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Trenta anni di loyalty: vale ancora la pena investire o meglio lasciare?

Da Leadermax

Questo mese ricorre il 30° anniversario del lancio del primo programma di loyalty della storia, il frequent flyer della American Airlines, lanciato nel maggio 1981. Da quel momento si sono moltiplicati programmi, tessere, in moltissimi settori. Negli anni c’è stata una evoluzione, come spiegato nel bel post di Alexander Meili, tuttavia è come se per questo tipo di attività sia arrivato il momento di una riflessione, ovvero: vale ancora la pena investire in un programma del genere?

La rivoluzione tecnologica ha posto pesanti interrogativi, la proliferazione di carte ha fatto il resto. Sono veramente più fedeli i clienti con la tessera? O sono solo “cherry pickers”? E le aziende hanno utilizzato questi programmi come strumenti di ascolto della clientela oppure si sono soffermate solo sull’aspetto di vendita, rendendo di fatto queste attività delle pure e semplici carte sconto?

A mio avviso un programma di loyalty serve unicamente nella misura in cui si raccolgono dati e informazioni allo scopo di migliorare prodotti, servizi e darne riscontro al cliente. Solo un servizio eccellente ed in grado di tenere traccia di quanto richiesto dal cliente genera fedeltà. Lo sconto lascia il tempo che trova e non attira “buoni clienti”. Non a caso il miglior indicatore su questo tema è il Net Promoter Score, ovvero: raccomaderesti mai questo prodotto ad un amico/parente?

Fossi in azienda, prima di chiudere un programma di loyalty farei un ultimo tentativo, adottando dei correttivi di “nuova generazione”.

Infatti, dopo l’introduzione dei meccanismi a punti, dei premi più svariati, degli elementi per riconoscere il cliente e degli elementi di status da offrire, proverei a portare i programmi di loyalty su un piano diverso, introducendo elementi di reale partecipazione e coinvolgimento dei clienti. Un’azienda moderna deve non solo riconoscere e ascoltare, ci si aspetta che metta in pratica le informazioni veicolate attraverso questi programmi per realizzare prodotti migliori e servizi allineati ai desideri e alle aspettative.

Oggi questo livello è possibile attraverso i social media, a patto di riscoprire lo spirito di servizio al cliente che deve prevalere rispetto al momento di pura vendita. Ad esempio, mi ha colpito quello che LG fa in Cile utilizzando Facebook per dialogare su qualsiasi cosa, dal problema più pratico alla richiesta di nuove funzionalità o nuovi prodotti, al lancio di promozioni per prodotti in catalogo. Ci sono oltre 400.000 followers. Se avessi un programma di loyalty collegato a questi strumenti proverei a portarli dentro.

Il grafico qui sotto ci aiuta ad avere una mappa di come “innovare” un programma esistente (courtesy ICLP blog).

Trenta anni di loyalty: vale ancora la pena investire o meglio lasciare?

Cosa deve avere allora il programma di loyalty di prossima generazione rispetto ad oggi?
– Essere meno concentrato sull’azienda e sul prodotto (meno “nomeazienda” card o “nomeprodotto” card);
– Basta carte di plastica, è ora di usare le mobile cards (ricordate Cards on Mobile?);
– Segmentare la clientela in base ai desideri/attitudini e non più in base a elementi sociodemografici;
– Promozioni veicolate a livello di punto vendita, con rewarding immediato e non più differito (significa geolocalizzazione, ovvero Foursquare al posto del meccanismo a punti);
– Basta newsletter istituzionali, meglio utilizzare i social media per instaurare un dialogo, anche attraverso la selezione di super-clienti (advocates) a cui affidare la moderazione di “venues” sul web (… paura di perdere il controllo eh? è questo il punto chiave per arrivare al next level);
– Maggiore integrazione con i sistemi di CRM, per chi ha la sfortuna di averne uno con annessi “venditori di codice”.

Troppo radicale?


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