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Traffic – Shoot Out At The Fantasy Factory (1973)

Creato il 17 febbraio 2014 da The Book Of Saturday

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Avevo recensito diverso tempo fa Shoot Out At The Fantasy Factory, settimo album dei Traffic, parlandone in maniera alquanto negativa. A distanza di 6 mesi, devo dire che mi trovo costretto a rivedere quanto detto. L’evoluzione delle sensazioni di ascolto era uno degli obiettivi principali che si prefiggeva questo blog, tornare su dischi già affrontati evitando di lasciare una traccia incancellabile per l’eternità su ogni singolo disco. Ebbene, è la prima volta che accade e infatti il risultato della ripresa è quasi l’opposto di quello del primo tempo. Vediamo.

STORIA. Innanzitutto, cerchiamo di contestualizzare il disco. Shoot Out At The Fantasy Factory, esce nel 1973, due anni dopo il precedente lavoro dei Traffic, The Low Spark of High Heeled Boys. I Traffic hanno già sfornato nel 1970 il capolavoro John Barleycorn Must Die. Con i dischi successivi il gruppo decide di spostarsi su nuove sonorità, abbandonando le prevalenti tinte folk per abbracciare una sorta di soul rock con arrangiamenti jazzistici. Shoot Out at the Fantasy Factory esce nel 1973 è l’esempio più vivido di questo nuovo corso e di seguito ecco la title track:

IMPORTANZA. Rispetto a The Low Spark of High Heeled Boys otterrà più successo dal pubblico (superandolo nella classifica Billboard Pop Albums) e meno dalla critica. Rolling Stone per esempio affermò che la maggior parte delle canzoni erano troppo uniformate nella struttura e nel tono e «concretizza le contraddizioni che circondano il gruppo così come i punti alti che tengono in vita i Traffic». Tra questi, vengono menzionate Evening Blue e (Sometimes I Feel So) Uninspired. Io aggiungerei Roll Right Stones, che trovate di seguito…

SENSAZIONI. E veniamo alla rivisitazione del mio precedente giudizio. A prescindere dal fatto che sono d’accordo con Rolling Stone quando afferma che «il suono è troppo uniforme e imperturbabile», tuttavia penso sia la naturale evoluzione dei Traffic, che già a cavallo del 1970 non brillavano certo per ruvidità. Al contrario, riascoltando bene il disco in cuffia non può sfuggire una certa profondità (merito proprio al duo Capaldi-Winwood) che in un suono ambiente era sgusciata via anche al sottoscritto. Però è vero, ci sono i temi ma non le variazioni. Ma questa è una pecca o una precisa volontà? Difficile stabilirlo, ma forse è stato proprio il voler titolare il brano più intrigante “Unispired” (non ispirato) ha spostato tutta la critica verso il negativo, una sorta di ammissione di colpa che i detrattori aspettavano al varco per decretare una vittoria o una sconfitta ai punti. Insomma, siamo tutti concordi nell’accettare che dopo John Barleycorn Must Die non fu più come prima, e che come ho letto in giro «Winwood e Capaldi hanno «calato sul piatto il mestiere». Ma va anche considerata l’evoluzione di un gruppo, che non sempre porta a quanto si attende la gente. Poi c’è tutta una serie di paragoni che andrebbero rivisti. Per esempio il fatto che AllMusic – a mio avviso troppo precipitosamente – rapporta il riff della title track di apertura a Smoke On The Water dei Deep Purple, mentre a me ricorda In A Gadda Da Vida degli Iron Butterfly: si passa dall’hard rock all’acid rock. In Evening Blue si torna all’antico, con il sax di Chris Wood che la fa da padrone. Di seguito un assaggio live:

CURIOSITA’. Tutti i brani Shootout At The Fantasy Factory sono stati scritti e registrati in circa una settimana. La parte finale strumentale della title track sembra essere a 9/8 (o 17/4 secondo altri), che illustra la musicalità compiuta del gruppo. La copertina dell’lp originale e molte ristampe presentano i lati in basso a sinistra e l’angolo superiore destro tagliati. Da notare: con (Sometimes I Feel So) Uninspired Winwood sembra adattarsi a un certo claptonismo, l’assolo centrale di chitarra è uno dei momenti più coinvolgenti dell’intero lavoro.



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