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U.F.O. e alieni nella storia dell’ Uomo

Creato il 25 maggio 2015 da Dariosumer
U.F.O. e alieni nella storia dell’ Uomo
Per chi confonde ancora la fantascienza con l’ufologia, ovvero la minaccia di un’impossibile invasione marziana con lo studio scientifico degli oggetti volanti non identificati, è lecito sostenere che la cosiddetta "era dei dischi volanti" sia nata con la fine del secondo conflitto mondiale e si sia sviluppata, a partire dagli anni cinquanta, riflettendo da un lato l’eterno anèlito dell’umanità ad una pace finalmente duratura e impersonificando, dall’altro, la voglia di cercare "fuori della Terra" qualcosa di nuovo e di positivo, che aiutasse a dimenticare in fretta gli orrori della guerra.
Se tutto questo rappresenta per i sociologi un’innegabile realtà, le cui implicazioni filosofiche vengono oggi riprese, alla fine dell’era tecnologica postmoderna, dalla corrente di pensiero chiamata "New Age", al contrario per la Paleoastronautica (branca dell’Ufologia, chiamata anche Archeologia Spaziale o Clipeologia, dal latino clypeus = scudo rotondo) le tracce inconfutabili della presenza di entità extraterrestri nel passato dell’Uomo si perdono nella notte dei tempi, dimostrando che l’evoluzione della specie umana, caratterizzata da quegli "improvvisi" ed "inattesi" balzi nel progresso della civiltà che ancor oggi stupiscono antropologi ed archeologi, è stata attentamente e costantemente seguita da non meglio definibili civilizzazioni aliene.
La loro superiore tecnologia consentì ad un essere bipede, che ancora non conosceva l’uso della ruota (la prima rappresentazione della ruota è nelle tavolette d’argilla di Ur, Mesopotamia, 3.500 a.C.), di erigere manufatti così perfetti da sfidare oltre 15.000 anni di insidie naturali, con una precisione tale da far allibire gli ingegneri ed i tecnici del nostro tempo.
E’ evidente, pertanto, come un impatto culturale di queste dimensioni dovesse inevitabilmente suscitare nell’intimo dei nostri antichissimi progenitori, agli albori di un percorso di civilizzazione che si presentava tutto in salita ed in cui la vita media dell’individuo si limitava a pochi decenni, una forma di considerazione del tutto speciale nei confronti di quegli "esseri misteriosi venuti dal cielo". Una venerazione, insomma, mista di gratitudine per le inimmaginabili conoscenze di cui li facevano partecipi, ma anche di forte timore reverenziale, derivato dall’intuizione dell’enorme superiorità tecnologica da essi mostrata. E’ logico quindi attendersi che i nostri antenati ritenessero gli extraterrestri delle divinità, come il tuono e la folgore, la luna ed il sole e tutti gli altri eventi naturali che ancora non erano riusciti a interpretare: un po’ come quello che accadde a Francisco Pizarro al suo arrivo tra gli indios peruviani; a parte le intenzioni, naturalmente...
Cominciarono allora a tramandarsi oralmente, di padre in figlio, che fungeva da "iniziato", quei misteri circa "gli dèi venuti dal cielo", finché non avvertirono l’esigenza di fissare nel tempo le immagini di quegli eventi e di quei personaggi che così profondamente avevano colpito la loro sensibilità. Così una selce, impiegata come punta di freccia o come coltello, tracciò sulle pareti di una grotta buia e densa di fumo alcuni eloquenti ideogrammi: un "disco" con tanto di supporti d’atterraggio, figure vagamente umane con il capo nascosto da una specie di casco munito di antenne, rappresentazioni di esseri contornati da aura luminosa, ecc.
Così, lasciando testimonianze tangibili dall’Irlanda al Sahara, dalla Spagna alla Mongolia, dalla Val Camonica all’Australia, dal Canada al Perù, l’Uomo lentamente imparò ad uscire dalle oscure caverne, che lo proteggevano ma ne limitavano nel contempo lo spaziare su più ampi orizzonti; ed esercitando la meravigliosa dote della curiosità, che l’avrebbe un giorno fatto ripartire verso le stelle, alla ricerca dei suoi "dèi", di quegli esseri superiori che tanto avevano inciso nel suo cammino, uscì spettatore dalla preistoria ed entrò protagonista nel proprio futuro.
