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Tutti i colori di Goma

Creato il 29 maggio 2011 da Libereditor

Tutti i colori di Goma

Villi mi fa vedere la sua capanna buia sopra la terra nera del vulcano Nyiragongo. Fatico a immaginare qua dentro tutta la sua famiglia, ma qui è così, non esiste alternativa. Lì attorno sono tutti abituri che punteggiano un’ampia distesa di lava nera e malferma. L’impatto è desolante. E per fortuna che la stagione è quella secca perché quando piove qui è un inferno di fango.
Villi vive in un campo per sfollati alla periferia di Goma, insieme a migliaia di altri déplacé. Come lui, gli altri sfollati abitano in tuguri di arbusti e foglie simili a igloo. Alcune sono state ricoperte con i teli azzurri dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Qua e là ci sono delle fontane per l’acqua e qualche bagno da campo.
Goma si affaccia sul lago Kivu, pullula di colori e di quasi un milione di abitanti. Qui per nove su dieci il lavoro di tutti i giorni, domenica compresa, è la débrouille, arrangiarsi alla bell’e meglio. Tagliare legna o spaccare pietre da vendere per le costruzioni, ma anche trasportare merce con il chukundu, una specie di carriola con cui si spostano anche duecento chili di merce e che costa sessanta dollari.
L’interminabile trafila di calamità e tragedie che hanno colpito Goma in questi anni fa impressione. E intanto il vulcano continua a essere una minaccia e i terremoti si susseguono.
La popolazione sembra schiacciata in una situazione di perenne emergenza che fa fiorire i traffici e rimanda la soluzione dei problemi.
Al centro di una zona ricca di miniere, contesa da fazioni, milizie e vari signori della guerra, dove i saccheggi nei villaggi sono continui, non esiste nessuna legge e i capi villaggio hanno perso il tradizionale ruolo di protettori dei concittadini.
Villi mi racconta che è fuggito con i suoi figli dalla zona di Ruchuru. Sua moglie è stata uccisa durante i combattimenti. Altri parenti si nascondono nella foresta o sulle montagne, vicine all’Uganda.
Sono in migliaia gli sfollati fuggiti dalla regione di Rutchuru, ma anche da quella di Masisi e Walikale più a ovest. Moltissimi si sono riversati qui alla periferia di Goma, dove dal ’94 in poi, quasi senza soluzione di continuità, le ondate di profughi ruandesi, cacciati e massacrati, hanno lasciato il posto a masse di sfollati congolesi.
Ruchuru, Masisi e Walikale sono i punti critici di un conflitto nel conflitto. Qui la rivalità tra etnie autoctone e banyarwanda – congolesi di origine ruandese, arrivati durante l’epoca coloniale (e divenuti ormai maggioritari) – si infiamma nel 1991, cresce nel 1994, con l’arrivo di più di un milione di rifugiati hutu, e precipita con l’avvio della più recente «transizione democratica». Transizione che aggiunge ai vecchi antagonismi etnici e per il controllo della terra, nuove rivalità politiche. A questo quadro va aggiunto il fenomeno mayi mayi, particolarmente frammentato, ma molto presente e violento da queste parti, in chiave anti-banyarwanda.
Le migliaia di sfollati sparsi per la regione e ammassati nei campi di Goma sono il risultato di questa lotta infinita (senza principio e senza fine) per il controllo della terra e delle risorse.


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