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Tutti i santi giorni – Racconto 3° classificato del Lab di Febbraio 2014

Creato il 15 marzo 2014 da Visionnaire @escrivere

Cosimo e Giovanni sono ritti in piedi davanti alla tomba. Non c’è ancora la lapide; sul cemento grezzo, con il bordo di una cazzuola, un muratore ha scritto:
Elena Voralberg N: 15/08/1971 M: 07/01/2014
C’è solo una corona di fiori, “I tuoi cari”, appoggiata nell’angolo in basso. Il vento sta facendo turbinare le foglie secche tutto intorno.
«Ma non senti freddo?» Chiede Cosimo guardando l’amico con indosso una tuta da lavoro lisa e una cuffietta di lana, le mani ficcate in tasca.
«Eh, io sono abituato… sono mica come te che giri per gli uffici di mezzo mondo con quella tua giacchettina elegante!»
«Non sembra ma tiene caldo, sai?»
Giovanni tira fuori dalla tasca una busta bianca, la porge all’amico.
«Hanno trovato questa tra le sue cose. C’è il tuo nome sopra.»
Cosimo prende la busta e inizia a rigirarsela tra le mani. Ha gli occhi umidi ma non piange. L’ultima volta che ha pianto doveva avere dieci anni.
«Un incidente stradale, allora?» chiede.
«Già, mi dispiace che non sei riuscito ad arrivare per tempo, l’hanno dovuta chiudere subito… un coglione guidava mentre era al telefono, l’ha travolta sulle strisce e…»
Cosimo lo zittisce con un gesto della mano.
«Fa niente… siamo invecchiati, iniziamo a rivederci solo per i matrimoni e i funerali.»
Giovanni tace e si ritrovano entrambi a fissare oltre la tomba, oltre il corpo di Elena, oltre il muro e la morte.
Cosimo si sistema il collo della giacca di pannetto e dà due colpi di tosse.
«Vuoi sapere una cosa, Gio? Una cosa curiosa eh… io e Elena non abbiamo mai smesso di vederci. Oh, di amarci nel senso più pratico abbiamo smesso dieci anni fa, certo, niente più baci, niente più sesso né pizze… abbandonati tutti i progetti di una vita insieme e abbandonato anche il videonoleggio. Lei a seguire i suoi poeti maledetti, la Francia, le canzoni di Leonard Cohen… la ricerca del suo big bang… io invece volevo confini certi, volevo la macchina bella, qualche sicurezza, un lavoro che mi appagasse. Ognuno ha trovato la sua strada. Lei a fare la cazzona inconcludente e romantica, io a girare l’Europa in biz class, firmare contratti e cenare con cento euro a botta. Lei a battere scontrini alla cassa del discount e scopare con il capellone introspettivo di turno, io a sposarmi, tradire e divorziare con la puntualità di un Oregon Scientific. Ma ogni santo giorno di questi dieci anni ho riservato un pensiero, anche due minuti, solo per lei. Ci siamo rivisti lì, nella testa o chissà dove, senza incontrarci. Era un appuntamento fisso, succedeva all’improvviso, mentre facevo tutt’altro. Incredibile vero? Capitava così che io andavo in un caffè a Lione, e mentre guardavo il barista montare il latte pensavo a Elena, a quella volta che mi ha portato la colazione a letto e mi ha rovesciato il latte bollente sulle coperte. Il giorno del mio matrimonio con Carla, dopo la carrellata di primi sono andato in bagno a fumare, come ai tempi del liceo, e ho fatto una bella chiacchierata con Elena. Sì, nella mia testa… ci siamo fumati quella sigaretta insieme. Niente di trascendentale, io ero felicissimo con Carla, proprio due parole in amicizia. Poi, questa non la sai… poco dopo esserci mollati, io e Elena intendo, vado al bar dei pakistani alla stazione, e sul bancone vedo un foglio con i numeri del lotto. Di fianco al quarantadue c’è scritto -Elena- proprio con la sua calligrafia. Allora io ho scritto -Cosimo- sul quarantaquattro, il numero libero più vicino. Questa storia è continuata per qualche mese, finché non sono partito… mai vinto un cazzo, ma vedi, tutti i giorni eravamo vicini. Ogni volta che leggevo un brano dei suoi poeti, perché si comincia sempre con una poesia, lei era lì, col suo maglione rosso del primo appuntamento, quello col buco sulla spalla.
