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Tutti fottuti frutti

Creato il 26 maggio 2011 da Fabry2010

Tutti fottuti frutti

di Alessandro Ansuini

Le ragazze avevano preso familiarità con le sostanze nel senso
Che continuavano a infilare le mani dentro le ciotole e poi
Si leccavano le dita oppure due avamposti in là si mangiavano un’unghia e
Bisognava cominciare a rincorrerne una che fuggiva a piedi scalzi
Rincorsa dai ragni per fortuna non avevamo più sette anni quindi
Dopo un po’ si stancavano e crollavano addormentate dentro vaste
Porzioni di moquette oppure in alcuni vasi lungo la strada perché
Questa città sembra non dormire mai “per il mio compleanno
Voglio un biglietto di ritorno per la pancia di mia madre” disse
Dolcezza che invece proprio non dormiva mai e non aveva nemmeno
Sette anni “adattamento” continuava a ripetere “è che io
non mi spreco quando voi vi annoiate e scialo
Quando sono in vantaggio” diceva “ma in vantaggio su chi?”
Chiedevo io ma lei aveva cose più importanti delle risposte
Lei aveva le labbra e quelle dita bellissime e mordicchiava tutte le
Cose colorate di giallo o meglio lei asseriva di mordere direttamente
Il giallo, all’infinito, e poi c’era una sala buia o qualcuno andava a pisciare dietro una
Colonna e sparivamo, sparivamo e riapparivamo qualche tempo dopo su
Un altro divanetto, con le gambe sotto a qualche altro tavolo e l’unica
Cosa che confutava la nostra esistenza con sprezzante regolarità erano tutte
Quelle foto, e i disegni, e le cose che si incastravano ad altre cose
Che a volte eravamo noi.

*

Durante questo vernissage stavo davanti all’ascensore e osservavo
La mia figura opaca nell’acciaio e non riuscivo a distogliere lo sguardo
Facevo ondeggiare il bicchiere e la forma del mio movimento
Era odiosamente attraente e sinuosa rimasi lì un bel po’ finché
Non si aprirono le porte e un tipo magro con un topo che gli usciva e
Entrava dal cappuccio venne fuori urtandomi con una spalla in modo che
Venni restituito all’ambiente e al suo andirivieni ma non mi sentivo molto bene
Percepivo improvvisamente la fragilità delle mie ossa come fossi fatto di una
Cartilagine simile a questi paraventi in carta di riso e le ombre si mischiavano
Davanti a me si ergevano ora a fiamma ora a caviglia e tutti parlavano
Una lingua diversa sentii dei francesi dire “c’est tout” e sentii degli spagnoli
Dire “vale” e una biondina artigliata a uno stipite disse “stadt kind” e allora
Mi volsi alla corrente che sentivo provenire dalla mia guancia destra in cerca
Di una finestra e ondeggiante m’infilai in un vicolo fatto di tibie di ragazze e ragazzi
Pettinati dal vento e tutti urlavano e si spintonavano, un sacco di persone scattavano
Foto ad altre persone e si baciavano e si aprivano le camice erano tutti
Nell’istante eterno che mi separava dalla mia finestra finché un flash mi
Raggiunse e nel display rimasi eterno anche io.

*

Adulti adolescenti fluorescenti come tanti pesciolini efficienti tutti attorno
Al bagno sgambettando polpacci e stringhe qualcuno appena
Baciato altri infetti si spostano le ciocche dei capelli a vicenda con un solo
Occhio ti incrociano di traverso ti passano attraverso profumati
Come ninna nanne simultaneo è il trovarsi e perdersi o comporre
Un addizione Dolcezza sbadiglia davanti allo specchio rifacendosi
Il trucco pisciando da un davanzale le birre
Sul termosifone non muovono la testa occupanti
Spazi vuoti con le molecole stavamo e due pregiudizi del tutto innocenti
Si confondevano con noi che eravamo vestiti della cultura che ci era stata
Data in dono e che avevamo smesso di comprendere ed ora compravamo
D’altronde un uomo che sembrava una donna ma vecchissimo mi confidò
Che nel momento stesso in cui vai in bagno
Stai contribuendo al pil non c’è niente da fare
Tutto quello che hai intorno, tutto quello che hai addosso in qualche modo
Ti rende partecipe di un domino a cui non puoi sottrarti mantenendo
Un minimo di decenza “è che ti hanno ingannato da piccolo, se ti può far star meglio”
Dice Dolcezza che adesso è un verbo coniugato al futuro e privo di accenti
E in effetti dove non era arrivata la religione era arrivato il drive in, e le minigonne,
E le calze a rete, e potevi fare il barbone o finire in alaska
A mangiare delle bacche sconosciute finendo
Morto stecchito contorcendoti in una roulotte da solo come un cane
Oppure allinearti al parallelepipedo dei giorni e ripetere la stessa mansione come
Una mosca che sbatte contro il vetro “la realtà” disse Dolcezza, “è questa cosa
Che comincia dai tuoi desideri e finisce quando li compi” e mentre lo diceva aveva
Il seno sinistro di fuori e cercava di fissarselo con una spilla da balia perché perdeva
Pezzi, Dolcezza perdeva pezzi e si teneva insieme così.

