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Trieste Film Festival: “Project: Rak” di Damjan Kozole

Creato il 23 gennaio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Trieste Film Festival: “Project: Rak” di Damjan Kozole

Proprio grazie all’evento speciale, tra i più attesi, che gli organizzatori del Trieste Film Festival hanno programmato per il 21 gennaio, un grande artista come Ulay ha fatto la sua apparizione al Teatro Miela. In carne e ossa, di fronte a un pubblico che col suo calore ha dimostrato di comprendere l’eccezionalità del momento. Sì, perché fino a qualche tempo fa non era affatto scontato, che a questo pioniere dell’arte contemporanea fosse ancora dato di materializzarsi così, in pubblico, per testimoniare non solo il suo percorso creativo ma il semplice fatto di essere vivo. Ulay è infatti sopravvissuto a una grave malattia: quel linfoma che pareva dovesse stroncarlo in pochi mesi, ma dal quale nel 2012 è miracolosamente guarito; nello stesso periodo in cui il regista sloveno Damjan Kozole realizzava questo documentario su di lui, con lui, per lui. Un’idea maturata a tappe, che in principio doveva essere altro (e cioè il più ordinario ritratto di un artista per niente ordinario, verrebbe da pensare), ma che si è poi adattata in corso d’opera al progredire degli eventi: prima la terrificante scoperta di un corpo malato, a seguire l’ancor più stupefacente marcia verso la guarigione. Come se il cinema e l’arte, certe volte, potessero davvero salvare la vita…

Per focalizzare ulteriormente Project: Rak, traducibile per l’appunto come Project: Cancer, in inglese, facciamo appello alle note di regia dello stesso Kozole: “In tutta l’opera di Ulay, identità sessuale e corpo umano sono stati il tema principale. E il corpo umano è anche il tema di questo film. Non Ulay, ma il suo corpo.” Davvero un bel tipo, Ulay. Così come lo è il cineasta sloveno, del quale già in altre occasioni si era percepito il forte interesse per i corpi, per il loro mutare nello spazio e nel tempo, per quelle traiettorie esistenziali rese ancora più complicate dalle enormi contraddizioni della società contemporanea. Contraddizioni che sfociano spesso in una foga (auto)distruttiva. Simili tensioni sono state fagocitate più volte dalla poetica dell’autore, sia nel cosiddetto cinema del reale che in quello di finzione, la cui vocazione antropologica resta in lui evidente. Dal corpo femminile in affitto di Slovenska, esempio di fiction cinematografica che ci aveva convinto a metà, ai corpi privati all’improvviso di nazionalità (e perciò di diritti) dello sconvolgente documentario Dolge Počitnice (The Long Vacation, 2012), il senso della ricerca potrebbe tranquillamente essere questo. E nell’approccio alla forma documentaria lo sguardo indagatore di Damjan Kozole appare ancor più penetrante, empatico, acuto, rivelatore, cosa che gli spettatori di Project: Rak avranno già constatato coi loro occhi, rapportandosi alle immagini di grande forza espressiva e al montaggio altrettanto risoluto del film.

Dal novembre 2011 al novembre 2012, dallo scioccante annuncio della malattia alla riscoperta della vita e dell’amore, il corpo piegato ma non sconfitto di Ulay si riflette nelle mille sfaccettature di un “anno vissuto pericolosamente”, ovvero in quel continuo e ostinato girovagare tra Lubiana e New York, tra la natia Germania e Amsterdam, città alla quale è rimasto a lungo legato; doveva essere un addio ed è stata, fortunatamente, una rinascita. Curiosando tra innumerevoli incontri con altri artisti e persone care, intervallati da un ottimo uso del materiale di repertorio, lo spettatore comincia piano piano a familiarizzare col vigore di un uomo che non vuole appassire. Si scopre così l’Ulay pioniere della body art, della performance art, della polaroid art, sovrapponibile solo in parte (perché il percorso è senz’altro più articolato) all’Ulay il cui connubio creativo e sentimentale con Marina Abramović ha di certo lasciato una traccia profonda, negli ambienti artistici e mondani che volentieri interagivano con la coppia; ma a brillare è anche Ulay come uomo, capace a un tratto di affermare che “l’estetica senza etica è cosmetica”, gioco di parole rappresentativo di un modo di guardare agli altri, al mondo e ai propri impulsi creativi, che il cineasta sloveno Damian Kozole ha saputo qui restituire con grande freschezza, ed evidente complicità.     

Stefano Coccia      


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