❖ Ed è ora questo cammino che ripercorreremo insieme.

Incisione rupestre scoperta in Perù da Christine Dequerlor.
Confronto proposto dal Prof. Kasanzev - e ripreso da Kolosimo - tra un graffito rinvenuto nell’Uzbekistan ed una misteriosa incisione della Val Camonica.
Incisione rupestre di Derrynablaha (Country Kerry, Irlanda).
In tutti e quattro i casi, sul capo di un misterioso personaggio appare la strana figura raggiata, che sembra
essere la riproduzione stilizzata di un’entità soprannaturale. Datazione presunta: 9.000 anni fa.
Disegno rupestre scoperto in una caverna australiana da Erich von Daniken.
Graffiti scoperti in varie grotte della Francia, della Spagna e delle Americhe, raffiguranti ideogrammi riferibili ad UFO e risalenti tra il 12.000 ed il 10.000 a.C., raccolti nel volume: <<La chronique des OVNI>> dal Direttore della Società Belga d’Ufologia, Michel Bougard.
Emblematica incisione a forma di "razzo" con alette direzionali scoperta su una lastra tombale preistorica a Matsubase (Kyushu, penisola di Udo - Giappone).
Dischi di pietra di Bayan-Kara-Ula. Furono scoperti nel 1938 da un gruppo di archeologi in una grotta al confine tra Cina e Tibet, insieme a numerose tombe contenenti scheletri di umanoidi stranamente conformati: corpo molto sottile, statura non superiore al metro e mezzo, braccia lunghe fino al ginocchio, cranio sovrasviluppato. Analizzati presso l’Università di Pechino, nei 715 dischi è stata riscontrata un’elevata percentuale di cobalto e la datazione col metodo al radiocarbonio li fa risalire a 12.000 anni fa. Larghi una quarantina di cm., sono dotati di un foro centrale e presentano su entrambe le facce un testo ideografico a caratteri minutissimi, inciso a forma di spirale continua: l’equivalente di un moderno "microsolco".
Una volta decifrati, gli ideogrammi raccontano una storia che ha lasciato sconcertati gli studiosi cinesi, tanto che le autorità accademiche di Pechino ne hanno vietato la divulgazione. Una navicella spaziale aliena si era schiantata a causa di un guasto tra quelle impervie montagne; gli occupanti, appartenenti al popolo dei Dropa, non riuscirono a riparare il guasto né a costruire un altro velivolo per ripartire. I superstiti furono quindi condannati a passare il resto della vita in quelle grotte, incrociandosi con le tribù primitive autòctone, che in un primo momento li decimarono, ritenendoli "creature mostruose e maligne, scese dalle nubi con un oggetto volante", ma che in seguito compresero le loro intenzioni pacifiche.
Epoca delle Piramidi e civiltà ad essa connesse, in particolare la correlazione tra l’allineamento delle tre Grandi Piramidi e la posizione delle stelle della cintura di Orione (Zeta Orionis, Epsilon Eridani e Delta Ursa minor). E' dimostrabile infatti come non sia sempre applicabile la datazione col metodo al radiocarbonio e come lo sviluppo recentissimo delle mappe stellari, grazie all’elaborazione computerizzata della volta celeste, porti inesorabilmente alla retrodatazione delle Piramidi della Piana di Giza (Cheope, Chefren e Micerino) fino al 10.500 a.C. : il che corrisponderebbe al dover "riscrivere" tutta la storia, con le implicazioni facilmente intuibili...
"Stonehenge", il mitico sito delle "pietre sospese", il più noto monumento megalitico del mondo: primitivo (ma perfetto) osservatorio astronomico, calendario cosmico perpetuo o luogo di sacrifici (anche umani) degli antichi Drùidi ? Va poi aggiunto anche che il fenomeno dei cerchi nel grano non è limitato all’ultimo quarto del nostro secolo, ma è un mistero che si tramanda perlomeno dal 1678, data che troviamo su una stampa inglese. Questa ipotizzava come causa dello strano evento l’attività di un dispettoso quanto nottambulo "diavolo mietitore" o l’effetto del potere psicocinetico dei sacerdoti druìdici. Curiosa è infine la decifrazione, da parte dell’archeologo Green, dell’enigmatico agriglìfo comparso nello Wiltshire nel 1991 e pubblicata nel libro dell’antropologo tedesco Michael Hesemann <<Gli Extraterrestri sono tornati>>.
