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Un film per ricordare Pippo Fava, il giornalista che smascherò la mafia, il 5 gennaio su RaiTre (La Repubblica)

Creato il 19 dicembre 2013 da Nicoladki @NicolaRaiano
Un film per ricordare Pippo Fava, il giornalista che smascherò la mafia, il 5 gennaio su RaiTre (La Repubblica)Il movente del suo omicidio: scriveva, faceva il giornalista. Troppo per una città come Catania, avvolta nel silenzio, sospesa in una calma irreale, sottomessa a una mafia perfetta. Il procuratore capo amico dei boss, il comandante dei carabinieri amico dei boss, il prefetto amico dei boss. Quale altro destino era immaginabile per Pippo Fava, uomo ribelle ucciso la sera del 5 gennaio del 1984? Come sarebbe mai potuto sopravvivere in quella Sicilia addormentata, prigioniera di trafficanti e banchieri e Cavalieri che l'avevano fatta diventare spudoratamente ricca? Aveva già capito tutto, trent'anni fa. Cinque colpi di pistola.
La storia di uno straordinario siciliano che era anche scrittore, saggista, drammaturgo, è proposta nelle sue forme più emozionanti in un docufilm che RaiTre manderà in onda alla vigilia dell'Epifania per ricordarlo e per ricordare a noi - oggi ce n'è ancora tanto bisogno - cosa vuol dire passione e rispetto per chi di mestiere deve raccontare ciò che gli sta intorno. Fava raccontava Catania, la Sicilia, l'Italia. E con lui una mezza dozzina di "carusi" che sono diventati "I ragazzi di Pippo Fava". Titolo scelto per poco più di un'ora di riprese dove è raccolta la travolgente esperienza de I Siciliani, mensile fondato dal giornalista per potere scrivere ciò che gli altri non volevano scrivere.
"La rivoluzione si fa con le notizie", dice Riccardo ai suoi compagni, che sono Michele e Rosario, Claudio e Antonio, Elena e Giusi. La redazione. Claudio è il figlio di Pippo, Antonio è Antonio Roccuzzo che insieme a Gualtiero Peirce ha ideato questo docufilm (tratto da "Mentre l'orchestrina suonava gelosia", libro scritto dallo stesso Roccuzzo) firmato dalla regista Franza Di Rosa. Attori tutti giovanissimi, tranne uno: Leo Gullotta, uno che Pippo l'aveva conosciuto tanto tempo fa allo Stabile di Catania. La fiction che si mischia con le testimonianze, un giovanissimo Enrico Mentana che al tg della notte del 5 gennaio 1984 dà notizia dell'assassinio di un giornalista in Sicilia, un'intervista di Enzo Biagi a Pippo sui rapporti fra la mafia e la politica ("Io ho visto molti funerali di Stato: molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità"), un'immagine di Fava accanto a Nando Dalla Chiesa che aveva appena perso il padre a Palermo, i ricordi di quei ventenni che cominciavano a imparare il mestiere nella palude catanese. La sfida, le paure, la libertà.
C'è tutta la Sicilia dei primi anni Ottanta e c'è anche un po' dell'Italia di questi ultimi anni in quella vicenda che solo apparentemente è lontana, ma che si ripresenta sempre nascosta, dietro "persone perbene" che dei giornalisti apprezzano soprattutto l'ubbidienza. Documentario dove affiora Pippo Fava com'era, diverso, insofferente, maleducato verso il potere. "Fare il giornalista era facile perché gli altri stavano zitti", ricorda Roccuzzo in uno dei passaggi che ricostruisce come sono nati I Siciliani e come già avevano provato a comprarli, a "farli ragionare". L'interpretazione di Leo Gullotta nel ruolo dello zio di uno dei "carusi" fa capire cos'era Catania. E' il parente "affettuoso" che blandisce e avvisa, che mette in guardia, che dà "consigli".
E' quello che avviene prima, prima dell'omicidio di un uomo che nella sua città era rimasto solo. Il dopo è il sindaco che lo ricorda senza mai pronunciare quella parola - mafia - nella sua commemorazione, le voci infami che accompagnano la sepoltura di Pippo, i depistaggi. La normalità di Catania, la normalità di Palermo, da un delitto all'altro. Il tempo che non passa mai. Tranne per chi ha conosciuto Pippo. "Dopo, io sono diventato un'altra persona", dice Antonio. E anche tutti gli altri. Tutti che non hanno perso quel vizio, il vizio di scrivere.
Attilio Bolzoniper "La Repubblica"

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