*

Idea fissa di sushi e perdersi per il sottobosco alla ricerca
Di quel verde esatto quello che da piccoli – subirne il fascino
E la conseguenza e renderlo utile nei momenti post nucleari dove
Il sole sarà quella vecchia cieca che s’aggira fra la nebbia e Dolcezza
Indica diluvi con dita sopraffine sa che con le mani può uccidere un uomo
O ipnotizzarlo in sedici secondi e quindi immortalarlo in una polaroid,
Stavamo appena tornando da tutte quelle foto nel bosco mentre si cercava
Il verde esatto proprio quello che mi venne in mente l’idea di crocifiggere
Le ragazze così ci procurammo dei legni trascinandoli fra le foglie morte e
Il fango la corda si trovava sempre alla fine di qualsiasi arcobaleno e così
Scavammo le buche e io fotografavo le unghie rosse poi nere e le cosce sporche
Di fango e le autoreggenti bianche e i tacchi nel fango finché Dolcezza si spogliò
E in due o in tre la fissammo alla croce incastrando nei suoi polsi
Le immagini di hello kitty e la issammo da dietro qualcuno teneva
I piedi di Dolcezza sua sorella era andata a cercare le spine per la sua
Corona e “il mio corpo è la tua pagina bianca poeta” disse rivolgendosi a qualcuno
Nell’altro dei cieli mentre le fotografavo i capillari degli occhi e poi finalmente
Trovammo del sushi e dopo dieci minuti o comunque tre piante più in là
Dolcezza era nuda sul letto bianchissima e depilata capovolta come una stella
Marina dalle cui estremità cominciavano piccoli specchi tondi, ventagli
Coltelli e altre cose poco sicure e “mi piace farmi crocifiggere” disse quando
Le chiesi il perché di quel rossetto e di questo comunque, io e lei e la
Macchina fotografica – “stai perdendo il filo” disse “torna all’inizio e alle
Cose che si incastrano con le cose che solo occasionalmente” e il suo profumo
Saliva dalle sue parti dove la pelle toccava altra pelle tipo avambracci
O polpacci o postacci e mi dava una sorta di capogiro poiché lo sovrapponevo
Olfattivamente all’altra cosa del verde esatto che da piccoli.

*

Ostaggi della stessa agonia, appetito da parassiti, endorfine tenute in prigionia
Da una serie di vasi, di cavi, di stanze, di cinte, di lacci, di puntine, di nastro adesivo
Minacciati dall’era glaciale che appoggia le labbra bianche sul vetro
Addormentati dentro a lettere morte stavamo io e Dolcezza per qualche motivo
Come aria all’interno di bolle di sapone riposandoci dentro, ci siamo incontrati lì
Guardavamo nella stessa televisione le stesse gambe di dominique swain
Che interpretava lolita ci siamo incontrati proprio lì, Su rete4
A mezzanotte e un quarto da epici modesti e già dimenticati, i fenomeni
Ancora inalterati e tutti i capelli dei diluvi ancora pettinati ancora pronti
Per un aperitivo, serrande abbassate di bar con su scritto “dio è grande
E McDonald è il suo profeta” oppure “lapis niger aspirina”, neanche un tavolo
Macchine rosa, “l’adolescenza è una cosa che ci indossa” disse Dolcezza “ci indossa
E ci sostituisce come un bambino che si annoia di un giocattolo”, e per le strade
Tutti continuavano a urlare compravano rose o megafoni mentre i cineasti
Stavano ad ubriacarsi e i filosofi erano ad ubriacarsi e i poeti erano a drogarsi
“Tutti fottuti frutti” dissi io parlando dei gelati ma fui trafitto da quella connettività
Dalla legge e dalla colpa, Dolcezza inciampò per la strada cadde come può
Cadere una sedia in una luce giallina di un pranzo domenicale
“Il grande buio non arriva dai patio ma esce dalle radio dei nostri corpi”
Disse mentre noi eravamo e restavamo come vestiti vecchi indossati
Dall’adolescenza.

*

Poi avvenne quella cosa quella verde e non c’era più Dolcezza
Dopo intensi periodi passati insieme Dolcezza era provvisoriamente morta
E dico provvisoriamente poiché ogni volta che ne riparleremo lei
Sarà morta di nuovo quindi vorrei dire definitivamente morta ma non
Sarà così, non per me almeno, che adesso uscivo per i vicoli pieni di pioggia
Con il cappuccio sulla testa pensando alle ragazze dentro alle fiere
Ad accompagnare la mostra delle macchine pensavo ad enormi
Capannoni vuoti dove uomini calvi urtavano in continuazione
L’unico spigolo all’interno pensavo a piscine vuote
Mentre camminavo nella pioggia e l’odore dei camini o
Di qualche fetta di carne mi toccava con un dito la guancia pensavo a piscine
Vuote con all’interno poste enormi turbine di aereo le cui pale venivano
Mosse da un motore silenziosissimo e ogni porzione di pala era occupata
Da un porcellino d’india ed entrai in un bar e ordinai un caffè perché
Volevo fumare una sigaretta, guardai le monetine cadere e tintinnare
Sopra un rettangolo che improvvisamente s’illuminò recante la scritta
“Grazie per aver scelto noi” e l’esercito era la nostra bellezza agent
Provocateur portava delle rumene a londra e le faceva passeggiare in mutande
Con un’arma giocattolo in mano e noi tutti invidiamo qualcosa ad
Agent provocateur ma non sapevamo bene cosa ne a chi
Avremmo potuto rivolgerci.



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