Ricostruzione grafica, eseguita a Bangalore nel 1923 dal disegnatore Ellappa su istruzioni del Pandit Subbaraya Sastri, delle VIMANAS, leggendarie "macchine volanti" descritte con incredibile precisione e dovizia di particolari nell’antico documento sànscrito intitolato VYMAANIKA SHAASTRA, risalente a circa 4.000 anni fa. In esso, oltre a dettagli tecnici sul funzionamento di armi nucleari e di sofisticati sistemi di intercettazione di velivoli nemici (missili aria-aria), vengono descritti quattro tipi di aeromobili, che si muovevano a propulsione solare, a energia elettromagnetica e a mercurio. In particolare, il Tripura Vimana <<...è composto di tre piani: il primo lavora a terra; il secondo può lavorare sia sopra che sott’acqua; il terzo lavora in aria. Unendo le tre parti, il velivolo può lavorare tutto in aria...>>. Inoltre nel testo sono citati 532 tipi di propulsione, 16 qualità di metalli per costruire i velivoli, 27 qualità di lenti per spiare il nemico da lontano, 32 sistemi differenti per produrre energia elettrica (con motori a sfregamento, a caduta d’acqua, a combinazioni chimiche, a raggi solari, col calore, ecc.) e vengono descritte apparecchiature moderne, quali il radar e la dinamo.
I resti della fiorente città di Mohenjo-Daro che, insieme con la gemella Harappa, rappresentò l’insediamento più importante delle civiltà della Valle dell’Indo (attuale Pakistan), paragonabile a quelle mesopotamica ed egizia. Entrambe avevano un perimetro di oltre 5 km. e contavano circa 40.000 abitanti, tanto da essere considerate le città più grandi del mondo antico ed entrambe subirono la stessa, incredibile sorte: in un attimo furono letteralmente "incenerite", insieme con la loro fiorente civiltà, intorno al 2.000 a.C. L’archeologo David Davemport e il giornalista italiano Ettore Vincenti studiarono a fondo quella fine misteriosa e repentina e scoprirono tra le macerie delle due città alcuni oggetti (bracciali, anfore, pietre...) che apparivano come "fusi" o, per meglio dire, "vetrificati" per effetto di un intenso calore, cui seguì un subitaneo raffreddamento. I reperti furono sottoposti ad analisi da parte del CNR di Roma, il quale fornì un responso sorprendente. La fonte di calore che diede origine al processo di "vetrificazione" non poteva essere inferiore ai 1.500 gradi, temperatura di gran lunga superiore a quella che solitamente si raggiunge in occasione dell’incendio di una città. Inoltre la diversa altezza delle rovine, in rapporto ad un presunto epicentro, può essere spiegata ipotizzando una grande esplosione nucleare in quota (come nel caso di Tunguska, Hiroshima e Nagasaki), che avrebbe prodotto un’onda d’urto tale da abbattere le abitazioni in relazione alla distanza. Ma chi poteva disporre di ordigni termonucleari 4.000 anni fa ? Di certo non gli abitanti di Mohenjo-Daro; d’altronde non esistono in natura eventi catastrofici in grado di provocare un simile effetto. E allora ? Ancora una volta ci viene in aiuto la tradizione popolare: il Ramayana e il Mahabharata, due poemi epico-mitologici dell’antica India redatti in sànscrito, lingua di cui Davemport era esperto, forniscono preziosissime notizie circa i VIMANAS, elaborando le quali l’archeologo inglese, prematuramente scomparso, giunse a formulare l’ipotesi secondo cui, probabilmente, le due città furono distrutte in seguito alle dispute fra esseri extraterrestri per il predominio sullo sfruttamento dei giacimenti metalliferi (di cui parla anche Zecharia Sitchin nel "12° Pianeta") oppure per "dare una dimostrazione di potenza" agli abitanti del luogo, che si erano ribellati alle loro imposizioni. Teoria azzardata, ma anche molto affascinante.
Mitica Torre di Babele (Etemenanki = il luogo ove la terra si unisce al cielo), il più imponente ZIGGURAT di tutta l’antichità, citata nella Genesi biblica e dal grande storico greco Erodoto di Alicarnasso, che ne fu testimone oculare nel 460 a.C. Secondo un’antichissima leggenda, ripresa dall’archeologo Z.Sitchin, sulla piattaforma superiore di queste enormi piramidi a gradoni le "divinità" assumevano "natura corporea": è fin troppo facile ipotizzare, vista la singolare struttura del manufatto, che in realtà potesse trattarsi di "rampe d’attracco per veicoli spaziali", sulle quali si "manifestavano" cosmonauti alieni.
