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Tra l’Italia e l’America: Intervista a Dario Piana

Creato il 14 gennaio 2014 da Fascinationcinema

Dario Piana è un enigma: è italiano, gira film del terrore in America non proprio con due lire, ma chissà perché viene ignorato dalla nostra stampa specialistica e non. D’altronde non è proprio all’ordine del giorno girare un teen horror americano, oltretutto ideato da una celebrità come l’effettista Steve Johnson, come Le morti di Ian Stone o avere l’onore di essere dietro la macchina da presa per il terzo capitolo della saga cult Lost boys. In un mondo perfetto se Federico Zampaglione viene salutato come “la rinascita del cinema horror italiano” i lavori di Piana avrebbero meritato pagine e pagine di lodi. Eppure il cammino di Piana inizia con l’irrisolto, anche se non del tutto disprezzabile, Sotto il vestito niente 2, e prosegue tra videoclip e pubblicità di marchi famosissimi, tra progetti abortiti nell’arco di quasi vent’anni di silenzio cinematografico fino a quello splendido Ian Stone che lo riporta nei binari del cinema della paura. Per noi di Fascination Cinema Dario Piana si svela. (A.L)

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Leggo dal tuo sito web che hai girato più 450 commercials, molti di quelli che ho visto con una grande dose di spettacolarità, ma quindi il cinema è per te la prima o la seconda passione?

Il cinema è sempre stato la mia grande passione, ma perseguirlo al 100% non è facile. La pubblicità è sicuramente il campo che mi ha dato più fama e successo.

 

Cos’è per te il cinema horror? Credo che sia uno dei tuoi amori o sbaglio?

Questo ti suonerà strano, ma io non sono un grande fan dei film horror, diciamo è stato un modo per poter girare in America dei film di un certo respiro. Come ti dicevo prima non è facile questo mestiere e io non mi sono mai appassionato a quello che il cinema di casa nostra degli ultimi anni aveva da offrire. Quando ho avuto l’occasione di poter girare Ian Stone e Lost boys 3 non mi sono tirato indietro anche se il cinema americano è un goal difficilissimo per qualunque regista europeo. Mi ha certamente aiutato il fatto che io sono stato un illustratore, ma se devo confessarlo il mio ideale sarebbe fare un film alla fratelli Cohen o alla Terry Gilliam solo che trovare una sceneggiatura di quel livello non è facile.

 

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Parlaci un po’ del tuo primo lavoro Sotto il vestito niente 2.

Sotto il vestito niente 2 è un film che se potessi cancellare lo farei subito. Avevo altre ambizioni ed ero giovanissimo allora, era il lontano 1988, e mi venne proposto un film tratto da un libro bellissimo, ma purtroppo io non avevo ancora la credibilità per affrontare una produzione così. Mi convinsero che se avessi fatto Sotto il vestito niente 2 e se avesse avuto lo stesso successo commerciale del numero uno avrei poi avuto la credibilità e la fiducia per girare prodotti più personali. Pensai che, nonostante la sceneggiatura risibile, avrei potuto fare un film visualmente molto più ricco e avanzato della media di allora. Sotto il vestito niente 2 ebbe successo, ma la critica mi attaccò con una ferocia inaudita e non riuscii a girare il film che volevo fare in seguito. Ero molto giovane e inesperto “politicamente” quindi pagai pesantemente quella esperienza in senso emotivo. La qualità dell’immagini e il valore produttivo del film, che comunque aveva, fu totalmente ignorata dai più. Questa è la ragione per cui mi allontanai dal cinema per quasi vent’anni. Capitolo chiuso!

 

Hai qualche aneddoto sul set da raccontarci? Qualcosa di curioso?

Credo sia stato il set più sfortunato della mia vita…Ad un certo punto pensavamo ad una macumba… probabilmente qualcuno lassù che mi aveva a cuore stava tentando di avvisarmi di non girarlo! Nonostante fosse la mia opera prima però rispettammo i tempi e i costi perfettamente.

 

Nel cast vedo c’è anche una giovane Randi Ingerman, una nascente Gioia Maria Scola e un attore/caratterista molto attivo alla fine degli anni 80, Giovanni Tamberi. Cosa ricordi di loro?

Randi la scoprii io in un cast americano e fu un rapporto estremamente difficile. Aveva comunque talento per la recitazione, avrebbe potuto fare di più nel cinema. Gioia fu imposta dal produttore, era una bellissima donna, ma poco attinente con il mood modaiolo del film. Giovanni era una persona meravigliosa, entusiasta e molto professionale.

 

In questi vent’anni sono nati progetti che poi non hai girato?

