Paura. Una parola che si insinua nella mente come un germe inarrestabile. Soprattutto quando indotta. Come un tumore che si annida nelle parti più nascoste del corpo, viene alimentato da noi stessi, inconsapevolmente, dalla nostra voglia di chiarezza che porta a credere alla spiegazione più semplice. E poi, d'un tratto, dispiega i suoi effetti. Così è accaduto negli Stati Uniti all'indomani del 11 settembre 2001, così ci sono i primi segni possa accadere anche nella vecchia e "saggia" Europa.
La pagina più nera in tema di libertà negli USA è stata scritta non con il crollo delle torri gemelle, bensì con l'entrata in vigore del Patriot Act. George W. Bush ci mise poco più di un mese a firmarlo, all'inizio facendolo passare come una legge transitoria e d'emergenza - e di "emergenze" senza fine in Italia abbiamo grande esperienza - e poi di volta in volta prorogata fino a oggi. Vennero rafforzati i poteri e le libertà d'azione di FBI, CIA e NSA, rimosse le restrizioni sul controllo delle conversazioni telefoniche, delle chat, delle e-mail, delle cartelle cliniche, delle transazioni bancarie, sulla segretezza dei colloqui tra detenuti e legali. Addirittura si arrivò a dichiarare legittime le perquisizioni effettuate senza avviso e presenza del diretto interessato e consentire arresti di non meglio definiti "combattenti" sulla base di semplici sospetti. Una legge dichiarata, nella parte in cui prevedeva tabulati telefonici e Internet di sospettati senza mandato della magistratura e notifica agli indagati, incostituzionale - e anche in questo in Italia siamo dei veterani. Il tutto utilizzando una definizione di "atti terroristici" un tantino troppo di libera interpretazione: "atti che appaiono tesi ad influenzare la politica di un governo con l'intimidazione o la coercizione".
Adesso, all'indomani dell'attentato al Charlie Hebdo, si invoca anche in Europa una legge che dia poteri tali agli Stati da far sentire al sicuro i cittadini. Una specie di Patriot Act nostrano, che "almeno" cancelli l'accordo di Schengen.
A questo punto bisogna fare un passo indietro. L'accordo, datato 1985, coinvolge a oggi 26 Stati: Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, Francia, Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Slovenia, Ungheria, Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Germania, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Svezia, Norvegia e Islanda. L'accordo prevede che i confini siano liberamente attraversabili dai cittadini dei Paesi aderenti. Tale norma, e soprattutto il suo allargamento, ha fatto molto parlare. L'ultima volta che è salito all'onore delle cronache è stato quando con l'entrata di Polonia, Romania e Bulgaria (questi ultimi due al momento aderenti ma non ancora membri a tutti gli effetti) si è temuta una immigrazione in massa di cittadini dell'Est che, attratti dal luccichio dei Paesi più ricchi, sarebbero potuti venire a cercare occupazione "rovinando" il mercato del lavoro europeo - o peggio ancora pretendendo paghe all'altezza del loro nuovo Paese ospitante. Che il timore sia proprio questo lo dimostra il continuo rimandare la data dell'effettivo calo delle frontiere rumene e bulgare soprattutto per l'opposizione tedesca. Forse non è un caso che proprio Romania e Bulgaria abbiano il triste primato del più basso costo del lavoro in tutta Europa: tutto sommato è conveniente che rimangano a casa loro e che siano le aziende a delocalizzare, sfruttando la libertà di movimento di capitali a discapito di quella delle persone, questo il ragionamento.
In quest'ottica, forse non è un caso nemmeno che a invocare un cambio di Schengen - per carità, "solo" per proteggerci dal terrorismo - siano quei Paesi che in questi anni hanno visto una forte immigrazione di lavoratori dalle periferie d'Europa, in testa Inghilterra, Francia, Germania (nonostante le ultime "morbide" dichiarazioni in proposito della Merkel). E allo stesso tempo non è un caso che invece l'Italia si sia subito schierata con la libertà di circolazione, per non ritrovarsi tutti gli immigrati che usano il Bel Paese solo come ponte verso il Nord d'Europa rispediti al confine soprattutto ora che il lavoro scarseggia in Italia anche per loro.
La macchina in ogni caso si è messa in moto. Nelle stanze dei bottoni entro fine mese si incontreranno i ministri degli Esteri e i ministri degli Interni degli Stati membri. Temi caldi saranno le regole di Schengen, la condivisione di informazioni, la circolazione di armi, il controllo di Internet e l'istituzione di una banca dati dei passeggeri aerei.
Chissà che dopo aver sfilato per le vie di Parigi in nome di una libertà di espressione che non gli appartiene più, la folla non sfili a favore dell'annientamento delle libertà civili. Per pura, semplice, inoculata e terroristica paura.