Mitica "Arca dell’Alleanza", di cui ampiamente si parla nel Libro dell’Esodo. Da tutti ormai è abbandonata l’ipotesi che si trattasse esclusivamente di un oggetto cultuale e molti si sono sbizzarriti nell’azzardare la reale funzione di essa. Secondo alcuni si sarebbe trattato di un’apparecchiatura radioricevente (<<...Yahwé comunicherà a Mosè tutti gli ordini per i figli d’Israele...>>); per altri avrebbe contenuto materiale radioattivo, in uso forse agli alieni che guidavano il popolo ebraico (doveva sempre essere avvolta in tre pesanti drappi = schermata ?; i Filistei che se ne impadronirono furono colpiti da piaghe ed esantemi = dermatite da radiazioni ionizzanti ?; Aronne, per avvicinarsi, doveva indossare una veste ed una visiera speciali = tuta protettiva ?). Infine c’è chi sostiene trattarsi di un accumulatore elettrico, caricato con una tensione di circa 600-700 volt, che si comportava esattamente come una <<bottiglia di Leyda>> (il materiale di cui l’Arca era composta non era proprio legno, ma una sostanza fibrosa tratta da un tipo d’acacia, leguminosa mimosoidea tipica di quei luoghi, da cui si estraeva la gomma = isolante ?; andava sempre trasportata sospesa a due stanghe di legno = per interrompere il flusso della corrente ?; Oza, comandante della guardia di Re Davide, per impedire che l’Arca si rovesciasse, allungò istintivamente la mano per sorreggerla e morì all’istante = cadde fulminato ?).
La manna nel deserto: il 1° aprile 1976 l’autorevole periodico <<New Scientist>> pubblicò un interessante articolo, che non voleva essere il classico "pesce", dell’ingegner Sassoon e del biologo Dale, secondo i quali la manna, provvidenziale alimento per il popolo d’Israele nel deserto, sarebbe stata una sostanza ricca in carboidrati prodotta da una speciale macchina di indubbia provenienza "aliena", sempre che si voglia accettare l’ipotesi che gran parte delle vicissitudini del popolo ebraico, come del resto dell’umanità, fosse guidata dalla presenza "discreta" (e per questo ritenuta "divina") di entità extraterrestri. Stando agli studi dei due tecnici, la singolare macchina produttrice della manna, che viene descritta in un testo ebraico appartenente alla Kabbala (il libro esoterico-iniziatico dei sacerdoti giudei), era in sostanza un’incubatrice in cui era coltivata un’alga commestibile ricca di maltosio ed era in grado di fornire 1,5 m.3 di sostanza nutriente per giorno.
I carri di fuoco nell'antichità: ricordate la celebre "visione del carro di fuoco" del profeta Ezechiele, avvenuta nel 593 circa a.C., la cui descrizione nell’omonimo libro dell’Antico Testamento (1°, vers.1-28) inizia con le parole <<...E il cielo si aprì...>> ? Josef Blumrich, ingegnere aerospaziale e progettista per conto della NASA (si devono a lui la struttura del "booster" del Saturno V - che ha portato l’Uomo sulla Luna - e la navicella Skylab), ha ricostruito nei minimi dettagli tecnici il presunto veicolo spaziale che sarebbe atterrato nel deserto di fronte allo sbigottito profeta ed ha appurato che esso non contrasterebbe affatto con le leggi della "nostra" aerodinamica e, pertanto, sarebbe in grado di volare perfettamente. Questo, ovviamente, non per viaggi interstellari, bensì come "modulo" di trasferimento tra una nave-madre in orbita e la superficie del pianeta. L’ipotesi di lavoro di Blumrich è stata tradotta in oltre 15 paesi.
Babilonia: ma altre documentazioni scritte, o meglio incise nell’argilla, confermano la presenza in tempi remotissimi in Mesopotamia di strani personaggi "portatori di conoscenza e creatori di nuove forme di vita". E’ quanto si apprende dalla decifrazione delle iscrizioni a caratteri cuneiformi, impresse nelle tavolette d’argilla dalle popolazioni delle antiche civiltà accadiche, sumeriche e assiro-babilonesi, vissute intorno al 5.000 a.C. nella piana fra il Tigri e l’Eufrate.
