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Un finale amaro è meglio di un’ amarezza senza fine

Creato il 21 luglio 2010 da Dylandave

Un finale amaro è meglio di un’ amarezza senza fine

- About Elly – 2010 – ♥♥♥ e 1\2 -

di

Asghar Farhadi

E’ insolito ultimamente che ci giunga un film iraniano che non parli di Teheran o dei villaggi interni nei quali regna la povertà più estrema. In questo sorprendente film di Farhadi, infatti, troviamo tutti gli elementi capaci di renderlo un film decisamente differente: il dinamismo nei movimenti di macchina e una sceneggiatura ricca di elementi nascosti che portano lo spettatore ad analizzare ciò che vede. Dopo un’ inizio apparentemente lineare e con toni da commedia, inaspettatamente (dopo più di mezz’ ora) il regista iraniano ci introduce il dramma della sparizione della giovane maestrina Elly, invitata ad una gita sul Mar Caspio dalla madre di una delle bambine dell’ asilo dove insegna. Il cambio di registro da quel momento è piuttosto evidente e Farhadi ce lo demarca con improvvisi cambiamenti nei movimenti di macchina che passano dall’ essere più statici a diventare dinamici tallonando i protagonisti con frequenti riprese a spalla. Dietro una storia apparentemente normale il regista ci parla di ciò che un regime teocratico come quello iraniano provoca all’ interno degli animi di un gruppo di giovani iraniani, nei quali sembrano essere molto più importanti le rigide regole morali che la verità. Nella struttura sceneggiativa questo About Elly (titolo che da l’ illusione di essere un film leggero) assomiglia molto a L’ Avventura di Michelangelo Antonioni: un gruppo di giovani sono in vacanza, una ragazza scompare e da quel momento in poi tutti i rapporti all’ interno del gruppo sembrano non essere più come al principio. Ma come ho accennato prima, di quella storia che Antonioni raccontava in maniera decisamente esistenziale Farhadi ne fa un pretesto per analizzare le sottintese conseguenze morali di un regime fondato sui doveri morali religiosi. I protagonisti della vicenda sono differenti dai soliti personaggi che siamo abituati a vedere nei film iraniani, perchè sembrano liberi o quanto meno sembrano indifferenti alle costrizioni politiche in atto a Teheran, così tanto da concedersi un week end spensierato e lontano dalle proprie abitudini. Lo stesso protagonista maschile Ahmad è emigrato in Germania ed è reduce da un divorzio con una tedesca che farebbe ben sperare sulla sua differente apertura mentale. Ma è proprio dall’ inatteso che viene fuori una cruda verità: quella che dimostra a tutti loro ( e anche a noi spettatori) che molto spesso è più difficile liberarsi dei propri pregiudizi e dei propri scrupoli religiosi che di un regime politico. Quella bugia finale detta dalla protagonista Sepideh ( una molto espressiva Golshifteh Farahani) rappresenta proprio il crollo di una dignità femminile che in quel paese mediorientale sembrerebbe non riuscire ad essere rispettata come si dovrebbe e che spesso è calpestata proprio all’ interno del nucleo familiare dai rappresentati maschili di questo stesso. La regia sceglie di posizionare  più personaggi davanti la macchina da presa, proprio per farci gustare la coralità delle vicende, che coinvolgono tutti i protagonisti, e sceglie dei dialoghi spesso concitati e in preda alle emozioni dei personaggi che purtroppo sono distrutti da un impietoso e pessimo doppiaggio italiano che sceglie (in maniera del tutto inconcepibile) di doppiare anche i momenti di canto o di gioco rendendo così quei particolari momenti freddi e teatrali, ma soprattutto con un risultato finale che comunica allo spettatore finzione scenica e non il realismo che al contrario gli attori sanno ben esprimere con le loro espressioni. Ottime sono due scelte di sceneggiatura: quella del doppio incidente in mare che ci fa porre attenzione prima su un fatto (la sparizione del bambino) e improvvisamente su quello che risulta poi essere più importante (la sparizione di Elly); e quella del cambio repentino di registro da commedia a dramma con delle venature tipiche da film giallo. About Elly è, infine, un bel film ricco di efficaci simbolismi, come quelli racchiusi nella villa a mare che ha evidenti cedimenti (un pò come l’ Iran) ma che se si vuole possono essere riparati, o ancor meglio la metaforica scena conclusiva finale del film che vede tutti i protagonisti impegnarsi a spingere invano un’ auto dalla sabbia mentre all’ interno della casa ci mostra Sepideh, da sola a combattere con il dolore della sua bugia appena detta. Come a voler sottolineare che con le bugie non si va da nessuna parte, se si vogliono davvero cambiare le sorti di una Storia di una Nazione. Meritato Orso D’ Argento al 59° Festival di Berlino.

Un finale amaro è meglio di un’ amarezza senza fine

( L' attimo antecedente al dramma)
Un finale amaro è meglio di un’ amarezza senza fine
(L' intensa scena conclusiva del film)

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