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Tra Luino e Mesenzana mercoledì 10 febbraio la celebrazione del “Giorno del Ricordo”

Creato il 06 febbraio 2016 da Stivalepensante @StivalePensante

L’istituzione del “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe dell’esodo giuliano-dalmata risale al 2004. Il Comune di Luino onora il ricordo aderendo alla celebrazione organizzata dall’Associazione Nazionale Alpini di Luino per mercoledì 10 febbraio alle ore 19.30 in via Martiri delle Foibe a Mesenzana.

(eastjournal.net)

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Tra Luino e Mesenzana mercoledì 10 febbraio la celebrazione del “Giorno del Ricordo”. Il Sindaco di Luino Andrea Pellicini, con la giunta comunale, invita la cittadinanza a partecipare a questa iniziativa, ritrovandosi alle ore 18.30 per un momento di raccoglimento davanti al cippo posto di fronte al Palazzo Municipale di Luino in ricordo dei Martiri delle Foibe, per poi proseguire insieme a Mesenzana. Il Giorno del Ricordo è stato istituito dalla legge numero 92 del 30 marzo 2004 in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati in seguito ai tragici fatti avvenuti sul fronte orientale nell’ultimo conflitto mondiale.

LA STORIA DEL MASSACRO DELLE FOIBE. 

Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 sono gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani. La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”.

Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Lo racconta Graziano Udovisi, l’unica vittima del terrore titino che riuscì ad uscire da una foiba. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia.

Nel febbraio del 1947 l’Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l’Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano così in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora: non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS, in cui si è realizzato il sogno del socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito è, del resto, la ragione per cui il PCI non affronta il dramma, appena concluso, degli infoibati.

Ma non è solo il PCI a lasciar cadere l’argomento nel disinteresse. Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci, la stessa classe dirigente democristiana considera i profughi dalmati “cittadini di serie B”, e non approfondisce la tragedia delle foibe. I neofascisti, d’altra parte, non si mostrano particolarmente propensi a raccontare cosa avveniva alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre sono state sotto l’occupazione nazista, in pratica sono state annesse al Reich tedesco.

Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica avvolge la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane, così il 10 febbraio del 2005 il Parlamento italiano ha dedicato il “Giorno del ricordo” ai morti nelle foibe. La data ricorda il trattato di Parigi, siglato nel 1947, dove si assegnava alla Jugoslavia il territorio occupato nel corso della guerra dall’armata di Tito.


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