Gli strani esseri di Lunigiana: nel Museo delle statue-stele nel Castello di Pontremoli (Lunigiana), ove sono raccolte le enigmatiche rappresentazioni neolitiche (1.500 a.C.) di misteriosi "esseri senza bocca" e "uomini invisibili" che, secondo l’interpretazione di Peter Kolosimo, altro non sarebbero che le "fotografie" in pietra di antichi astronauti, col volto occultato dal casco spaziale. Questo articolo di Giorgio Pattera è apparso nel giugno scorso sul n.° 12 di Notiziario UFO, organo ufficiale del Centro Ufologico Nazionale.
Gli Uomini Blu sardi: bronzetti ritrovati nel grande complesso nuragico di Barrùmini (Sardegna) e risalenti al 1.200 a.C. Da notare la presenza di grandi occhi rotondi, a volte in numero di quattro, e di elmi sormontati da bizzarre appendici, che in un primo momento fanno pensare a corna, ma che in realtà, secondo le remotissime tramandazioni orali delle popolazioni protosarde raccolte e studiate da Raimondo De Nuro, sarebbero << le antenne degli "uomini blu", in grado di captare le "voci" degli abitanti di mondi lontani >>. Extraterrestri ? Forse...
L’enigma del caducéo. Su una statuina in oro, raffigurante il Faraone Ramsete II, così come in alcune incisioni della cultura fenicia, cartaginese, greca e romana, si può osservare una strana sfera sormontata da due "antenne", che per l’archeologia tradizionale svolgerebbe una "funzione esclusivamente rituale". Va ricordato, tuttavia, che sia presso i Sumèri (epopea di Gilgamesh) che presso i Romani (il dio Mercurio) la "sfera con le antenne" veniva stilizzata nel caducéo, il magico bastone con due serpenti avvinghiati, che consentiva ai possessori di accedere ad altri "mondi" e ad altre "dimensioni". Per questi motivi, Mario Pincherle ha ipotizzato che il caducéo fosse in realtà una "bussola pelasgica" (cioè atlantidea), così come appare in alcune raffigurazioni provenienti dall’antico recinto cartaginese di Tanit e oggi ricostruita con materiali moderni, perfettamente funzionante. Persino la rivista scientifica <<TECNOS>>, legata a Piero Angela ed al CICAP, nel numero di dicembre ‘96 riprende ed autentica la tesi (esoterica) dell’archeologo bolognese. C’è da chiedersi, allora, CHI insegnò agli Atlantidei il principio della bussola e come realizzarla. Ma c’è qualcuno che si spinge oltre: lo svizzero Erich von Daniken si domanda se, per caso, quelle antenne non simboleggiassero una possibilità di contatto tra gli antichi sovrani e il cosmo (cfr. i bronzetti di Barrùmini). Infine va sottolineato il fatto che la "sfera pelasgica" rassomiglia stranamente alla sezione di uno dei motori antimateria studiati dal fisico Bob Lazar nella famigerata "Area 51". In questa base militare supersegreta nel deserto del Nevada, i servizi segreti statunitensi custodirebbero un motore alieno, ricavato da un disco volante precipitato e capace di alterare la materia, creando un varco fra due dimensioni, proprio come il mitico caducéo.
Il Liber Prodigiorum. Giulio Ossequente, cronista latino vissuto nel IV sec. d.C., può essere definito un "fortiano ante-litteram" a tutti gli effetti, in quanto raccolse nel volume << Liber prodigiorum >> tutti i fatti incredibili e straordinari che, a memoria d’uomo, erano conosciuti fino a quel tempo. La preziosa quanto misconosciuta opera, aggiornata nel ‘500 da Corrado Licòstene, pseudonimo del ricercatore alsaziano Corrado Wolffhart, tratta ovviamente anche di quei misteriosi fenomeni celesti anomali, allora scambiati per "la collera degli dèi", che di tanto in tanto si ripetevano nei cieli di Roma, così come oggi succede nei nostri: clipei ardentes, trabes ignitiae, discoides, fax ardens, chasma, dolium, ecc. Ne avevano accennato in precedenza anche autori più illustri, quali gli storici Tito Livio negli "Annales" e Plinio il Vecchio nella "Naturalis Historia".
