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Tristezza

Creato il 15 settembre 2010 da Direnzoeditore
Decisiva, ancorché difficile a viversi, è la tappa della tristezza; del resto sono rari nel nostro entourage, coloro che ci accettano tristi, perché ciò disturba, infastidisce, stanca.
Non ci sentiamo a nostro agio di fronte al dolore e al lutto, alla sofferenza altrui, alla malattia grave e alla morte, in particolare per il fatto che noi non abbiamo più tempo per niente, più tempo per vivere, più tempo per mangiare, più tempo per respirare: non si dà “tempo al tempo”, quello necessari all’elaborazione di un lutto e alla cicatrizzazione di un dolore.
Questa tristezza bisogna viverla effettivamente fino in fondo, poiché in seguito, quando la perdita è percepita nella sua dimensione reale, si accetta la mancanza della persona cara, si può elaborare il lutto e ricominciare la risalita verso la vita.
Per quale ragione ormai? Per quale ragione senza mio marito (mia moglie), mio figlio (mia figlia), oppure priva del mio seno? Per me la vita non ha più alcun senso, non mi riprenderò mai: è troppo duro… A questo punto la persona acquista piena consapevolezza che i fatti sono inesorabili e che nulla si può più modificare nelle cose e nei drammi della vita. I sentimenti negativi si trasformano in “cerchio chiuso” di eventi che si ripetono con l’impressione che il dolore non avrà mai termine.
E improvvisamente, un sorriso, una parola, una mano tesa, un raggio di sole, un fiore che sboccia, un profumo, il canto di un uccello che si ode di nuovo… e qualche cosa cambia, l’orizzonte si rischiara, la vita dolcemente ricomincia. Si esce dal vicolo cieco della perdita, della “ruminazione”, del rasserenamento, del lutto senza fine. Inizia allora la risalita.

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