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Tu Chiamale Se Vuoi… #3 – The Sound of Silence

Creato il 08 ottobre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

una immagine di Paul Simon e Art Garfunkel 620x409 su Tu Chiamale Se Vuoi... #3   The Sound of Silence

The Sound of Silence nacque come pezzo acustico per il primo album del duo Paul Simon e Art Garfunkel, Wednesday Morning, 3 A.M. (1964), ma in seguito furono aggiunte le parti degli strumenti elettrici ed uscì come singolo. Fu poi inclusa nell’album Sounds of Silence (1966). Non è certo che la canzone sia stata scritta da Paul Simon per dare voce al trauma e allo smarrimento provati dagli Americani in seguito all’assassinio del Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, il 22 novembre 1963. È un testo comunque intramontabile per la forza espressiva degli arditi accostamenti di immagini, che lo rendono una struggente poesia esistenziale sull’incapacità umana di comunicare.

Hello darkness, my old friend,

I’ve come to talk with you again,

Because a vision softly creeping,

Left its seeds while I was sleeping,

And the vision that was planted in my brain

Still remains

Within the sound of silence.

Silenzio strappato

 Un paio di cuffie e un microfono. Paolo era diventato questo, ormai. La voce era tutto ciò che gli conferiva una dignità umana, era l’unica cosa viva del suo corpo irrigidito, anche se monotona e imprigionata dentro la fissità di limiti letti e approvati su un pezzo di carta. D’inverno usciva sempre con due sciarpe belle spesse; d’estate se ne portava una un po’ più leggera quando sapeva di dover entrare dentro a negozi o autobus con l’aria condizionata sparata al massimo. La raucedine non gli avrebbe permesso di lavorare; e senza lavoro tutto diventava più complicato.

In certi momenti credeva di impazzire, in mezzo all’assordante martellio di squilli ossessivi provenienti da qualsiasi luogo della città, dalla casa più incrostata della periferia all’attico più elegante del centro. Possibile che tutta quella gente, ogni giorno, avesse bisogno di un aiuto? Possibile che in ogni minuto capitasse in giro qualche inconveniente che turbava il quieto svolgersi delle azioni quotidiane?

Nel contratto questo non era scritto. Paolo era sicuro di non aver letto niente che avesse a che fare con l’incondizionata sottomissione a certe frustate verbali, a cascate di nauseanti lamentele, a melense leccate di ipocrisia consumata. Ma Paolo ascoltava e rispondeva, senza perdere la pazienza. Ascoltava gli altri e parlava con se stesso, in silenzio. L’aveva sempre fatto, per anni.

 Ma quella sera la parte remissiva della sua persona si era come dissociata da quella che reagiva agli impulsi e provava emozioni.

Una delle due doveva soccombere.

- Centro Assistenza Casasicura, buonasera, sono Paolo, in cosa posso servirla?

- Sì, buonasera, senta io ho un grosso problema…

- A chi lo dice, signora.

- Come, scusi?

- Niente, niente. Mi dica tutto.

- Temo che si sia creato un contatto tra la mia lavastoviglie e lo scarico del bagno.

- Interessante.

- No, vede, è un gran casino… Ieri sera avevo ospiti a cena, ho fatto il carico delle stoviglie… E quando le ho tirate fuori… Beh si immagini in che stato erano!

- Preferisco non immaginarlo.

- Ma mi dica cosa devo fare, no?!?

- Signora, perché non chiama un idraulico?

- Ma come? Voi non risolvete qualsiasi problema domestico? Io ero sicura che voi mi avreste aiutato! Lei non sa come ci si senta a… a dover pulire… Oh non mi faccia parlare!

- Signora, mi creda, io la capisco. Se le dico che anch’io sono nella merda fino al collo, lei mi crede?

- Ma cosa vuole che mi interessi?

- Ecco. Potrei dirle la stessa cosa. Buona serata.