Gli antichi conoscevano l'elettricità. I Babilonesi conoscevano l’elettricità ed i rudimentali principi di elettro-galvanica almeno dal 630 d.C., ma probabilmente già dal 2.000 a.C. ! Fantasie ? Non si direbbe proprio, visto che le famose "pile di Baghdad", rinvenute accantonate in un angolo del museo della Capitale dall’ingegnere tedesco Wilhelm Koenig nel 1936 e classificate dagli archeologi come << oggetti di culto >> (definizione consueta della scienza ufficiale, equivalente a: "non sappiamo che pesci pigliare"), una volta ripristinate e riempite nuovamente di elettrolita acido, hanno sviluppato la tensione di 1,5 volt: quella di una comune batteria per torcia elettrica.
L'essere di Palenque. Riproduzione della celebre lastra tombale scoperta all’interno della Piramide delle Iscrizioni, nella mitica città maya di Palenque (Messico, territorio del Chiapas). Datata 27 gennaio 633 d.C., è meglio conosciuta come "L’Astronauta di Palenque". Secondo la tradizione di tutte le civiltà precolombiane, i resti contenuti nel sarcofago sottostante sarebbero quelli del dio Kukulcàn (o Quetzalcoatl), essere soprannaturale "sceso da un buco praticato nel cielo" per portare sapienza e conoscenza agli umani. L’archeologo russo Dzagarian ricostruì, partendo dalla maschera funebre, il volto del defunto e questi, in effetti, sembrerebbe appartenere ad una razza non-umana, presentando la radice del naso al di sopra delle sopracciglia. Se così fosse, sarebbe del tutto giustificabile l’incisione sulla lastra, che ritrae uno strano personaggio in atteggiamento molto simile a quello di un moderno pilota all’interno di una capsula spaziale.
Ali e alettoni. Monili in oro purissimo rinvenuti in Colombia e classificati, come al solito, "oggetti di culto". Quelli che vi presentiamo sono tre dei quattordici esemplari finora scoperti e sembrerebbero raffigurare insetti od uccelli. Tuttavia la disposizione delle ali e gli alettoni di coda, rettilinei e perpendicolari al piano, incuriosirono gli studiosi, che ne chiesero consulenza agli esperti dell’Aeronautical Institute di New York. Risultato: sperimentati nella galleria del vento, hanno mostrato una perfetta aerodinamicità, tanto da far presupporre che si tratti di modellini di aeromobili in scala.
Due navi spaziali in Serbia. Nel chiostro del convento di Desani, nel Kosovo (Serbia), furono scoperti affreschi risalenti agli inizi del XIV sec. in cui si evidenziano due navi spaziali fusiformi, simili a gocce, che sembrano inseguirsi. Ognuna reca a bordo un essere che manovra una sorta di timone e il primo si volge all’indietro, come per osservare l’altro; tra le due navicelle si interpongono figure angeliche, che si coprono occhi ed orecchie (per il rumore ?). Interpretazione esasperata in chiave ufologica oppure gli artisti medioevali intendevano rappresentare ciò che in realtà avevano visto ?
Ufo nella pittura. Anche gli oggetti volanti non identificati, o perlomeno presunti tali, sono ospiti delle Pinacoteche. Uno è un dipinto conservato nella chiesa di S.Pietro a Montalcino (SI): si noti la straordinaria rassomiglianza con il satellite Vanguard II, persino nel "coperchio" circolare posto nella parte superiore e nel "tappo" in basso a sx. Un altro è stato dipinto dalla scuola di Filippo Lippi ed è conservato in Palazzo Vecchio a Firenze: da notare nel riquadro lo strano oggetto volante munito di antenna ed illuminato dal sole, il pastore che porta la mano alla fronte per meglio vedere ed il cane che abbaia. C'è poi il dipinto di Paolo Uccello, denominato "La Tebaide", esposto nella Galleria dell’Accademia in Firenze. Quasi al centro della tela si osserva un oggetto discoidale, sospeso a mezz’aria, sormontato da una cupola centrale, di colore rosso. Il movimento dinamico di tale strano corpo volante è reso dall’artista mediante piccoli tratti, anch’essi di color rosso vivo, simili ad una "U" molto stretta, che rendono l’effetto di una virata repentina: evidente è la notevole somiglianza tra l’oggetto in questione, a forma di "cappello di prete", e il "disco volante" fotografato nel 1952 nel New Jersey, che vediamo a lato.
