorno a quello che si beve, non ci sono altre distrazioni. E’un posto intimo e raccolto, come un ristorante di sushi di alto livello. Il barman, Gen (si legge Ghen), è vestito di bianco, impeccabile, e ci porge il menù dei cocktail. Il suo inglese è perfetto e parla volentieri, ma da bravo barman non sovrasta il cliente: frasi brevi per lasciare lo spazio per interrompere la conversazione in qualsiasi momento. Non ruba la scena alle sue creazioni. Racconta che ha vissuto cinque anni in New Jersey e tre a New York, dove ha affinato la sua professionalità di mixologist lavorando in vari bar, anche di fama. Ma non era soddisfatto degli ingredienti che aveva a disposizione sul territorio. E’ così che ha deciso di tornare in Giappone e aprire il suo locale nel 2013: voleva reinventare nel suo Paese quanto aveva imparato.

Il menù varia continuamente e il motto è eloquente ‘cocktail as cuisine’: e infatti i drink utilizzano ingredienti pregiati e di stagione per raccontare i sapori del suo Paese. E’ una storia di incroci: frutta, verdura, spezie, erbe sono giapponesi, mentre gli alcolici spesso stranieri. E anche per questo motivo, perché si tratta di un menù irripetibile, che conviene provare la degustazione, con assaggi di quattro cocktail in sequenza (4.300 yen, circa 30 euro al cambio attuale). Sono a contenuto alcolico ridotto e i bicchieri non sono grandi: non si tratta quindi di una maratona etilica, ma di un momento dedicato interamente a quello che si sta bevendo, a provare nuovi aromi e sapori. Un’esperienza.

Ecco cosa ho bevuto.

(foto di Patrick Colgan, 2014)

Pomodoro di Ishiyama, Shiso (pianta aromatica della famiglia della menta), vodka di segale
(foto di Patrick Colgan, 2014)

Gen Yamamoto cocktail

Seihou Orange: arance seihou, té verde, vodka francese (foto di Patrick Colgan, gennaio 2014)

Gen Yamamoto, cocktail

Spicy ginger: zenzero dorato, spezie ed erbe, lime dell’isola di Iwagi e gin spagnolo (foto di Patrick Colgan, 2014)

Un bell’articolo (in inglese) su Gen Yamamoto di Yukari Sakamoto, autrice di Food Sake Tokyo

Gen Yamamoto Anniversary Building 1F 1-6-4 Azabu-Juban, Minato-ku, Tokyo 106-0045 (tutti i giorni dalle 15 alle 24, la domenica fino alle 23) fermata metro Azabu-juban


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