Paolo quella sera lasciò il posto di lavoro prima della fine del suo turno. Si avvolse attorno al collo la bella sciarpa di cotone che sua figlia gli aveva regalato per il compleanno.

Entrò nella sua auto sgangherata, riflettendo sulla rabbia degli uomini. Erano sempre tutti così alterati, alzavano la voce per la paura di non riuscire a esprimere le loro idee con moderazione, forse perché ascoltarsi andava al di là delle loro capacità, ed era già tanto ottenere di essere ascoltati dagli altri.

Magari il motivo di questa rabbia era solo un disperato bisogno di uscire dalla solitudine cercando il confronto con qualcuno; poco importava se questo poi diventasse uno scontro acceso, la cosa che veramente contava era il suono di una voce. La sicurezza contro lo spaventoso silenzio che rende inermi.

Paolo parlava a se stesso, mentre percorreva strade che lo portavano lontano dal lavoro e da casa sua. Si inoltrò per quei passaggi segreti conosciuti solo da esperti frequentatori.

Molte avevano già superato la fase più florida della giovinezza e si trascinavano per i marciapiedi stanche e annoiate. Altre ondeggiavano a testa alta lanciando sguardi ammiccanti a tutte le macchine che sfioravano le loro gambe lunghe.

Paolo si accorse subito di quanto fosse bella e poco più che ragazzina. Quando i suoi grandi occhi scuri si avvicinarono all’auto, sentì un odore buonissimo, un miscuglio di pelle fresca e profumo comprato alla bancarella di un mercato da quattro soldi.

- Senti, io non ho intenzione di fare quello che pensi.

Lei lo guardava senza capire, i suoi occhi luccicavano.

- Ho solo bisogno di parlare, va bene? Mi capisci, quando parlo?

Lei annuì.

- Bene. Io ti pagherò, davvero. Però andiamocene da qui, in un posto più tranquillo.

Paolo sembrava in trance, mentre faceva uscire dalla bocca le parole di una vita che lo vedeva vittima della claustrofobia, vittima di tutto ciò che possedeva, la sua famiglia, con una figlia che il giorno dopo avrebbe affrontato un intervento al cuore, e non l’avrebbe accettato se… E sua moglie non rideva più da mesi, e quando lui tornava a casa consumavano la cena in silenzio, sempre col pensiero di ciò che sarebbe successo dopo, sempre col pensiero dei soldi che andavano e venivano, di soldi che avrebbero speso tutti per quella figlia che stava crescendo e doveva ancora crescere, e non poteva finire tutto così, perché la vita era ancora lunga e c’erano tante cose che lei avrebbe potuto fare, per diventare migliore di loro, per non avere rimorsi o rimpianti… Ma non ne parlava mai con nessuno, perché ormai tutti avevano dei problemi da risolvere, delle questioni che non li lasciavano dormire la notte, e chi si sarebbe messo a disposizione per ascoltare, magari senza dire niente…? Non aveva bisogno delle parole degli altri, voleva solo ascoltare la propria voce perché tutto ciò che in quel momento era in grado di comunicare era il suo dramma.

La ragazza lo ascoltò senza parlare e senza distogliere lo sguardo da lui, che per tutto il tempo aveva guardato fisso davanti a sé, oltre il parabrezza.

- Allora, quanto vuoi?

Lei gli prese la mano e scosse la testa.

- Dimmi almeno come ti chiami.

- Euridis.

- Che bel nome… Sai, gli antichi greci raccontavano di un certo Orfeo che cantando con la sua voce bellissima aveva convinto gli dei a far tornare la sua amata Euridice tra i viventi. In quel tempo la parola aveva ancora un significato e poteva risolvere tutto.

Euridis si avvicinò e lo baciò delicatamente sulle labbra. Poi scese dall’auto e si allontanò per fare ritorno nel regno dei morti, avvolta nel silenzio della notte.


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