Apparizioni nell'aria del XVI sec. Simon Goulart nasce a Senlis il 20 ottobre 1543; frequenta la facoltà di giurisprudenza a Parigi ed in seguito viene ordinato sacerdote. La passione per l’insolito e l’indole di acuto osservatore, unite alla dote di meticoloso annotatore, lo spingono a ricalcare il lavoro iniziato da Giulio Ossequente 1.200 anni prima; redige così il catalogo delle << Storie ammirabili e memorabili del nostro tempo >>, di cui un intero e lunghissimo capitolo è dedicato alle "Apparizioni diverse nell’aria", ossia ai fenomeni celesti non identificati del XVI secolo.
Un missile ai tempi di Re Sole. Medaglione dipinto verso la seconda metà del ‘600 per Luigi XIV di Francia da Charles Le Brun, fondatore dell’Accademia francese di pittura e scultura. Quale manufatto umano, a forma di "missile", poteva <<splendere e salire>> ai tempi del Re Sole ?
I prodigi di Genova (1608). Ricostruzione grafica dei <<Maravigliosi et tremendi prodigi apparsi sul mare di Genova nel 1608>>. Questa straordinaria "cronaca dell’insolito" è custodita negli archivi municipali di Nizza, che a quei tempi faceva parte con Genova del Regno Piemontese. Il presente studio di paleoastronautica, da me redatto, è stato oggetto di discussione durante il 3° Congresso Internazionale sugli Oggetti Volanti non Identificati, svoltosi a S.Marino nel maggio ‘95.
I misteri dell’Isola di Pasqua. Sono tanti e tutti irrisolti, almeno da parte della cosiddetta "scienza ufficiale". L’unica cosa finora certa è che questo minuscolo triangolo di terra vulcanica (60 km. di perimetro), sperduto in mezzo all’Oceano Pacifico, fu scoperto dall’esploratore olandese Roggeveen il giorno di Pasqua (da cui il nome) del 1722. Le coste più vicine sono quelle del Cile, cui appartiene, a 4.600 km.; da qui la denominazione di Rapa-Nui (azzeccatissima) conferitale dagli aborigeni, che significa <<ombelìco del mondo>>. Le coste dell’isola sono letteralmente disseminate (se ne contano oltre 300, del migliaio originale) di colossali statue, che gli indigeni chiamano <<Moai>>, ricavate dall’unico tipo di pietra esistente: il "fuoco vomitato" (la lava). Ma il bello è che queste non sono state scolpite in loco, bensì nelle viscere dei vulcani (oltre 200, incompiute, sono rimaste abbozzate nella pietra grezza delle cave), per poi essere portate alla luce e collocate in situ non si sa con quale tecnologia. Il territorio, infatti, è completamente brullo e pertanto non è possibile ipotizzare un sistema di scorrimento su rulli, ottenuti dai tronchi d’albero, o di trascinamento con cordami, anche se rudimentali. L’archeologia, quella "seria", si limita ostinatamente ad affermare che quei colossi di pietra (alti dai 7 ai 22 metri - quanto una casa di 7 piani ! - e pesanti fino a 100 tonnellate) furono trasportati nei luoghi ove furono eretti, fino a 10 km. di distanza, <<...facendoli scivolare su montagne di patate...>> o <<...trascinandoli, in piedi, con lunghe corde in un percorso a zig-zag...>>. Per contro, i più fantasiosi parlano di non meglio esplicate "facoltà levitatorie" dei sacerdoti locali, che avrebbero semplicemente "ordinato" alle statue di "camminare" da sole... Tralasciando ogni commento, va doverosamente ricordato che, in tempi recenti, fu tentato un esperimento esemplificativo da parte dell’equipaggio della nave da guerra Topaze: per sollevare, imbragare, trasportare e drizzare una statua di "soli" 2,5 m. di altezza, furono impiegati (oltre alle moderne tecnologie, come àrgani, carrucole e robuste gòmene) oltre 500 uomini (attualmente la popolazione conta 1.200 abitanti). Altro mistero, oltre a quello inerente CHI e PERCHÉ edificò tali statue, resta il motivo per cui tutte guardano il mare in ogni punto dell’isola, tranne che nel quadrante di nord-est, in direzione cioè del Triangolo delle Bermuda: pura casualità ? Può darsi; ma chi intendevano rappresentare quei colossi di pietra ? Secondo le antichissime