In realtà fui approcciato per altri progetti, uno dei quali estremamente bello e calzante con le mie ambizioni, ma dopo un primo approccio entusiasta, tutto si fermò misteriosamente. Mai saputo esattamente il perché. In un caso siamo perfino arrivati alla preparazione e poi …. più nulla. Era tratto da un libro che si chiamava Traveller ed era un bellissimo thriller tipo Il silenzio degli innocenti.

 

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Torni al cinema con una produzione americana, girato in 35 mm, quasi un’utopia per ogni regista italiano, Le morti di Ian Stone. Come sei stato coinvolto nel progetto?

Ho sempre ambito fare film internazionali, ma ritenevo fosse una meta difficile per un italiano. Essendo però un regista di punta nella pubblicità internazionale fui chiamato da un agente americano per essere rappresentato nel cinema. Così, incredulo, iniziai a frequentare Hollywood, che è un mondo totalmente differente e cominciai a lavorare su svariati progetti. Su uno di questi conobbi Stan Winston che poi mi volle per dirigere Ian Stone. Non era il progetto della vita, ma mi sembrava molto interessante e originale. Soprattutto avevo modo di dimostrare la mia professionalità e il mio valore aggiunto.

 

Com’era Stan Winston?

Era una persona meravigliosa. Da illustratore per me era un mito, l’autore di tutte le creature più iconiche della storia del cinema e conoscerlo per me è stata una grande emozione. Era modesto come tutti i grandi e dotato di una sconfinata umanità.Una grandissima perdita.

 

Che differenza c’è tra il modo di girare in l’Italia e in l’America?

In Italia è tutto molto più naif e il regista ha più controllo del suo lavoro, ma il riconoscimento dei ruoli e il sistema produttivo sono molto confusi. In USA è tutto molto più professionale ma ci sono molti step di controllo. E’ una grossa industria e si comporta come tale.

 

Sei soddisfatto di Ian Stone? E’ comunque un film molto particolare, fantasioso, con un’idea del tempo complessa e non banale.

Sono molto soddisfatto dei primi due atti di Ian Stone: è originale e la tensione perfetta, un pochino meno della parte finale , un pò troppo sdolcinato, ma questo è stato determinato in parte dal contrasto che ci fu tra lo sceneggiatore e la produzione che non erano d’accordo. Il finale è stato frutto di compromessi vari economici e creativi. Io lo avrei visto più dark e sospeso com’era nella versione originale. Ma così ha funzionato conquistando una parte del pubblico femminile che normalmente non è fruitore del genere.

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Il tuo terzo film è Lost Boys: The thirst. Su tre film realizzati, due sono sequel. Com’è rapportarsi con una serie che ha già dei film alle spalle?

Non vorrei sembrare cinico , solo pochi eletti possono scegliersi i film. Inizialmente non ero molto interessato, ma dato che la produzione era la Warner Bros sarebbe stata un’opportunità persa. Mi sono avvicinato al progetto con serenità e professionalità, non era il film che mi rappresentava, per cui abbiamo lavorato su quello che i fans si aspettavano dopo la delusione del secondo. Comunque c’era una certa dose di ironia che è parte integrante del mio essere  e che mancava nei miei precedenti lavori. La Warner oltretutto voleva che io dessi un apporto creativo e visivo che lo rendesse un film più ricco nonostante il budget limitato. Mi sono molto divertito a farlo, la troupe era incredibile e i produttori meravigliosi. Il film è piaciuto immensamente ai fans che in USA sono moltissimi, più di quanto ci aspettassimo.  Alla premiere sembrava di assistere ad un vero happening tipo Rocky horror picture show con gente che applaudiva e si divertiva ad ogni grugnito di Feldman.

 

Che ci puoi dire di Corey Feldman? Ti sei trovato bene con lui?

E’ stato l’unico neo di una produzione fantastica. E’ arrivato sul set in un momento personale difficile e questo ha compromesso il rapporto con noi  ma durante lo shooting è gradualmente migliorato. Unico rimpianto è che non sono riuscito ad impedirgli di usare la sua voce in quel modo.

 

Domanda di prassi: i tuoi prossimi lavori?

Stranamente al momento un bellissimo progetto italiano. Un film molto inusuale per il nostro panorama. Si svolge in Afghanistan. Una bellissima storia drammatica ed emozionante. Un ‘incrocio tra The hurt locker e Forrest Gump. Potrebbe finalmente essere il mio film, una vera svolta… ma la strada è ancora lunga e difficile.

 

Intervista a cura di Andrea Lanza 

 


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