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UEFA vs. TPO: chi vincerà? Una sfida da 3 miliardi di dollari!

Creato il 26 marzo 2013 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

La notizia non è nuova e, forse, non ha avuto una grande diffusione in Italia perché il nostro è un mercato sul quale la pratica della TPO (Third-Party Ownership, ovvero titolarità di terze parti sul cartellino di un giocatore) non si è ancora presentata. Verrebbe da dire "per fortuna", visto che abbiamo già la figura "ibrida" delle comproprietà che, seppur magari nata per motivi nobili, è stata ed è utilizzata spesso con ben altri fini.

Stiamo però parlando di un mercato che movimenta circa 3 miliardi di dollari all'anno e che in alcuni paesi ha ormai raggiunto livelli di diffusione importanti. Secondo quanto riporta il sito Sport Business, in Brasile circa il 90% dei giocatori del campionato di Serie A sono in qualche modo legati a questa pratica. E, purtroppo, quando si affrontano tematiche che muovono così ingenti quantità di denaro, gli interessi in gioco sono tali da condizionare fortemente il mercato e le decisioni prese anche a livello normativo.

L'affondo della UEFA

Vi avevamo già segnalato che in occasione della riunione del Comitato Esecutivo UEFA del 6 dicembre 2012 era stata presa una decisione destinata a generare un enorme impatto sul calciomercato internazionale: il cartellino dei calciatori non potrà essere proprietà di soggetti terzi. La  UEFA, attraverso il suo Consiglio Strategico per il Calcio Professionistico (PFSC), sarebbe comunque pronta ad applicare un quadro normativo che vieti accordi di proprietà con soggetti terzi nelle competizioni UEFA, anche nel caso in cui la FIFA non dovesse adottare provvedimenti adeguati. In quel caso ci sarebbe un periodo di transizione di tre-quattro stagioni.

Tale decisione è stata reiterata nel corso di un editoriale del Segretario Generale UEFA, Gianni Infantino, dal quale abbiamo estratto i punti principali.

Ma, prima, ci piace impegnare due minuti del vostro tempo per provare a spiegarvi in maniera semplice che cosa sia questa famigerata TPO. Anche di questo avevamo parlato nello scorso mese di luglio, ma … rinfreschiamoci la memoria!

La TPO – Third-Party Ownership

L'acquisto di giocatori di "proprietà di terze parti"  è molto diffusa in Sudamerica e sta prendendo piede in alcune nazioni europee (in Portogallo è stata usata in maniera estensiva ed esistono esempi anche in Spagna).

Alcune società non calcistiche, veri e propri fondi di investimento, acquistano una percentuale del cartellino di un giocatore, spesso ancora giovane e poco conosciuto, scommettendo su una sua crescita, per poi ottenere un guadagno quando lo stesso accede a campionati più ricchi (in particolare, quelli europei).

I vantaggi della TPO per i Club

Il vantaggio per i club di calcio, anche e soprattutto ai fini delle future norme sul Financial Fair Play, sta nel minore investimento necessario per assicurarsi le prestazioni sportive del giocatore. Ciò si traduce in:

  • un esborso finanziario più contenuto
  • un minore costo per ammortamento a conto economico

generando quindi un doppio beneficio perché consente un maggiore utile di esercizio e una maggiore disponibilità di risorse da spendere.

Ovviamente la Società sa che, al momento dell'eventuale vendita del calciatore dovrà condividere con gli altri proprietari il guadagno. Ma (aldilà del fatto che il guadagno potrebbe essere anche una perdita) questo potenziale minor utile futuro è un prezzo da pagare che potrebbe essere considerato congruo in virtù dei benefici che genera nella gestione ordinaria della società.

Le critiche

Una delle controindicazioni di questa pratica, che è addirittura vietata in alcuni campionati (ad esempio la Premier League), è che non sempre gli investitori "non calcistici" garantiscono un adeguato livello di trasparenza e, quindi, dietro le società che si prestano a queste iniziative potrebbero nascondersi fini poco leciti.

