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Trainspotting

Creato il 23 febbraio 2011 da Charliecitrine

Titolo: TrainspottingTitolo originale: TrainspottingAutore: Irvine WelshAnno: 1993
Il libro…
“La società s'inventa una logica assurda e complicata, per liquidare quelli che si comportano in un modo diverso dagli altri. Ma se, supponiamo, e io lo so benissimo come stanno le cose, so che morirò giovane, sono nel pieno possesso delle mie facoltà eccetera, eccetera, e decido di usarla lo stesso, l'eroina? Non me lo lasciano fare. Non mi lasciano perché lo vedono come un segno del loro fallimento, il fatto che tu scelga semplicemente di rifiutare quello che loro hanno da offrirti. Scegli noi. Scegli la vita. Scegli il mutuo da pagare, la lavatrice, la macchina; scegli di startene seduto su un divano a guardare i giochini alla televisione, a distruggerti il cervello e l'anima, a riempirti la pancia di porcherie che ti avvelenano. Scegli di marcire in un ospizio, cacandoti e pisciandoti sotto, cazzo, per la gioia di quegli stronzi egoisti e fottuti che hai messo al mondo. Scegli la vita. Beh, io invece scelgo di non sceglierla, la vita. E se quei coglioni non sanno come prenderla, una cosa del genere, beh, cazzo, il problema è loro, non mio”.


Trainspotting

La locandina

Questa frase non apre il libro come, invece, accade per il film di Danny Boyle, dando forma a una delle più coinvolgenti e incalzanti scene iniziali della storia del cinema (ne riparleremo dopo). Questa frase arriva a metà del libro e ne diventa una sorta di bilancio, di riflessione a inframmezzare catastrofi e rinascite. Trainspotting è la storia delle vite sgangherate di alcuni ragazzi dei dintorni di Edimburgo tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta. Mark Renton, Spud, Frank Bagbie, Sick Boy e Tommy. Sono loro stessi a raccontare, in prima persona e ognuno con il proprio stile distintivo, le vicissitudini quotidiane di esistenze al limite: le droghe pesanti, la dipendenza da alcool, il fallimento nelle relazioni interpersonali, l’esclusione dal mondo del lavoro, la piccola criminalità, l’AIDS, la morte. Tra i narratori spicca, per spazio concesso, Mark Renton, venticinquenne o giù di lì, figlio della classe lavoratrice povera scozzese, ex studente universitario e ora eroinomane che entra ed esce dalla dipendenza. È attraverso la narrazione di Renton che conosciamo gli altri suoi amici e il ricco sottobosco di illegalità, miseria economica e umana, noia e stordimento che caratterizza le vite del gruppo. Oltre a Mark c’è Spud, ladruncolo e tossico, di indole buona ma stupido, con il cervello ormai compromesso dalle troppe anfetamine prese. C’è Sick Boy, elegantone (si crede meglio di un altro scozzese, Sean Connery), maniaco del sesso e persona decisamente sfuggente e infida: non esita a sfruttare la sua capacità di far colpo sulle donne per trarre vantaggio. Come Mark anche Sick Boy oscilla fra eroina e disintossicazione. Poi c’è Frank Begbie, un violento e incontrollabile piscopatico alcoolizzato, un attaccabrighe che terrorizza gli altri avventori dei pub, che cerca la rissa ad oltranza, che tiranneggia i suoi amici e che maltratta senza ritegno la propria compagna. Infine, c’è Tommy, bravo ragazzo con la tendenza ad alzare un po’ il gomito; dopo esser stato mollato dalla tipa, però, sprofonda nella più nera depressione e da lì il passo verso l’eroina è fin troppo breve. Intorno ad essi ruotano altre figure: piccoli spacciatori, poveri tossici, avanzi di galera, ragazze madri senza punti di riferimento, assistenti sociali che tentano di capire e redimere, giovani rassegnati, malati allo stadio terminale e genitori imbottiti nel corpo e nella mente da cibi troppo ricchi di colesterolo e da insulsi programmi televisivi. La loro vita è fatta di serate passate al pub a bere pinte di birra cattiva (“piscia”) e a scolarsi bottiglie di liquori, di serate umide e fredde, di risse che finiscono a bicchierate in faccia, di partite di calcio viste alla tv, di relazioni instabili e per lo più segnate da violenze e da tradimenti. Chi poi ha a che fare con l’eroina può aggiungere la snervante attesa fra un buco e l’altro, i dolori che procura l’astinenza, la ricerca di soldi per la dose, il totale disinteresse per tutto ciò che non abbia a che fare con un cucchiaino, un accendino, una siringa e un po’ di polvere da sciogliere.
Il quadro che ne esce è – come si può facilmente immaginare – piuttosto tragico e desolante specie quando Welsh indugia sui particolari dei sintomi dovuti alla “rota” (la crisi di astinenza), quando descrive il totale abbruttimento a cui arrivano i tossici (per esempio il loro essere completamente privi di un anche minimo senso dell’igiene) e quando mostra con crudezza quali possono essere le conseguenze di quegli atti, ovvero malattie e morte. D’altronde questi ultimi due elementi sono presenti – a volte in primo piano a volte solamente sullo sfondo – in tutte le storie raccontate. Tuttavia, Trainspotting non è un libro didascalico e nemmeno una storiella moraleggiante sulla pericolosità delle droghe e dell’abuso di alcool. Ecco perché al di là delle brutture, l'atmosfera del romanzo non è poi così cupa e triste. Sono diversi i momenti frizzanti, divertenti e leggeri. Anche nella discesa agli inferi c’è spazio per la vitalità, per sentimenti umani (l’amicizia), per la simpatia. Come quella che, spesso, si prova per Mark, Spud o Sick Boy. Ugualmente, non è così raro ritrovarsi a provare attaccamento alle loro esistenze sconclusionate e a cercare una giustificazione al loro improbabile modo di vivere. Nella foga della lettura, non è così raro che si arrivi – anche solo per qualche secondo – che, forse, un po' di ragione ce l'hanno…
Esordio folgorante per Irvine Welsh. Si tratta di un grande libro, innovativo nella forma, nei contenuti e anche nel linguaggio (davvero incredibile per crudezza e volgarità).
…dal libro al film…
La probabilità di fallire e di trarne un filmaccio banale o esagerato era altissima. Invece, si è di fronte a un film dove tutto funziona: bella storia, regia geniale, bravi attori, colonna sonora azzeccatissima, battute che ti rimangono appiccicate in testa e scene cult. Un amalgama che non riesce così spesso.

