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Travolta dai ricordi

Creato il 09 luglio 2011 da Greenkika
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La modernità in continua evoluzione rende corta la nostra memoria. com’era il primo telefono cellulare? Quanto erano primitivi i computer? E le foto digitali? Com’era il primo modello delle Naic Er Macs? Quando uscirà il prossimo aiFon?
In questi mesi di rallentamento e decrescita ho allontanato la frenesia delle corse in macchina, delle pubblicità martellanti alla televisione, dello shopping inarrestabile, a favore di lentezza e libera riesumazione dei ricordi.
Così mi sono ritrovata a ravanare nel passato anche grazie a oggetti vecchi ma di valore, a musiche e pezzi di carta, rievocazioni e libere associazioni date da un tempo speso in maniera più tranquilla, pacifica, interiore, forse ecologico.

Fra poche settimane ricorre la data della morte di mio nonno, che ha vissuto fino a oltre novant’anni una vita più che dignitosa e austera, e che mi ha trasmesso montagne di valori legati all’obbedienza (ero l’unica nipote che “gli rispondeva”), al rispetto per le persone, per la natura e gli animali, per il cibo. E poi l’attenzione agli sprechi, alla frugalità, al risparmio, mentre mia nonna mi trasmetteva il senso di colpa e la fede in Dio, il sacrificio e la purezza d’animo, e così estate dopo estate ma anche inverni lunghi e bui, trascorrevo il tempo con questi due pezzi di storia.

Mi ritrovo a pensare alle sere in cui imparavo a giocare a briscola mentre fuori il paesaggio era nero e si vedeva in lontananza il lampeggiare di solitarie luci natalizie. Alla volta in cui con la nonna mi convinsi che se potevo “scrivere” la parola squala, allora la femmina di squalo doveva per forza chiamarsi così, perché la parola rispecchiava la realtà, o vice versa?
Mi ricordo che mio nonno mi mandava sul balcone di pomeriggio con una pentola piena d’acqua e un mestolo per innaffiare le piante, e questo ricordo è riaffiorato mentre per caso mi ritrovavo nella stessa posa qualche giorno fa mentre bagnavo le mie piantine sul balcone di casa.

Qualche giorno fa invece è morto un ragazzo della mia età, col quale avevo trascorso, insieme a un altro amico, un bellissimo weekend lungo ascoltando musica reggae, volendoci bene, disegnando, bevendo, camminando felici per il paese di Maggio.
Ho recuperato la vecchia musicassetta che proprio lui mi diede una volta tornati dalla nostra vacanza, che raccoglieva le canzoni più belle che avevamo ascoltato insieme. Ed ecco la melodia che mi riporta il suo ricordo, regalandomi immagini sorridenti e altre più malinconiche.

Dopo due tristi celebrazioni, eccone una felice: sono stata di recente in visita dall’ostetrica che 27 anni fa mi fece nascere con parto podalico, una donna che mia mamma si ricorda bene, perché riuscì a farmi nascere senza cesareo e perché era ed è ancora una donna estremamente viva, dotata di una tenacia e un talento nell’amare il prossimo assolutamente rari.
Ci siamo piaciute subito, lei mi ha perfino regalato, pur con 27 anni di ritardo, un minuscolo portafortuna da tenere sempre addosso che si dona in genere ai neonati, un seme della foresta amazzonica, luogo dove lei ha lasciato probabilmente il cuore quando viaggiava in Venezuela per andare ad aiutare mamme, bambini, anziani a sopravvivere.
Così ho cercato nel mio passato il mio primo ricordo, e tanto mi piacerebbe poter dire che il primo volto visto è stato il suo, eppure so che fra noi, come fra lei e tutti i bambini che ha fatto nascere, c’è stato da subito un legame indissolubile.

Oggi invece sono andata al mercato dell’usato per prendere due vasi grandi (il mio orto sta crescendo sì, ma senza ancora produrre frutti), e mi sono anche comprata una grattugia di vetro per le mele (come quando ero piccolissima, eccolo, un altro ricordo piacevolissimo e antico), una semplice brocca e un appendi abiti di quelli a fisarmonica (come quello della mia vecchia casa). Mentre pagavo la modica cifra di quattro euri e cinquanta, mi commuovevo pensando a quanto della mia infanzia sia sperduto nel fondo della memoria, pronto a riemergere inaspettato, come in questi momenti.

Un’ultima cosa ma non meno importante: passeggiando per la strada ho trovato una slitta di legno intatta, identica a quella che avevo da piccola, sempre in montagna con i nonni. Ovviamente è già sul mio balconcino ad aspettare di essere scartavetrata e ripulita per l’inverno.

E allora quanto di questa vita ecologica è legato alla bellezza di riassaporare un passato felice (oltre che di riempirsi la casa di cianfrusaglie)? Uno dei miei terrori è quello di dimenticare e essere dimenticata, e perciò credo che fermarsi e guardare indietro sia un ottimo esercizio per conservare le cose felici e affannarsi un po’ meno. Per ritrovare il valore delle cose vecchie, valorizzarle e caricarle di significato. Per ritrovare anche un po’ se stessi.


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