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UE: i benefici dell’allargamento per l´Est Europa

Creato il 01 settembre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Davide Denti

questo articolo è stato selezionato per la prima pagina di Paperblog, 2 settembre 2011

“Dubcek direbbe che poteva andare diversamente; che almeno lui ha fatto in tempo a vedere la differenza a volte astratta tra un regime imposto con i carri armati ed uno imposto più sottilmente col dollaro, il marco, l’euro.
I tedeschi si sono comprati perfino la Skoda. La fabbrica!
Come souvenir ho preso trenta confezioni di wafer “Tatranky”, pacchetti tipo loacker ma molto più buoni. Solo dopo qualche giorno ho notato un marchio un po’ nascosto: Danone… Danone
Ci hanno davvero preso tutto! ci hanno preso tutto.”

Sono le parole di “Tatranky”, sulla musica degli Offlaga Disco Pax. Ma hanno ragione? Davvero l’Europa centro-orientale si è trovata di fronte ad una svendita, letterale quanto metaforica, della sua produzione industriale e della sua anima? E quanto ci hanno guadagnato, in cambio?

UE: i benefici dell’allargamento   per  l´Est Europa
Per rispondere a quest’ultima domanda, c’è un interessante studio del 2009 di due economisti polacchi, Ryszard Rapacki e Mariusz Próchniak, della Warsaw School of Economics, pubblicato dalla Commissione Europea. Rapacki e Próchniak analizzano il contributo dell’allargamento UE alla crescita economica e alla convergenza dei livelli di vita, nei 10 nuovi paesi membri UE dell’Europa centro-orientale (CEE-10).

Il primo livello di analisi riguarda la convergenza nei livelli di reddito e di sviluppo tra UE-15 e CEE-10. Secondo la teoria economica neoclassica della crescita (Solow, 1956; Mankiw et al., 1992), un’economia meno sviluppata cresce più velocemente, finché tende a raggiungere gli stessi livelli di sviluppo e di crescita dei paesi più sviluppati. Dall’altra parte, la convergenza si ottiene anche dalla progressiva riduzione dei differenziali tra il PIL pro capite dei paesi avanzati e di quelli meno avanzati. Empiricamente, in base ai dati di Rapacki e Próchniak, i paesi CEE-10 hanno registrato una crescita economica più forte di quelli UE-15 nel periodo 1996-2007; più bassi i livelli di PIL di partenza, più alti i livelli di crescita annua. Questo forte effetto di convergenza ha portato il differenziale tra il PIL medio pro capite delle due aree a ridursi: se nel 1996 il PIL medio pro capite dei paesi CEE-10  ($ 8,097) corrispondeva a circa un terzo di quelli UE-15 ($ 21,119), nel 2007 tale relazione si era ridotta a circa il 50% ($ 16,516 e $ 33,234, rispettivamente). In particolare, la convergenza ha accelerato dopo il 2000, con l’avvicinarsi della data dell’allargamento. Resta il problema che la convergenza rallenta man mano che procede: con lo stesso andamento del decennio 1996-2007, ci vorrebbero altri 25 anni per dimezzare la distanza tra UE-15 e CEE-10.

Un secondo livello di analisi concerne la convergenza del PIL a livello regionale (NUTS-2). Anche qui, i dati pubblicati dalla Commissione Europea confermano alcune tendenze chiave: la riduzione del divario tra EU-15 e CEE-10, così come la mancanza di una convergenza assoluta: i differenziali di reddito e salari permangono, per quanto ridotti.

La prima mappa, qui sotto, indica i livelli di PIL pro capite, per regione, nel 2007. Si notano chiaramente la fascia dei territori più ricchi: Londra, Benelux, Renania, Baviera, Tirolo, Italia nord-orientale; ma anche il permanere del divario dei livelli di PIL: con l’eccezione di Slovenia, Repubblica Ceca ed Estonia, e di alcune regioni capitali, tutti i paesi dell’Europa centro-orientale si trovano ai livelli più bassi di reddito, pari solo a quelli del Portogallo settentrionale e di alcune regioni greche.

UE: i benefici dell’allargamento   per  l´Est Europa
La seconda mappa mostra i cambiamenti nei livelli di PIL pro capita tra 2000 e 2007. Quasi come un negativo della prima, qui si può vedere come tutti i paesi CEE-10 abbiano goduto di una crescita del PIL pro capite, mentre i paesi dell’UE-15 segnano il passo con valori spesso negativi.

Andrew Watt, su Social Europe, concorda nel dire che il processo di convergenza esista ed è positivo, portando verso una progressiva equalizzazione dei livelli di PIL e di reddito nelle diverse regioni dell’UE. In meno di un decennio, la percentuale della popolazione che vive in aree a più del 125% del livello medio di PIL pro capite UE è scesa da un quarto ad un quinto, mentre quella di chi vive in aree a meno del 50% dei livelli medi è scesa dal 14% al 10%. Il 55% dei cittadini UE nel 2007 vive in regioni di reddito medio (tra il 75% e il 125% della media), con una crescita del 7% rispetto al 2000.

L’impressionante processo di convergenza dei nuovi stati membri a livello nazionale rispetto all’europa occidentale, secondo Watt, va di pari passo con una più spinta convergenza intra-nazionale negli stati UE-15, dove le regioni più povere colmano la distanza con quelle più ricche. Ciò non avviene, tuttavia, nei paesi CEE-10, in cui la crescita del PIL e dei redditi restano spesso concentrate alle città capitali e alle aree più industriali.

Watt indica infine tre sfide di cui tenere conto, nel dibattito sulla convergenza:

1 -  La progressiva tendenza alla crescita delle disuguaglianze sociali all’interno delle società europee;

2 -  La caduta dei livelli di reddito in alcuni paesi, per periodi anche prolungati, che può essere una delle ragioni della progressiva convergenza, come nel caso dell’Italia;


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COMMENTI (1)

Da davidedenti
Inviato il 02 settembre a 17:41
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Si è persa l'ultima frase:

3- Infine, l’effetto della presente crisi economica e finanziaria, che rischia di colpire più fortemente proprio le aree che hanno sperimentato una maggior crescita ed un effetto di convergenza nell’ultimo decennio, con il rischio di una minor crescita nei prossimi anni ed un ulteriore rallentamento del processo di convergenza su scala continentale.

Grazie, ciao : Davide Denti