Trainspotting

Mark "Rents" Renton - Ewan McGregor

Gran merito va alle intuizioni e alla capacità di metterle su pellicola di Danny Boyle. Visionario e ispirato, riesce a trasformare alcune descrizioni per stomaci forti presenti nel libro di Welsh in veri e propri colpi di genio impossibili da dimenticare: dall’immersione di Mark nella tazza del water, alla sua scomparsa dentro il tappeto rosso durante il “viaggio” dopo l’overdose, fino agli incubi spaventosi che si susseguono quando il protagonista cerca di superare la crisi di astinenza. Il successo è sicuramente aiutato dalle performance di un gruppo di interpreti in forma strepitosa. Innanzitutto Ewan McGregor, perfetto e credibile travestito da tossico. In secondo luogo Robert Carlyle. Il futuro disoccupato-spogliarellista in Full Monty entra talmente bene nei panni dello psicotico e iracondo Frank Bagbie che il suo personaggio risulta davvero antipatico e insopportabile (si spera sempre che incontri qualcuno in grado di fargliela pagare!). O Ewen Bremner nella parte dello sfigatissimo e stordito Spud. Coinvolgente la scelta delle musiche. Ci sono Iggy Pop (citato a più riprese nel romanzo), Lou Reed, Pulp, Blur, Brian Eno… che cosa si può aggiungere?
Tornando, invece, alla già citata scena iniziale, invito a guardare i due filmati qua di seguito riprodotti. Il primo è l’inizio trascinante di Trainspotting (con la musica martellante di Lust for Life). Il secondo è l’intro di Piccoli omicidi fra amici, interessantissimo film d’esordio di Boyle. Trovate analogie fra i due?CHARLIE CITRINE
Dati film:
Titolo: TrainspottingTitolo originale: TrainspottingRegista: Danny BoyleSceneggiatura: John Hodge (romanzo: Irvine Welsh) Interpreti: ·   Ewan McGregor (Mark Renton)·   Ewen Bremner (Spud) ·   Robert Carlyle (Begbie)·   Jonny Lee Miller (Sick Boy)Anno: 1996Paese: Gran BretagnaColore: ColoreDurata: 94 minuti Genere: Drammatico
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