leggende dell’isola, trascritte su tavolette incise a caratteri cuneiformi e paragonabili alla civiltà di Mohenjo-Daro (situata, tuttavia, agli antipodi geografici e distante qualcosa come 3.500 anni di storia...!), le statue raffigurano "una razza di giganti con toraci possenti, lunghissimi lobi auricolari e braccia altrettanto lunghe", che colonizzarono l’isola in tempi remotissimi. A questo punto, in attesa di nuove interpretazioni, mi sembra lecito avanzare anche quelle della astroarcheologia. I primitivi abitanti di Rapa-Nui adoravano Make-Make, creatore del mondo, rappresentato come un semidìo, un ibrido con le ali tra uomo e divinità, un uomo-uccello. Anche in questo caso si riscontra l’identificazione dell’entità portatrice della vita sulla Terra in un essere superiore venuto dal cielo e, quindi, in grado di volare come gli uccelli: è fin troppo facile scomodare gli extraterrestri, i quali sarebbero stati pure gli indiretti autori dei <<moai>>, conferendo agli autòctoni tecnologie superiori per intagliare le statue direttamente nel durissimo basalto (attrezzature al laser, simili a quelle degli Egiziani, dei Maya e degli Incas ?) e per trasportarle fino ai luoghi di destinazione (forze elettromagnetiche o di annullamento gravitazionale ?).
Le "piste" di Nazca. Sono distribuite su un’area di circa 500 km.2 , in una fascia di territorio stretto fra la catena delle Ande peruviane e l’Oceano Pacifico, ove sembra che non piova da quasi 10.000 anni. Furono scoperte, o meglio, riscoperte per caso negli anni Venti da due viaggiatori, che le scambiarono per "canali d’irrigazione". In seguito, nel 1939, una pattuglia aerea che stava sorvolando quella zona desertica riuscì a comprendere che non si trattava solo di linee geometriche, ma soprattutto di monumentali opere pittografiche. Diciamo "riscoperte", in quanto se ne fa menzione già nel ‘500, all’epoca dei conquistadores, nel rapporto di un magistrato spagnolo al seguito, certo Luìs de Monzòn. Il fatto che solo dall’alto si riesca a comprendere, oggi come ieri, il significato di quei chilometri e chilometri di tracce, ottenute asportando lo strato superficiale del terreno e mettendo così in luce il sottostante terriccio giallastro, fa sorgere ulteriori interrogativi circa le misteriose piste: da chi dovevano essere visti quegli emblematici ideogrammi ? Le tribù che abitavano quei luoghi, tra il 500 a.C. ed il 500 d.C. (tale è la datazione degli archeologi), conoscevano già un sistema per sollevarsi dal suolo di almeno 300 metri, quota al di sotto della quale la visione d’insieme non è possibile ? Se così non fosse, sarebbe difficile spiegare quale tecnologia possedessero per tracciare linee rette, lunghe anche 60 km., con la deviazione di soli 2 m./km.: difficilmente oggi riusciremmo a fare di meglio ! In effetti, in alcune tombe della valle di Nazca, sono stati trovati frammenti d’un antichissimo tessuto, identico per struttura e proprietà a quello oggi impiegato negli Stati Uniti per la fabbricazione di palloni sonda e paracadute. Oltre alla disposizione rettilinea delle piste, geometricamente quasi perfette e interpretata dalla "Ancient Astronaut Society" come un vero e proprio "astroporto" (la panoramica di Nazca equivale a quella di Cap Kennedy), si notano numerosissimi disegni di animali (ragni, condor, colibrì, lucertole, scimmie, delfini), le cui dimensioni variano dai 100 ai 300 metri. Queste figure non sono tuttavia di fantasia, ma strettamente aderenti alla realtà locale: il ragno, ad es., è stato identificato in una rara specie di aracnide, del genere Ricinulei, che vive nella foresta amazzonica. L’incredibile sta nel fatto che l’organo riproduttore di questo particolare insetto, posto all’estremità di una zampa, è di norma visibile solo al microscopio !
Ed ora ognuno di noi è libero, come sempre, di farsi l’opinione che meglio crede...

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