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Tutti gli uomini (e le donne) del Presidente. E sul caso Friedman: o degli scoop politico-editoriali meno Stanlio e Ollio e più pensati nella sostanza.

Creato il 11 febbraio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

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untitleddi Rina Brundu. Meglio dirlo subito: io sto col Presidente Napolitano. Io sto dalla parte del Presidente così come dovrebbe starci qualunque cittadino onesto abbastanza da ricordare lo status-quo economico nel 2011 (incluso il minor-detail dello “spread” alle stelle), quando i giornalisti italiani scoprirono finalmente di avere una crisi strisciante in casa; e scoprirono che quella “cosa” di cui parlavano ininterrottamente le cronache straniere dal 15 settembre 2008, giorno del default Lehman Brothers, era qualcosa di più sostanziale del “much ado about nothing” di shakesperiana memoria.

Una tale onestà di visione è assolutamente necessaria per bene valutare le presunte “colpe” di Napolitano e le ridicole richieste di impeachment. Dubito infatti che uno qualunque dei suoi predecessori si salverebbe dalla stessa accusa qualora una possibilità di giudizio sul loro operato – basata sul metodo spariamo-a-vista (e dove cojo cojo) usato con l’attuale Presidente – potesse essere adoperata in maniera retroattiva. Viceversa penso che tale “ridicola” richiesta di messa in stato di accusa – porti con se un giudizio etico sostanziale non per il soggetto bollato di “tradimento” istituzionale ma per coloro che, a diversi livelli, una tale accusa hanno formulato.

Naif (quando non furbo) anche il tentativo di cavalcare la tigre, pardon di “ammazzare il gattopardo” e i suoi supposti “cacciatori sul Colle” per mere ragioni editoriali. Con tutto il rispetto per Alan Friedman – infatti – il suo pseudo-scoop su Napolitano non fa pari con gli altri suoi più noti quali lo scandalo Iraq-gate, gli intrighi delle armi a Saddam, i finanziamenti illeciti, i coinvolgimenti CIA et varie et eventuali; e, sicuramente, non è degno delle anticipazioni Watergate firmate a suo tempo dai connazionali, maestri di giornalismo anglossassone, Bob Woodward e Carl Bernstein.

A mio avviso su tutta questa triste vicenda giornalistica, o ennesima marchetta politico-editoriale, vi sarebbe da dire soltanto che se Friedman imparasse l’italiano altrettanto bene quanto sembrerebbe avere imparato l’arte del giornalismo-attovagliato che noi italici gestiamo da tempo immemore con grande maestrìa, anche la sua particolare e indiscutibile arte risulterebbe meno Stanlio e Ollio e più knowledgeable (nonché interessante) nella sostanza.

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