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Trattare bene le lingue, ma senza grattugia

Creato il 31 agosto 2015 da Indian

Lezioni condivise 103 – L’atlante linguistico italo-svizzero (AIS)

Trattare bene le lingue, questo è scontato, lo è meno pensare che questa affermazione significhi per tutti la stessa cosa.

Nei miei interventi sul tema, alcuni ancora da rivedere e completare, credo di aver espresso il mio pensiero, che peraltro è in evoluzione come lo sono naturalmente le lingue. Non penso neppure che quella frase possa avere lo stesso valore per qualsiasi idioma, giacché è evidente che le lingue del mondo non stanno tutte nelle stesse condizioni, alcune sono privilegiate, altre negate, vietate, dimenticate, in via di estinzione… e questo non accade solo nel terzo o quarto mondo, ma anche in quello che si autodefinisce civile. Certo è che chi tratta male le lingue degli altri, pur essendo convinto del contrario, fa lo stesso con la propria, è incapace di tutelarla.

Per fortuna la politica, almeno per l’italiano e per il momento, non interviene pesantemente in affari linguistici, da un pezzo questo campo è lasciato alla scienza, al dibattito tra persone competenti. Non è così dappertutto e non lo è stato sempre neppure qui: la questione della lingua italiana praticamente iniziata dai tempi del volgare, subì pesantemente l’interferenza politica con la commissione Manzoni, che al di là dei componenti e del suo presidente, adottò scelte politiche e linguistiche, nell’idea che l’imposizione fosse la soluzione alla “babele” dialettale pre-unitaria. L’errore politico e storico, unire lo stato con la forza sotto la tirannia dei Savoia, si ripeteva ai danni della lingua e della cultura, della ricchezza del paese; errore oggi evidente a tutti, come lo è il naturale verificarsi del percorso sostenuto da Ascoli per la formazione di una koinè attraverso i contatti e i traffici, peraltro tra idiomi parenti stretti; la forzatura ha solo sacrificato parte del lessico, strutture morfologiche e sintattiche che avrebbero potuto coesistere, finché una si fosse affermata o anche no. E’ avvenuto lo stesso processo che si voleva evitare ma in modo più innaturale, con la formazione di tante parlate “regionali” che hanno interagito per diglossia con i rispettivi dialetti. E se non si è imparato bene lo standard a scuola, ancora non ci si capisce come nell’Ottocento e questo perché la scuola ha rifiutato le lingue “bastarde” e tra queste il sardo, lingua neolatina studiata all’estero, lingua ufficiale degli stati giudicali, lingua per la quale tanti vorrebbero ripetere l’errore che si è fatto con l’italiano, confondendo le necessarie regole di scrittura con l’oblio della ricchezza della lingua, lessico e grammatica, da tutelare e non tagliare con la scure: non seus pudendi arrosas!

In questo senso, e ho ripetuto certamente un discorso già fatto, occorre intenderci su cosa significhi trattare bene una lingua, non certo commettere l’errore che ha fatto la scuola dell’obbligo fino all’altro ieri, bandendo il sardo manco fosse la peste.

Utilissimi nel portare avanti il rispetto per le lingue sono stati gli atlantisti, proprio perché hanno lavorato sulla ricchezza delle lingue, sulle parole, cioè sui nomi delle cose…

(… continua)

Nota:

In sardo tratare/i significa grattugiare.

(Deu tratu, tui tratas, issu tratat, nos trataus, bois tratais, issus tratant)

(Linguistica sarda – 23.4.1997) MP

TRATTARE BENE LE LINGUE, MA SENZA GRATTUGIA

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