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Un democristiano pluricondannato a capo del calcio italiano

Creato il 28 luglio 2014 da Vesuviolive

Calcio sporco

Con molte probabilità, come si sa ormai da molti giorni, Carlo Tavecchio sarà il nuovo presidente della FIGC, la Federazione Italiana Giuoco Calcio. Una candidatura sostenuta da circa il 60% delle squadre che militano dai Dilettanti alla Serie A, dove ha il sostegno di 18 squadre su 20, essendo osteggiato soltanto da Juventus e Roma, le quali invece appoggiano Demetrio Albertini.

Se in questi giorni su Tavecchio si è abbattuto un turbine di proteste e condanne morali, perfino dalla FIFA (che attraverso il proprio sito comunica di aver sollecitato un’indagine della FIGC) e dalla stampa straniera, a causa delle sue parole razziste pronunciate in un’Assemblea della Lega dei Dilettanti (“Optì Poba è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio”), polemiche che tuttavia non sembrano intaccare il convincimento delle squadre che è egli il profilo giusto da mettere a capo del calcio italiano, né sembrano essere in grado di provocare un passo indietro del diretto interessato e il ritiro della candidatura, ci sembra opportuno fare luce su questo personaggio per dare un’idea di chi è e cosa facesse prima di dedicarsi al pallone.

Carlo Tavecchio è nato in provincia di Como nel 1943, e dopo il diploma in Ragioneria è diventato dirigente della Banca di Credito Cooperativo dell’Alta Brianza. A soli 33 anni, quale esponente della Democrazia Cristiana, è diventato sindaco del proprio paese di nascita, Ponte Lambro, carica che manterrà per 20 anni, fino al 1995. La sua carriera all’interno della FIGC inzia invece sul finire degli anni ’80, culminando prima, nel 1999, con l’elezione a presidente della Lega Nazionale Dilettanti, nel 2007 con l’assunzione della carica di vicepresidente della FIGC, della quale, come detto, forse diverrà presidente tra poco.

Nel frattempo ha collezionato ben 5 condanne alla pena della reclusione, per aver commesso di vario tipo: condanna a 4 mesi di reclusione nel 1970 per falsità in titolo di credito continuato in concorso, 2 mesi e 28 giorni di reclusione nel 1994 per evasione fiscale e dell’IVA, 3 mesi di reclusione nel 1996 per omissione di versamento di ritenute previdenziali e assicurative, 3 mesi di reclusione nel 1998 per omissione o falsità in denunce obbligatorie, 3 mesi di reclusione nel 1998 per abuso d’ufficio per violazione delle norme anti-inquinamento, più multe complessive per oltre 7.000 euro. Un curriculum giudiziario di tutto rispetto, degno del suo essere uomo della DC.

Il calcio italiano, che ancora una volta si dimostra intrecciato alla peggior politica, i quali hanno in comune promesse di cambiamento e buoni propositi sempre disattesi, non vuole dunque cambiare. Tutti i presidenti, tutti i dirigenti, sottolineano il bisogno di cambiare passo, di giungere a nuove regole, per poi affidarsi a chi è nel sistema politico e calcistico da decenni, che non ha mai fatto nulla di veramente buono e che, in più, è tutt’altro una persona di cui ci si può fidare vista la fedina penale. L’Italia, ancora, si manifesta per quello è, una nazione dove essere disonesti, dove essere delinquenti, paga, eccome se paga.


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