L'altra, sebbene meno evidente, è che i vantaggi apparenti per la squadra che utilizza questo sistema potrebbero in realtà trasformarsi in svantaggi perché non consentono al management di percepire con chiarezza se il modello di business impostato è corretto, oppure se non si stia continuando a tenere in vita – attraverso strumenti esclusivamente di natura finanziaria – una struttura di costi del club di calcio che in realtà non è sostenibile ed andrebbe cambiata.

Infine, solo per citare le tre più evidenti, l'interesse dei fondi che investono sui calciatori per averne un beneficio squisitamente finanziario potrebbe non essere completamente allineato con il concetto sportivo, sia nella fase di selezione dei giovani, sia nella successiva gestione che – stanti gli stretti contatti con le squadre di calcio – potrebbero facilitare l'adozione di criteri di valutazione dei calciatori slegati dal loro effettivo valore e dipendenti da necessità di bilancio.

Queste sono le osservazioni che avevamo fatto in un nostro post dello scorso mese di luglio 2012. Gianni Infantino ne aggiunge delle altre e definisce meglio le motivazioni alla base della forte opposizione UEFA a tale pratica

Le dichiarazioni di Infantino

In prima istanza, bisogna tenere in considerazione questioni di natura etica e morale. E' giusto che una terza parte detenga i diritti economici su una persona e possa di fatto commercializzarli? Un comportamento simile non troverebbe spazio nella società e lo stesso vale per il calcio. I calciatori (come ogni altro individuo) devono avere il diritto di scegliere in autonomia il proprio futuro.

In seconda battuta, è necessario proteggere l'integrità della competizione sportiva. Che cosa accadrebbe se una società terza detenesse i diritti sui cartellini di giocatori che militano in club diversi? Il rischio di un conflitto di interessi sarebbe evidente e la UEFA, oggi più che mai, deve vigilare su ogni possibile eventualità che possa portare alla manipolazione dei risultati sportivi.

Il terzo punto da considerare è il modello economico che le terze parti mirano a introdurre e che prevede un cambio di casacca frequente per i giocatori. Molto semplicemente, maggiore è il numero di trasferimenti, maggiore è il profitto per i proprietari dei cartellini. Questo scenario porterebbe a un'instabilità contrattuale e alla perdita dei ricavi a lunga scadenza in ambito sportivo.

Il quarto punto da considerare è che questo tipo di pratica è del tutto estranea alla filosfia economica e sportiva del fair play finanziario, che prevede l'autosufficienza economica dei club. Le società calcistiche non devono poter contare su investimenti di terze parti per acquistare giocatori che altrimenti sarebbero al di fuori della loro portata. Sul lungo periodo, questa pratica porterebbe ad esiti negativi sia per i club che per i giocatori. Accordi-lampo e soluzioni contrattuali a breve scadenza confliggono con le regole e i principi del fair play finanziario.

Per chi volesse approfondire la questione sotto il profilo tecnico, segnaliamo un interessante set di articoli (in inglese) a firma dell'avvocato Daniel Geey che trovate sul suo sito www.danielgeey.com, oppure nell'edizione dello EPFL Sports Law Bulletin del mese di Settembre 2012.

Sulla sua timeline di Twitter (@FootballLaw) ha comunque postato una serie di riflessioni "a caldo" sui quattro punti elencati da Infantino. Daniel Geey è totalmente d'accordo con le osservazioni di cui al punti 2 e, seppure concettualmente contrario alla logica del TPO osserva quanto segue: 

a) Titolarità di diritti su una persona: da un punto di vista tecnico, il contratto TPO non crea un diritto sulla persona, ma una "proprietà" su una quota del futuro diritto di trasferimento;

b) Instabilità contrattuale: osservazione corretta, tuttavia possono essere proprio i calciatori ed i club a volere il trasferimento;

c) Incoerenza con le regole del FFP: comprensibile, ma molti osservano che – se correttamente usata – possa essere una forma alternativa ad un prestito bancario per finanziare l'attività della squadra.


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