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Tu sei bella da morire

Creato il 14 luglio 2010 da Lucas

Nello spiegare le ragioni (?) della violenza dell'uomo contro la donna, Michela Marzano e Galatea (quest'ultima molto più di godibile lettura) forniscono opportune interpretazioni convergenti. Ma esse, a mio avviso, tacciono su un punto, forse per non infierire troppo sulla imbecillità violenta di quegli uomini che infliggono sofferenza, dolore e morte sulle loro povere vittime indifese. Sarò volgare, ma lo ritengo necessario.

La fica, questo oggetto misterioso che stimola il possesso, l'appropriazione indebita, è vista da quel bastardo d'uomo di cui sopra come un ricettacolo della proprie frustrazioni. La donna si traduce solo in fica e la fica è terra, roba, proprietà da rivendicare, da recintare con filo spinato. Quel tipo d'uomo che, per varie ragioni, si vede rifiutato di conquistare o, peggio, espropriato di quella “terra”, immagina orde di barbari che prendano il suo territorio, che lo invadano, che ci piantino (sic!) la loro bandiera. L'uomo, malato di odio e violenza, vede volare cazzi dappertutto in quel “recinto” ove osava volare solo la sua aquila. E diventa pazzo.

Vedersi respinto certifica nell'uomo il proprio fallimento, la propria assenza di significato, la propria umiliazione. L'uomo rifiutato si sente egli stesso, rifiuto, scarto, roba da discarica, morto che cammina: gli occhi gli si sbarrano, le labbra tremano, la mente vacilla e crolla dentro sé quel minimo di bontà, di pietas e compassione che un tempo, magari, lo caratterizzava anche.

Essere rifiutato, essere respinto, essere tradito, essere violato dalla donna è, per quel tipo di uomo che spero mai di non diventare, un nuovo terrificante svezzamento: è un nuovo taglio ombelicale, è distacco inesorabile dalla placenta “desiderata” e/o “ritrovata”.

Staccarsi da un'altra placenta

è naufragio è smarrimento

sentire chi si ripresenta

il trauma dello svezzamento¹

La violenza diventa allora l'unico modo per riprendere ciò che è perduto. La violenza diventa il mezzo di appropriazione definitivo: è il morso che mangia la vittima per possederla fino in fondo, affinché il corpo della donna divenga suo per sempre

Questi momenti di violenza, come in fondo tutte le violenze perpetrate ai danni di vittime indifese, rappresentano, a mio avviso, il fallimento completo dell'idea di giustizia divina. Perché è proprio in quei momenti che Dio ci vorrebbe per fermare la mano assassina (alla Tom Cruise di Minority Report); proprio lì, il Grande Assente dovrebbe essere Presente per bloccare l'attimo in cui si scatena la follia omicida.

Se il cerchio violento dell'assassino si chiude col proprio suicidio c'è come una sorta di macabra espiazione, di giustizia che si autocompie. Ma per l'omicida che viene preso, arrestato, processato, incarcerato, condonato e poi liberato dopo un tot di anni, cosa si compie di giustizia?

La vittima resta sventrata, sottoterra o altrove, e nessuno può riportarla in vita. L'aldilà, questa magra consolazione, a cui le religioni si attaccano per perpetrare il loro potere nell'aldiqua: Oh My Gosh, almeno fossero capaci le autorità religiose di raccontare una bella storia, non dico verificabile, ma almeno credibile, come una storia, come un racconto, come una lacrima che cade per dissetare un filo d'erba.

¹Versi miei, di un tempo, quando fui lasciato da quella che non ho mai osato chiamare troia.


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