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Toledo, dal risveglio indigeno all’abitudine agli scandali

Creato il 24 maggio 2013 da Eldorado

Doveva essere l’esempio della rivendicazione indigena, al culmine di una storia personale che aveva commosso il mondo. Da lustrascarpe nelle polverose ed ammorbanti strade di Chimbote, a laureato di Harvard e quindi a presidente del Perú, la storia di Alejandro Toledo aveva sedotto i mezzi di comunicazione e l’immaginario popolare. Correva l’anno 2001 e Toledo si apprestava a vincere, con sei punti percentuale di vantaggio, le presidenziali davanti a un avversario potente e famoso, il carismatico leader dell’Apra, Álan García.

Toledo era l’uomo nuovo. Aveva attinto a pieni mani dalla cultura inca –ancora prima di Evo Morales-, discendente di quechua e disposto a qualsiasi costo di riappropriarsi delle proprie origini. Per caratterizzare la sua campagna elettorale aveva riproposto in una specifica lettura personale i rituali indigeni, creando una sceneggiatura del tutto suggestiva che trasformava i comizi in spettacoli. Addobbato come Pachacútec, l’Inca capace di unire un’unica nazione su tutto il fronte andino, Toledo arringava folle che, invece di aspettarsi un programma politico, si radunavano per assistere a un rito, che voleva rappresentare la rivincita di secoli di sottomissione. Toledo ci navigò a proprio agio in quelle acque, ma poi la presidenza si rivelò tutta un’altra cosa.

Il peso di 30 anni di dittature –con brevi e inconcludenti parentesi di democrazia- gli caddero addosso con tutta la loro gravità. Toledo aveva azzardatamente promesso la luna: riduzione della povertà, misure anti corruzione, migliaia di posti di lavoro, una riforma delle forze armate, il rilancio economico. Di tutto e di più, insomma. Un compito difficile, quasi improbabile. Anche se oggi si tende ad indicare quegli anni come di transizione, del Perù di Toledo è rimasto il sapore di un frutto acerbo. Soprattutto per quei milioni di indigeni che avevano creduto che il ¨Cholo¨, uno di loro, avrebbe potuto veramente cambiare il corso della Storia. Un cambiamento improponibile, perché Toledo aveva sempre voluto affrontare la questione nell’unico linguaggio che conosceva, quello appreso ad Harvard. Il neo-liberalismo, di cui era ed è sostenitore, è dottrina che ha poco da spartire con l’emancipazione indigena. 

Oggi Toledo è stato chiamato a rispondere di uno scandalo. L’ex presidente non è nuovo a questo tipo di cronache, ma è proprio questa preoccupante continuità a rendere il personaggio sempre meno credibile, nonostante i meriti che negli Stati Uniti continuano ad attribuirgli (attualmente insegna a Stanford). Una società di comodo in Costa Rica, l’acquisto di immobili in Perù, la provenienza dubbiosa dei fondi, fanno di Toledo un bersaglio facile per chi indaga. Sul piatto questa volta non c’è una figlia illegittima o un festino con prostitute in un hotel, ma la provenienza di cinque milioni di dollari che il Pubblico ministero ha intenzione di investigare fino in fondo. Lui nega e dice che i soldi sono leciti, ma senza spiegare nulla. Il suo partito Perú Posible, affonda, ma finché esiste il porto sicuro degli Stati Uniti, Toledo ha il futuro assicurato.


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