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TRENTO. In Trentino sono circa 300 i bambini nati “in vitro”. In futuro questo numero è destinato ad aumentare. Perché il problema dell’infertilità delle coppie è pressante e la lista d’attesa di coloro che si rivolgono al centro di fecondazione assistita di Arco è piuttosto lunga. Il dottor Arne Luehwink, il primario, sta attendendo i rinforzi che l’Azienda sanitaria gli ha promesso. «L’obiettivo - dice il medico - è quello di arrivare a rispondere a 600 richieste complessive dei diversi trattamenti all’anno. Oggi riusciamo ad arrivare circa alla metà. Con un potenziamento potremmo dare un maggior numero di risposte. Principalmente mancano anestesisti: li aspettiamo con ansia». Sono sempre di più le coppie che si rivolgono ad Arco, l’unico centro in provincia che si occupa di fecondazione assistita, ma il problema non è legato ad un aumento dei casi di infertilità, bensì ad un cambio di mentalità che però non è ancora compiuto dal tutto. L’infertilità è nella maggior parte dei casi una malattia, ma resiste ancora forte il tabù: «Ancora oggi - dice il primario - è più facile fare outing sull’omosessualità o sulla positività all’Aids che sul tema dell’infertilità». Si smonta anche il luogo comune per cui l’ambiente e l’inquinamento siano all’origine dell’infertilità che colpisce una coppia su dieci a livello europeo (e il Trentino rispetta questa media). All’origine, invece, c’è la tendenza a ritardare sempre di più il concepimento di un figlio. E più si attende, meno facile sarà mettere in cantiere l’erede. E’ una questione naturale: prima dei 35 anni la “materia prima” è in buono stato, poi lentamente ma inesorabilmente si deteriora. La società moderna invece tende a far concentrare la coppia su altre cose, tra cui anche il lavoro e la carriera, portandole a coronare il sogno del figlio quando rischia di essere troppo tardi. E ne soffre l’equilibrio demografico. In Germania la media delle gravidanze è di 1,3, un numero troppo basso per garantire una crescita equilibrata della popolazione. Si dovrebbe arrivare almeno ad una media di 2. Il fattore età è dunque determinante. Chi “sfora” questo limite naturale può dunque trovarsi a fare i conti con l’infertilità, tendenzialmente dovuta alla donna ma molto spesso associata a quella del partner. E così le coppie si rivolgono al centro arcense. Il percorso è seguito attentamente perché la questione è delicata in tutti i suoi aspetti, non ultimo quello psicologico. Prima si verifica la situazione e si cerca di capire quale sia il reale problema che impedisce la fecondazione naturale. Poi si interviene nel modo più opportuno. Quello più “semplice” è la fecondazione intrauterina che si esegue in anestesia generale. Molto più complesso e delicato è invece l’intervento “in vitro”, dove l’embrione viene “creato” in laboratorio ed impiantato nell’utero entro cinque giorni. Non si tratta di manipolazione genetica, cioè non si interviene sulla scelta o sulla qualità del “futuro bambino”, poiché comunque si lavora sulla materia prima della coppia richiedente (la legge italiana non prevede la fecondazione eterologa). C’è anzi un rischio leggermente superiore rispetto al metodo naturale di nascite con malformazioni. Per questo tipo di intervento i tempi d’attesa variano dagli otto ai nove mesi.
Robert Tosin
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