-I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno, essi sono altrove molto più lontano della notte, molto più in alto del giorno, nell’abbagliante splendore del loro primo amore-
Vedi, le ricordo ancora a memoria. Sai, fino a ieri avevo la certezza che un giorno ci saremmo cercati ancora, per davvero, in grande stile… telefonata, ciao come stai, aperitivo… ogni volta che ci balenava l’idea, perché di sicuro ci pensava anche lei, mi trastullavo un po’ e poi lasciavo perdere dicendo che potevamo aspettare ancora. Non è amore questo, non so come chiamare il filo che ci ha tenuto uniti tutto questo tempo. So solo che è grazie a quel filo se non mi sono perso del tutto in mezzo a questo mondo allo sfascio. In mezzo a tangenziali infinite di luci di stop, a cinesi che scaracchiano ai lati dei fossi; a calciatori tatuati come maori, non fanno altro che ridere… ridono mentre l’aereo che li porta da un capo all’altro del mondo sta bruciando gli stessi soldi che ci vogliono a comprare due ambulanze. E su quell’aereo ci sono anche io, di fianco ai calciatori. Mentre faccio la bella vita penso a Elena, che è rimasta lì, ferma alle cose essenziali e semplici. Sono quelle le cose più importanti Giovanni! Lei lo sapeva bene, me lo ricordava tutte le volte che ci incontravamo, tutte le volte che con la testa tornavo da lei, come a uno dei miei vizi. Sappi che l’unica cosa di cui avevo bisogno è sepolta dietro quel cemento. Ho perso la mia occasione Giovanni, tu e gli altri almeno le siete stati sempre vicino. Chissà dove ci incontreremo ancora, Elena… il nostro piccolo segreto ora è solo mio.»
Giovanni appoggia una mano sulla spalla di Cosimo; si sente sempre impacciato nei momenti drammatici. Cerca di non farsi vedere e con un finto colpo di tosse si toglie una lacrima dalla guancia sinistra.
Cosimo, dopo aver torturato la busta con le mani per tutto il tempo, la apre, ne tira fuori un foglio, lo legge velocemente e accenna un mezzo sorriso.
«Dai, offrimi un caffè prima di accompagnarmi in aeroporto…»
Gli porge la busta e si incammina svelto sul viale contornato dai cipressi, verso l’uscita.
Giovanni lo segue e, mentre arranca per stare dietro all’amico, non resiste alla curiosità e apre il foglio.

-Sì, Cosimo, tutti i santi giorni-

NOTA: La poesia citata (“I ragazzi che si amano”) è opera di Jacques Prévert, che ne è l’autore e ne detiene giustamente i diritti.

Il racconto che avete letto è opera di jonfen ed è risultato uno dei migliori tra quelli che hanno partecipato al Laboratorio di Febbraio 2014, vincendo a ex-aequo con ben altri due racconti. In seguito è stata necessaria un’ulteriore votazione (da parte del vincitore dello scorso Lab questa volta) per decretare a chi spettasse il podio e questo testo si è classificato terzo. Il tema da seguire era stato scelto da Ariendil (vincitore del Lab di Gennaio 2014).

La traccia scelta da Ariendil era: Il monologo.

Il limite di lunghezza era di 6000 caratteri (spazi inclusi). Il racconto doveva contenere un monologo, con dei vincoli piuttosto impegnativi:
1. doveva essere sotto forma di discorso diretto;
2. doveva essere inserito all’interno di un dialogo tra due o più personaggi;
3. doveva rappresentare almeno un quarto dell’intero racconto.

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    jonfen

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